A mille ce n'è

Le fiabe intrecciate di Beatrice Solinas Donghi e Luigi Capuana

Written by Virginia Stefanini

Non c’è fiaba che non abbia una trama intrecciata con quella di un’altra storia. Talvolta l’intreccio è solo un filo sottile, altre volte una solida catena.

Intrecciare le trame pare sia un modo assai furbo che hanno i narratori e compositori di fiabe, per attirarci col miraggio di un nuovo racconto, ben sapendo che buona parte del nostro piacere risiederà invece nel veder soddisfatte le nostre aspettative sulla storia.

Gli intrecci fiabeschi sono estremamente interessanti da scovare e possono diventare un gioco compositivo molto stimolante. Tanto stimolante da rimanerne invischiati.

Ed è proprio così che, a rischio di non riuscir più a sbrogliare questa matassa, sono finita ad intrecciare le storie di due moderni autori di fiabe come Luigi Capuana e Beatrice Solinas Donghi.

L’accostamento dei due nomi ora vi parrà forse fortuito, ma spero che seguendo il filo del mio discorso, alla fine converrete che non è affatto casuale. Vero è che li separa un secolo: Capuana è autore di fine Ottocento, Solinas Donghi scrisse quasi cent’anni dopo. Entrambi però conoscevano e amavano la tradizione fiabesca – lui quella siciliana, lei quella ligure, ma non solo – a tal punto da volervicisi cimentare a loro volta, divenendo autori di fiabe.

Il caso o il destino (editoriale) ha voluto che di questi tempi li possiate incontrare entrambi in libreria, cosa che non accadeva da tempo. E questo mi è parso fin da subito un altro filo che li lega.

Di Luigi Capuana cercate L’Uovo nero, un albo illustrato da Alicia Baladan, liberamente ispirato all’omonima fiaba dell’autore, proposta in una versione scritta da Sante Bandirali. L’albo è pubblicato dalla casa editrice che, proprio in suo onore, porta il nome di Uovonero nel decennale della sua fondazione.

Il racconto originale è stato sfrondato dei suoi sentori più ottocenteschi e ridotto a una misura e a un ritmo adatti all’albo illustrato contemporaneo, ma mantiene intatta la sua vivacità e vena popolaresca.

È la storia di una contadina e della sua gallina, che un giorno depone un uovo bianco e uno tutto nero. Quest’ultimo nessuno lo vuole comprare, ma la gallina suggerisce che sia la regina a covarlo nel petto. Ne esce un galletto sfrontato e pestifero, che urla a squarciagola e razzola senza sosta, tanto da attirare su di sé l’ira del re, che se lo fa cucinare arrosto. Ma la testa del galletto sopravvive nella pancia del sovrano, quindi non resta che ridargli la libertà. A seguire un’altra serie di guai, che culminano nella trasformazione del galletto in un bel principino ereditario.

Non si può restare fermi ascoltando la storia dell’Uovo nero: fra un “chicchirichì” e l’altro, urge voltare pagina per sapere cosa accadrà poi. In questo senso la forma dell’albo illustrato enfatizza perfettamente il meccanismo narrativo di questa e altre fiabe, fatto di imprevisti, soluzioni, nuovi imprevisti e così via.

I testi fiabeschi, anche quando in edizione per ragazzi, vengono solitamente impaginati come racconti a pagina intera, magari stampati anche in caratteri piccolini: in questi casi ricostruirne il ritmo a voce alta richiede grande attenzione. Ritrovarsi invece a girare la pagina di un albo crea naturalmente la giusta suspense che prelude alle svolte più eccitanti.

Luigi Capuana, che era molto attento alla dimensione orale della fiaba e al ruolo del narratore, sarebbe stato lieto di un adattamento così tagliato per la lettura ad alta voce.

“L’Uovo nero”, testo di Sante Bandirali, illustrazioni di Alicia Baladan, Uovonero, 2020.

 

Nella sua prima raccolta C’era una volta…: fiabe, in cui era contenuto anche L’Uovo nero, Capuana inserì chiare indicazioni sulle aspettative del suo pubblico – i bambini – e sullo stile che l’autore deve adottare:

“Pochi autori, aspettando dietro le quinte la sentenza del pubblico, credo abbiano tremato al pari di me nel vedermi davanti quelle vispe e intelligenti testoline che pendevano dalle mie labbra, mentre io tentavo di balbettare per loro il linguaggio così semplice, così efficace, così drammatico, che è l’eccellenza naturale della forma artistica delle fiabe.”

Nulla è superfluo e nulla deve andare sprecato, perché il tempo della fiaba è limitato e l’attenzione degli ascoltatori va tenuta desta. Su semplicità ed efficacia della fiaba la pensava in modo molto simile anche un’altra autrice: se avete ancora in mente il bandolo del nostro discorso, avrete già capito che si tratta di Beatrice Solinas Donghi, che nel suo saggio La fiaba come racconto scriveva:

“Al narratore orale è precluso il grigiore e l’uso dello sfumato: i mezzi con i quali ottiene la sua meccanica interiore di momenti sospensivi e momenti risolutori debbono potersi mandare facilmente a memoria (che è come si capisce la prima esigenza di ogni narrativa non scritta); essere semplici, perciò, e nello stesso tempo abbastanza brillanti da colpire l’attenzione.”

Il saggio è molto articolato e propone un’analisi arguta e accurata di come si sono formate e consolidate le trame di alcune famosissime fiabe tradizionali. Lontana dalle interpretazioni psicanalitiche o etnografiche sul loro significato nascosto, Solinas Donghi legge le fiabe come perfetti congegni narrativi, rilevando come la loro origine orale, con la sua logica e le sue necessità, abbia largamente contribuito a fissarne gli snodi e lo stile.

Qua e là nei capitoli spunta anche Luigi Capuana, con riferimenti a una o due delle sue storie, eredi moderne di questa o quella trama millenaria. A Capuana l’autrice dedicò anche un breve articoletto, “Capuana, un verista incantato da orchi e fate”, pubblicato su “Tuttolibri” nel marzo del 1981, in occasione dell’uscita del volume Fiabe per Sellerio. In esso si legge l’ammirazione di Beatrice Solinas Donghi per il suo predecessore, che “diede al concatenamento degli incantesimi, alle botte e risposte secche dei dialoghi, alla ripetizione letterale delle formule, un rigore ferreo di meccanismo”.

I concatenamenti, la brillantezza dei dialoghi, l’umorismo asciutto, tutte le caratteristiche più apprezzate da Beatrice Solinas Donghi nel rileggere Capuana, ricompaiono felicemente nel suo lavoro di autrice.

Infatti, se la sua sapienza intorno al fiabesco culmina nel saggio pubblicato nel 1976, essa nasce ben prima, dalla fascinazione della lettrice bambina e dalla sua esperienza come autrice per ragazzi, iniziata negli anni Sessanta con la pubblicazione della raccolta Fiabe incatenate per Rizzoli.

Finalmente, dopo tanti anni trascorsi fuori catalogo, abbiamo a disposizione una nuova edizione di Fiabe incatenate, pubblicata da Topipittori con illustrazioni originali di Irene Rinaldi.

Il libro è un caleidoscopico girotondo di fiabe e le immagini che lo accompagnano hanno esse stesse la brillantezza di forme colorate che si stagliano sul fondo bianco in inusuali combinazioni. Come si conviene alla tradizione e coerentemente con quanto in seguito sosterrà nel suo saggio, tutti i racconti dell’autrice sono perfettamente calibrati per essere narrati ad alta voce, sera dopo sera, capitolo dopo capitolo. In essi Beatrice Solinas Donghi smonta e rimonta tutti gli elementi chiave dell’universo fiabesco, ricombinandoli in una nuova forma.

Le storie sono nove e vi compaiono semi magici da cui germogliano tralci giganti che conducono a un palazzo di alabastro, aghi che cuciono da soli sontuosi vestiti da sera per giovani sventurate. Ragazze che al posto di una scarpetta di cristallo si ritrovano con un piede di vetro, ranocchi parlanti. Principesse rinchiuse in una melarosa, dodici fate in gabbia. Lupi che si travestono da sposi, volpi che si fingono umane per aiutare un buon giovane a coronare il suo sogno d’amore.

È facile intuire che i personaggi, le loro peripezie, gli oggetti che toccano e i luoghi che visitano sono tutti stati “presi in prestito” da un’altra storia, ma non per questo ci interessano di meno. Anzi: l’autrice si muove con scaltrezza fra le vicende e ci invita a partecipare ad un ulteriore gioco narrativo, “incatenando” le sue fiabe l’una all’altra.

Accade quindi che il personaggio secondario di una diventi protagonista di quella successiva, o che lo stesso luogo venga frequentato a più riprese nel corso di storie differenti. Le fiabe che terminano possono sempre generarne delle nuove.

“Fiabe incatenate”, Beatrice Solinas Donghi, illustrazioni di Irene Rinaldi, Topipittori, 2020

Ero ancora intenta a filare il mio discorso, quando mi sono accorta che anche Luigi Capuana congegnò un piccolo “incatenamento” fra i suoi primi due libri di fiabe, il già citato C’era una volta…: fiabe, pubblicato nel 1882, e il successivo Il Raccontafiabe. Seguito al «C’era una volta…» del 1893.

Come se fra gli autori di fiabe ci fosse l’esigenza di non lasciarsi scappare nulla che possa servire a creare un’altra storia e poi un’altra ancora!

Protagonista è l’alter ego dell’autore, chiamato il Racconta-fiabe. Egli compare per la prima volta in C’era una volta…, dove lo troviamo intento a un disperato tentativo di accontentare i bambini, stufi dei soliti racconti tradizionale. Anche se tutti gli sussurrano che “di fiabe nuove non ce n’è più; se n’è perduto il seme”, fata Fantasia gli dona alcuni oggetti magici, capaci di ispirare le sue creazioni.

Anni dopo, Racconta-fiabe ricompare nella prefazione alla raccolta che porta il suo nome. Desideroso di cimentarsi nuovamente con la scrittura, ritira fuori gli oggetti ricevuti, ma scopre che hanno già esaurito il loro potere.

Tanta è la sua stizza che corre a prenderli, “il ranocchio, la stiacciata, l’arancia d’oro, la serpicina, l’uovo nero, i tre anelli e le altre cosettine regalategli dalla Fata” e li pesta in un mortaio, riducendoli in polvere. Ne prende un pizzico e se lo strofina con disprezzo fra le dita esclamando:

“- Così non mi verrà più la tentazione di provare, e dire: C’era una volta!…

Ma non aveva ancora finito di pronunziare queste parole, che già su la punta della lingua gli s’agitava una fiaba nuova. E se la raccontò da sé, divertendosi come un bambino.

Allora, sbalordito, prese un altro pizzico di polvere e:

– C’era una volta!…

Ed ecco un’altra fiaba nuova nuova, ch’egli si raccontò da sé, divertendosi come un bambino.”

La vicenda del Racconta-fiabe suona come una vera e propria dichiarazione di poetica da parte dello scrittore di “fiabe letterarie”, a cavallo fra tradizione orale e invenzione autoriale.

La vivida immagine degli oggetti fatati mescolati tutti insieme in un mortaio e ridotti in polvere, come ingredienti di una antica pozione magica, pronti a rinnovare il proprio effetto anche una volta privati della loro composizione originaria, ci riporta ai trucchi più antichi del mestiere del racconta-fiabe, usati con profitto e gusto anche dai moderni. Per narrare efficacemente bisogna saper riassemblare con sapienza gli elementi noti, imprimendo loro effetti sorprendenti.

Le fiabe ci piacciono proprio per questo: perché siamo in grado di riconoscerle a prima vista anche se non le abbiamo mai sentite o nessuno le ha mai raccontate prima, grazie alla loro “formula” magica, fatta di un pizzico di questo, un pizzico di quello.

 

Bibliografia
L’Uovo nero, Sante Bandirali, illustrazioni di Alicia Baladan, Uovonero, 2020
C’era una volta…: fiabe, Luigi Capuana, testo liberamente consultabile su liberliber
Il Raccontafiabe. Seguito al «C’era una volta…», Luigi Capuana, testo liberamente consultabile su liberliber
La fiaba come racconto, Beatrice Solinas Donghi, Mondadori, 1993 (prima edizione Marsilio, 1976)
“Capuana, un verista incantato da orchi e fate”, Beatrice Solinas Donghi, “Tuttolibri”, n. 262, 21 marzo 1981
Fiabe incatenate, Beatrice Solinas Donghi, illustrazioni di Irene Rinaldi, Topipittori, 2020

sull'autore

Virginia Stefanini

Laureata in studi teatrali, dopo essere diventata bibliotecaria si è specializzata "sul campo" in letteratura per ragazzi. Collabora con riviste e siti specializzati, oltre ad animare le pagine del suo blog personale GiGi Il Giornale dei Giovani Lettori. Nel 2017 ha frequentato Bottega Finzioni, la scuola di scrittura in cui sono nate le sue prime storie per bambini e ragazzi, in corso di pubblicazione a partire dal 2020.