Confini

Confini di contenimento, tra realtà e finzione

Written by Francesca Mariucci

Libri di storie verosimili ma non vere. Dogane di carta: il lettore si inserisce nelle recinzioni di contenimento, insieme ai protagonisti. A volte certe trame concedono l’ingresso ma non l’uscita: ci sono muri alti o elettrificati, comunque invalicabili. Una volta in trappola, le scelte che si presentano sono spesso rischiose e pesa l’assoluta mancanza di certezze sul “dopo”, qualora si riuscisse a varcare il confine.

I libri fantastici, che possiedono queste caratteristiche, riguardano la fantascienza, le trame e le ambientazioni Cyber Punk e Urban Fantasy e soprattutto prevalgono nel genere distopico, a volte contagiandosi.40226ed519e726812c518e5782e58834

La realtà distopica ha il fascino di una trama coinvolgente, intrisa di azione e avventura, anche molto spaventosa: insinua dei timori e non lascia il lettore indifferente, implica riflessioni su alcune dinamiche già presenti e reali. L’aggancio è concreto. Queste società post-apocalittiche, o imbrigliate dalla morsa di un potere totalitario, sono ispirate alla storia dell’umanità.

1984 di Orwell è il capostipite di questo genere di storie. Non è detto che in quelle distopiche si debbano individuare degli intenti particolari, satirici o profetici. L’immaginazione però prende spunto da alcune intuizioni basate su fatti reali, e proprio per questo motivo può aleggiare una sorta di monito tra le righe.

Attraverso questo genere di storie si sperimentano sofferenza, rischio e paura, ma anche il coraggio estremo: si combatte, si insegue la salvezza e soprattutto la libertà. Un buon libro distopico, una volta chiuso, agirà ancora interiormente. Non sarebbero altro che pagine di carta inoffensive, se virtualmente non mostrassero una prospettiva che nessuno desidererebbe: e proprio per questo sono dei semi.

Un punto d’incontro tra molte di queste trame è l’incombenza di confini invalicabili: che siano distopici o ucronici, in ogni caso sono contenitivi. L’individuo non è libero di spostarsi e di comunicare liberamente, vive un isolamento. Molto spesso è costretto ad affrontare dei pericoli e non ha alcuna tutela, nessuna autorità ha interesse a difenderlo. La salute degli individui è un lusso, e la vita sembra valere pochissimo. Nella società occidentale tutto questo è solo uno spauracchio, mentre in altri luoghi è realtà. Un aggancio evidente. Del resto, nella nostra quotidianità, “migranti” è la parola più usata da qualche tempo. Popoli di disperati migrano da situazioni terribili, quali guerre e persecuzioni. Varcano confini, frontiere e solcano mari. La speranza alimenta il viaggio ma non c’è alcuna certezza sull’esito della riuscita. Questa è la realtà.

Migrano anche i personaggi di Qualcosa là fuori, di Bruno Arpaia. Il tema apocalittico si basa sul problema del riscaldamento terrestre e i “migranti climatici” scappano verso il nord dell’Europa, in cerca di luoghi abitabili. La desertificazione porta con sé il nulla, che avanza, e la vita deve essere ricercata altrove poiché vengono meno le condizioni essenziali per la sopravvivenza. L’unico confine in questo caso è tra la salvezza e la morte, quindi la demarcazione delle varie nazioni diventa un effimero concetto astratto.

Berlin, La mappa

Berlin, La mappa

Nella maggior parte dei libri distopici però, il confine non è sempre accessibile, anzi, molto spesso resta una gabbia da cui non si può uscire. È una prigione e niente lo rappresenta meglio di un muro, alto e invalicabile. La saga, ucronica in questo caso, di Berlin, di Fabio Geda e Marco Magnone, attinge infatti al passato reale e a noi prossimo: si colloca a Berlino Ovest, nel 1978. Il muro implicava l’isolamento forzato, con strazianti separazioni familiari nella scissione della città tra Est e Ovest. In questo contesto, già indesiderabile, nel libro accade l’inverosimile: un virus misterioso decima gli adulti e miete vittime non appena i personaggi raggiungono circa la maggiore età. Gli adolescenti devono convivere con l’ineluttabilità di una morte precoce. In questo scenario salta inevitabilmente il sistema sociale preesistente e si creano delle fazioni tra i ragazzi, il loro spirito di aggregazione è guidato soprattutto dalle inclinazioni emotive: ci sono quelli che trovano stimoli comunque nella nuova dimensione di vita, “a scadenza”, e chi invece ne ha perso il senso. I confini tra le fazioni sono invisibili, è il muro che le contiene a incombere su tutti. Gli scontri tra i gruppi, con picchi dominati da un misto di rabbia e paura, sono inevitabili. Una visione ucronica simile si trova nel videogioco che molti adolescenti conoscono: Fallout, Bethesda Game Studios, che si riferisce all’incubo del nucleare della Guerra Fredda (ricaduta nucleare la traduzione). Il muro di Berlino non crolla e l’URSS è ancora esistente. Gli scontri sono molto violenti, gli avatar devono soprattutto combattere.

Tra queste realtà scomode c’è l’ormai famoso Distretto 12, nella nazione di Panem. Suzanne Collins, in Hunger Games, definisce i confini elettrificati di tutti i distretti, inospitali e controllati dai Pacificatori, ovvero le guardie armate. Fa eccezione solo Capitol City, sede in cui risiede la casta agiata che governa il paese. Ogni distretto ha una sua funzione utile ai bisogni di questi abitanti privilegiati. La tirannia vuole impoverire il popolo, che spaventato e isolato, non osa ribellarsi. In passato insorsero gli abitanti del Distretto 13 ma finì non solo con la repressione, venne eliminato definitivamente l’intero distretto. Questo fu l’evento che generò gli Hunger Games, i “giochi” che chiedono dei tributi umani tra gli adolescenti di ogni distretto. Sono una sadica arena di morte e prendono il nome della fame cui il popolo è costretto. Panem et circenses, per l’impero di Capitol City. La saga racconta, dall’inizio, l’evolversi di una nuova ribellione, stavolta decisiva, che parte dalla protagonista Katniss, che è molto abile nei combattimenti poiché è una brava cacciatrice di selvaggina, abilità appresa per bisogno di cibo. Soprattutto dimostra di provare pietà in un gioco che non la prevede per definizione; questa sua anomala cura del debole rianima la speranza, incendiando i cuori degli abitanti dei vari distretti. La sua forza d’animo abbatte ogni recinzione, unisce e compatta, con fili invisibili, tutto il povero popolo di Panem.

In questa storia, il senso di costrizione è portato al suo estremo proprio nell’arena di gioco: uno spazio riorganizzato ogni anno in modo diverso, per stupire il pubblico di Capitol City e impressionare con la crudeltà tutti i Distretti che seguono da maxi-schermi questo sanguinario Grande Fratello, gestito sullo sfondo da cinici Strateghi. In questo “contenitore”, che è una sorta di complessa trappola, pieno di insidie mortali, i ragazzi devono sopravvivere gli uni agli altri. Non vi è alcun varco salvifico e, soprattutto, sono dei nemici forzati.

Garden

Garden

Un gioco crudele che ricorda anche Battle Royale, di Koushun Takami, pubblicato in precedenza (1999). Anche qui sono degli adolescenti, ignari, a doversi scontrare l’un l’altro finché non ne resterà soltanto uno. Ogni anno il Programma prevede questo genere di tributo, ma con l’inganno, perché i ragazzi della terza B della scuola di Shiroiwa partono, senza sapere che approderanno in un’isola, dai confini netti solcati dal mare. Una trappola, in tutti i sensi. Una gabbia mediatica simile a quella che troviamo anche in Under, di Giulia Gubellini, che è il nome di un reality show. Anche qui governa l’autorità militare di un regime repressivo, l’Autorità Provvisoria, che rinchiude in un bunker, sito nelle Alpi, i giovani ribelli della Città 051, tra cui Alice. Nel gioco servono dodici ragazzi, provenienti dai Centri di Rieducazione del paese. Ogni diciassette ore, due Sfidanti sono chiamati a lottare fino alla morte nella Gabbia. Sopravvivere e uccidere l’altro, coetaneo e nemico fittizio, fa spettacolo ma soprattutto è un monito ripreso da telecamere: uno strumento di repressione solo più tecnologico rispetto agli scontri tra gli antichi Cristiani contro i leoni nel Colosseo. Il gioco, trasmesso a tutta la popolazione, è utile alla propaganda governativa, ma le si ritorce contro, e permette ad Alice di comprendere come sia possibile ribaltare a proprio favore le regole, innescando la miccia di una rivoluzione, come accade in Hunger Games contro il tiranno. Un “boomerang” che sfocerà nella più grande rivolta. I confini sono prima abbattuti da un messaggio mediatico e infine dalla sollevazione popolare.

 

Il fatto che siano sempre degli adolescenti a dover pagare un tributo di vite aggiunge forza al messaggio repressivo dei tiranni, perché è condannato a morte il futuro e con lui la speranza.

Le telecamere invece gestiscono un controllo continuo e inquietante nel mondo di Garden, di Emma Romero. L’ispirazione all’antico impero Romano è evidente dal nome dell’ambientazione: Amor, città sorta sulle antiche spoglie di Roma, in cui è capovolto pure il modo di vivere della gente che la popola. L’Italia è divisa in otto Granducati, molto simili a prigioni, con addetti ai lavori forzati. Anche qui il corpo di guardie militari ha un nome paradossale, sono i Giusti, che non esitano a uccidere chi fallisce nei compiti assegnati o nel trasgredire a qualche regola. Questo è un mondo in cui tutto è rigidamente regolamentato e si lavora soltanto. Solo per la Grande Cerimonia ci si ferma ma con l’obbligo di partecipare alle celebrazioni. Questa finta giornata di festa celebra la Rinascita, beffardo richiamo al Rinascimento, poiché ogni arte, studio o diletto sono vietati. Ricorda Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, in cui ogni forma di cultura è annientata, bruciata. Ad Amor esiste solo la produttività estrema:
Il ritardo è negligenza. La negligenza è disordine. Il disordine è il seme della perdizione”.
La vita di ognuno è un ingranaggio della grande macchina e non si può fermare, finché qualcosa però si inceppa e anima la scintilla della rivolta. Come una fiamma che divampa, sgretola i confini proibiti. L’ambiente claustrofobico prende ossigeno dalla speranza della protagonista Maite e i suoi amici. La fuga è verso Garden, dove pare esista la libertà. In realtà il finale non è così scontato: sugli alberi di Garden ci sono delle telecamere mobili che lasciano il posto a nuovi timori. Si avverte la forte sensazione di essere usciti da un recinto per entrare in un altro.

Il Signore delle mosche, regia di P. Brook

Il Signore delle mosche, regia di P. Brook

Il Signore delle Mosche, di William Golding, anticipa l’ambientazione claustrofobica di isolamento a cui bisogna, comunque, adattarsi. I ragazzi che si ritrovano nell’isola, per un caso fortuito, dopo un incidente aereo, cercano di autoregolamentarsi. Ricercano un tipo di democrazia che si rivela utopica. L’uguaglianza pare impossibile da attuare e insorgono gruppi violenti. Accade una situazione simile, nella ricerca di pace e democrazia, anche nella saga iniziata con Divergent, di Veronica Roth. I ragazzi cercano di collocarsi in gruppi distinti, in una sorta di società equilibrata. Non è, però, semplice mantenere la democratica armonia. Il confine è un muro alto, ritenuto di difesa contro le aggressioni esterne, ma in realtà traccia i bordi di una gabbia che contiene e controlla la popolazione interna, per un fine scientifico. Gli abitanti credono di essere gli unici sopravvissuti, ma non è così. Un certo potere ha scelto degli individui per realizzare un esperimento. La città sigillata è Chicago e le fazioni interne sono divise secondo l’indole, la personalità degli individui. Un po’ come accade in modo naturale in Berlin, qui invece è portato avanti in modo organizzato. La divisione e l’assegnazione alle fazioni avvengono solo dopo alcuni test attitudinali, al compimento del sedicesimo anno di età. Questi i gruppi: i Candidi (si occupano delle leggi), gli Eruditi (studiosi e insegnanti), i Pacifici (pacifisti coltivatori di terra e assistenti sociali), gli Abnegati (altruisti più dei Pacifici, fanno parte del governo della città), gli Intrepidi, gli Esclusi (che hanno fallito i test o che accolgono i rifiutati, come gli Intrepidi, che superano l’età adeguata a poter svolgere il loro ruolo preposto), i Divergenti (che potremmo definire “plusdotati”, potrebbero quindi appartenere a più gruppi sociali, e hanno un ruolo fondamentale nell’esperimento). La loro esistenza da reclusi serve per individuare una sanità genetica che possa preservare l’umanità dalle guerre. Sono cavie inconsapevoli.

The Maze Runner

The Maze Runner

Non ci sono mura alte, ma un vero labirinto di siepi, nell’esperimento che riguarda un’altra saga: Maze Runner, di James Dashner. I personaggi, tutti ragazzi, si ritrovano, uno alla volta, all’interno di uno spazio circoscritto e pieno di insidie, le peggiori sono quelle causate dai Dolenti, creature metà animale e metà macchina. Lo scopo è attraversare un labirinto che può significare anche la morte. I personaggi hanno tutti subìto una specie di cancellazione della memoria e lo spaesamento è estremo. Si ritrovano rinchiusi senza sapere perché, né hanno idea del come siano arrivati lì. Salgono uno alla volta con un misterioso ascensore. Finché arriva per la prima volta una ragazza, Teresa, e il mistero si infittisce. Nei vari tentativi di attraversare il labirinto, i pezzi del puzzle aumentano. I Radurai che riescono infine a evadere non fanno altro che ritrovarsi in altri ambienti chiusi, dei laboratori con stanze e simulazioni disorientanti. Anche la ribellione e i salvataggi, alla fine fanno parte dell’esperimento. La fuga pare impossibile e i confini sembrano delle scatole cinesi.

Red Rising. Il canto proibito, l’inizio della saga di Pierce Brown, pone un confine lontanissimo, addirittura in un altro pianeta. Darrow, il protagonista, è un ragazzo che appartiene alla povera casta dei Rossi: è un confine netto, sia spaziale che sociale. Il suo destino è di lavorare come minatore su Marte, una vita rischiosa e dura. Viene sorpreso in un luogo proibito insieme alla fidanzata Eo e per questo sono condannati da un giudice della casta degli Oro. Tutto avviene secondo la legge. Ma stavolta ci sarà la catastrofica conseguenza di un’insurrezione che scaturisce da Eo che, mentre riceve la fustigazione, inizia un canto proibito, di rivolta appunto. Questa ingiustizia non riesce a lasciare indifferente il popolo e alla fine innesca la stessa miccia di Katniss di Hunger games. Con l’insurrezione saltano tutti i confini prestabiliti dalla tirannia.

 The 100

The 100

In effetti, allontanando nello spazio i confini, si sfocia nella fantascienza: The 100, di Morgan Kass, pone la popolazione in stazioni spaziali e cento sono i ragazzi che devono tornare sul pianeta terra, abbandonato da tempo a causa della distruzione post atomica, per trovare tracce di vita, con la speranza di un nuovo inizio. Confini ignoti da dover attraversare. O una situazione inversa, cinematografica però: Elysium, (U.S.A, 2013 regia Neill Blomkamp) in cui la casta, come per gli altri libri qui ricordati, si isola. Il potere è inattaccabile e chiuso in una stazione spaziale extralusso, in cui ogni casa è dotata di un lettino tecnologico “riparatore” dei corpi, mentre sulla Terra regna povertà, indigenza e malattie incurabili.

Le storie distopiche o fantascientifiche che narrano di realtà sgradevoli, sebbene lontane, altro non sono che proiezioni di nostri reali problemi, spinti fino all’estrema loro possibile realizzazione. Quel possibile deve disturbarci.
Le rivolte e le fughe di ogni trama creano squarci nel potere del tiranno. I varchi che si aprono sono spesso letali. L’azione e l’avventura non distolgono l’attenzione dalle proiezioni nefaste. Sono finzioni ma suscitano una vera inquietudine. Nella realtà, l’umanità vive solo nel pianeta Terra, e come se fosse priva di memoria, continua ad alzare muri. Non so cosa possa spaventare di più.

Bibliografia
1984 di Orwell, Mondadori, 2002 (scritto nel 1949)
Qualcosa là fuori, di Bruno Arpaia, Guanda, 2016
Berlin, di Fabio Geda e Marco Magnone, Mondadori, 2015
Hunger Games, di Suzanne Collins, Mondadori, 2009
Battle Royale, di Koushun Takami, Mondadori 2009
Under, di Giulia Gubellini, Rizzoli, 2014
Garden, di Emma Romero, Mondadori, 2013
Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, Mondadori, 2000, (scritto nel 1953)
Il Signore delle Mosche, di William Golding, Oscar Mondadori, 2016,(scritto nel 1954)
Divergent, di Veronica Roth, De Agostini, 2012
Maze Runner, di James Dashner, Fanucci, 2011
Red Rising. Il canto proibito, di Pierce Brown, Mondadori, 2016
The 100, di Morgan Kass, Rizzoli, 2016

sull'autore

Francesca Mariucci

Collabora con il blog specializzato Piccoli Lettori Crescono, del network Book Avenue, in qualità di redattrice, occupandosi di recensioni di libri per bambini e ragazzi. Scrive storie rivolte ai ragazzi e promuove laboratori e approfondimenti di lettura. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo per ragazzi, La vacanza spettrale ed è autrice della serie audio Cucù&Company su Radio Magica.