Regolano, gli orologi, regolano il mio e il vostro tempo. Regolano, dando a noi tutti la patetica impressione di poterlo controllare. Ancor più perché sono oggetti metafisici creati dall’ingegno umano. Confortano, questi oggetti meccanici regolatori di tempo, e cullano con fermezza. Mettono fretta, gli orologi, e talvolta, a osservarli a lungo, pare che rallentino. Altra impressione fasulla, altro dispetto.
Quando un orologio va avanti o indietro condiziona l’esistenza di chi ad esso si affida. Si compiono azioni che altrimenti sarebbero compiute in un altro momento, quello più appropriato, quello preposto. Oppure ci si illude di fare qualcosa per tempo, quando invece è ormai troppo tardi.
Un orologio che si rispetti è puntuale. Altrimenti non è un orologio, ma il suo feticcio. È un inganno.
Gli orologi ticchettano incessantemente ma quando decidono di fermarsi, e capita che lo facciano, è per comunicare qualcosa. È per dire che c’è qualcosa che ne inceppa il meccanismo, perché hanno bisogno di essere ricaricati, o è per raccontare altro. Molto altro. È questo atto fortissimo di affermazione che regola il momento di congiunzione tra il regno dei vivi e quello dei morti. Tra il reale e il magico. Tra il certo e l’ignoto. Tra lo scorrere naturale degli eventi e il conturbante. Tra il tempo degli uomini e quello delle streghe.
Talvolta si fermano a una data ora, in un preciso istante, gli orologi. Altre volte misurano e parlano. Parlano la lingua dei rintocchi.
Méliès nel 1899 realizza il suo primo film strutturato sulla base della fiaba di Cenerentola. In esso gli orologi sovrastano la scena. Tutte le scene, a incominciare dalla prima in cui Cenerentola sta al proverbiale focolare, fino alla prova della scarpetta, sono caratterizzate dalla presenza incombente di un orologio. Cenerentola si dispera, vorrebbe andare al ballo; piange dopo essere stata maltrattata dalle sorelle quand’ecco che giunge la fata che, ponendosi proprio al di sotto al regolatore del tempo, comincia a manipolarlo, compiendo in un istante azioni che avrebbero richiesto ore, giocando con esso, per poi, però, ribadire a Cenerentola che ha un tempo determinato gestito da chi ne ha la forza, l’orologio meccanico, oltre il quale la sua di forza, quella magica, non ha più alcun potere. Lo indica, lo mostra. Non deve esserci alcun dubbio, nessuna variabile.
La variabile interviene, però, ed è potente: l’amore che sopraggiunge nella sala da ballo e annulla la percezione del tempo da parte di Cenerentola. Il tempo vola quando si danza. Ma l’orologio, enorme, ben in vista, continua a ticchettare e si fa presenza ingombrante. I rintocchi segnano la Mezzanotte, Cenerentola torna a essere la fanciulla dimessa che era prima e subisce lo scherno di tutti. Torna alla sua soffitta, perseguitata da orologi beffardi, crudeli che la scherniscono, si prendono gioco di lei che ha voluto loro disubbidire. C’è persino una sorta di satiro, il satiro del tempo che, assieme ai quadranti ticchettanti, diventa ossessione e rimpianto. [Georges Méliès, Cendrillon, 1899]
Ma in quale momento della storia della fiaba di Cenerentola entrano in fabula i rintocchi dell’orologio?
Nel corso del tempo, e per Cenerentola si tratta di molto tempo (si ritiene che Cenerentola sia di origine cinese e sia stata raccontata per la prima volta nel IX sec.), così come percorrendo spazi immensi di bocca in bocca, le fiabe cambiano. È l’essenza delle fiabe il modificarsi nel tempo, ed è la trasmissione orale che porta a una fertilità di varianti straordinaria (basti per questo considerare, avvicinandosi di più al nostro tempo, alle varianti di questa fiaba raccolte da Calvino ne Fiabe italiane). La stessa tradizione può inciampare, dimenticare una parte, indugiare su un’altra; talvolta è un errore, una frase detta con più veemenza, una dimenticanza, una ridondanza, una tendenza del cantastorie all’iperbole. Ed ecco che nella fiaba entra un elemento. Ed ecco che quell’elemento diventa caratterizzante, diventa parte integrante, entra nella Storia della storia.
La versione di Perrault è quella che più si allontana dalla tradizione orale (per esempio non c’è più la madre, o meglio, la presenza della madre sotto forma animale) ed è quindi di sostanziale importanza sottolineare come il rintocco della Mezzanotte sia entrato invece in maniera fondante nella fiaba proprio con Perrault, sia divenuto mitopoietico.
Nel passaggio dalla tradizione orale a quella scritta la fiaba ha necessariamente perduto parte delle sue “funzioni” mitiche; si sono attenuati i risvolti simbolici, sono scomparsi i rituali.
L’orologio meccanico che scandisce le ore, i rintocchi che risuonano nella sala da ballo e la conseguente fuga della fanciulla introducono un’altra prospettiva, se non addirittura altre prospettive. Da Perrault in poi (nella Zezolla di Basile – 1634-36 – la Mezzanotte non c’è, né tantomeno ci sono i rintocchi che restano fuori anche dalla versione dei Grimm) quello dello scoccare della Mezzanotte diventa parte integrante della fiaba, rilevante quasi come la scarpetta di cristallo. Stigmatizzato nell’immaginario collettivo dal bel film d’animazione del 1950 prodotto dalla Disney.
Cenerentola è in compagnia del Principe; alle loro spalle un orologio. Partono i rintocchi e la scena si fa concitata, gli eventi precipitano e dalla quiete la ragazza passa alla fuga, con i rintocchi che continuano a segnare i suoi passi febbrili e il grande orologio che incombe minaccioso in dissolvenze ingombranti nella sequenza. [Cinderella, Walt Disney Studios, 1950, Lo scoccare della Mezzanotte]
Ma perché Charles Perrault ha arricchito la fiaba di questo dettaglio che diverrà elemento onnipresente, da allora in poi, in tutte le versioni letterarie, cinematografiche, teatrali e musicali?
La sua Cendrillon è del 1697, Cartesio aveva già fatto propria l’analogia dell’orologiaio, e inoltre Perrault era un sostenitore accanito dello statuto scientifico dell’arte tanto che ne scrisse polemicamente in seguito (Parallèle des Anciens et des Modernes, 1688); ecco, probabilmente questo anelare al rinnovare, alla modernità, potrebbe averlo indotto a inserire l’orologio, simbolo perfetto della capacità dell’uomo moderno di misurare l’incessante, il tempo.
In Cenerentola i rintocchi scandiscono l’infrazione di una regola, se non addirittura un tabù: i rintocchi parlano e suggeriscono, minacciosi, alla ragazza la gravità di quanto sta per commettere: sta per perdere il contatto con la realtà; paradossalmente, tentando di prolungare i termini del sovrannaturale, essa sta cercando il modo di radicarsi nel reale. Una realtà che la affrancherebbe dalla sua condizione miserevole e, al contempo, un reale, meccanico, preciso, che incombe impietoso e rintocca ossessivamente, che segna la fine di un sogno, interrompe la magia; è più potente delle arti di una fata/strega. Si tocca con mano nei balletti, nei film tratti da Perrault, laddove interviene il suono a sottolineare la forza dei rintocchi, ma si legge con molta chiarezza anche in tutte le illustrazioni che di quel momento sono state realizzate, in cui il ‘fermo immagine’ contribuisce ad appuntare la pregnanza narrativa del momento.
Walter Crane, siamo nel 1875, sceglie di illustrare il momento in cui i rintocchi della Mezzanotte sono già terminati; Cenerentola è tornata a vestire i suoi panni umili da serva, un piede è scalzo. Anche lo sguardo è dimesso e torna indietro carico di rimpianto rivolgendosi al principe che invece sembra voler intervenire sull’orologio, raggiungerlo nella direzione opposta alla realtà della fuga della ragazza, cercando un confronto impari con l’oggetto che ritiene essere causa della sua disperazione.
Dulac, nel 1910 sceglie di fermare l’immagine a un quarto d’ora prima che gli eventi precipitino. Cenerentola è ancora ben vestita, nel pieno del gioco amoroso, il principe si inchina al suo meraviglioso e fatato cospetto. L’orologio veglia sulla scena, memento.
![Sir Arthur Quiller-Couch. The Sleeping Beauty and Other Tales From the Old French. Edmund Dulac, illustrator. New York: Hodder & Stoughton, 1910. [Cenerentola]](http://libricalzelunghe.it/wp-content/uploads/2016/12/dulac_cindy6.jpg)
Sir Arthur Quiller-Couch. The Sleeping Beauty and Other Tales From the Old French. Edmund Dulac, illustrator. New York: Hodder & Stoughton, 1910. [Cenerentola]
Nel frontespizio per Cenerentola del suo Cruikshank Fairy book (1911), George Cruikshank racconta tutta la fiaba in un’unica immagine: c’è la condizione misera della ragazza, c’è la fata madrina, c’è la scarpetta di cristallo mollemente adagiata su un cuscino e trionfante, incorniciato da tutti gli elementi magici della storia, c’è l’orologio. Le lucertole, la zucca, i topi, sono ancora bestiole e ortaggi, privi di magia, sebbene il topolino regga la propria coda come se maneggiasse una bacchetta magica pronta a intervenire sull’orologio, che, quieto, segna cinque minuti prima della Mezzanotte. Sovrasta centralmente e incornicia tutta la storia, ma non tornerà se non nell’ultima tavola, quella del matrimonio. Anche in questa occasione è incastonato sullo scranno del re e della regina, come a voler sottolineare la concretezza del sogno ormai divenuto parte del flusso reale del tempo.
Arthur Rackham coglie l’esatto momento del rintocco. Il principe è sorpreso dalla fuga repentina, la scarpetta si libera dalla silhouette nera mostrandosi nel suo trasparente cristallo.
Con Roberto Innocenti Cenerentola approda agli anni Venti del Novecento. E la scena dei rintocchi scende nei dettagli decadenti: il principe abbandonato sulle scale è disperato e frastornato dai bagordi assieme. I cavalli e i lacchè tornati ad essere topi e lucertole sono fuori contesto ai piedi di un palazzo nobiliare e segnano con la loro presenza il confine mobile tra ricchezza e povertà. Mentre Cenerentola si allontana rientrando nel suo status (e dovendo scostare un ubriacone sul marciapiedi) la torre dell’orologio svetta impietosa sovrastando tutti e regolando il destino degli uomini.
L’orologio, occhio del tempo, archetipo e specchio della vanitas umana si adatta alle vicende di Cenerentola perfettamente, connettendo tra loro tutti gli aspetti simbolici di una delle più celebri fiabe della tradizione europea e mondiale, permettendole di vivere il proprio tempo e di arrivare al nostro per tempo, prima che la carrozza torni a essere una zucca.