Clementina Mingozzi è un’artista e illustratrice il cui lavoro ruota da vicino intorno al Bianco e al Nero e in particolare alla papirografia, tecnica a cui l’artista dedica da tempo opere e riflessioni. Con lei abbiamo ragionato di illustrazioni, di tecnica, in un modo che lascia trasparire come la ricerca si faccia soprattutto con le mani, non solo con la testa e le parole, ma con il corpo che scopre. La ringraziamo di questa intervista, la nostra terza e penultima per il tema di questo mese.
Nella biografia che si può leggere sul tuo sito scrivi. “Clementina Mingozzi nacque a tempo debito e con le forbici in mano. Dopo aver tagliato velocemente il cordone ombelicale, tagliò la corda e prese a ritagliare tutto ciò che trovava…”. Dopo aver tanto ritagliato ci potresti svelare quali sono i soggetti e le figure che popolano maggiormente il tuo immaginario di ombre e carta?
I primi ritagli rispecchiavano il lessico famigliare di un mondo naif: esploratori, clown, folletti, draghi, anatre, boschi, fino all’esaurimento, poi un rigurgito, qualche anno di accademia, e infine è passato. Iniziavano quasi a darmi fastidio, non erano più me. L’unica forma che è rimasta con il passare degli anni è, a volte, la foglia di quercia. Il soggetto preponderante è la natura, in questo le nuvole sono un piacere narrativo per molti stati d’animo.
Quali sono i limiti o i vantaggi di raffigurare i soggetti esclusivamente attraverso profili?
La sintesi attuata dalla silhouette elimina la maggioranza delle linee che danno volume alle forme: questo è il primo limite importante per la leggibilità dell’illustrazione. Si impara, perciò, a fare attenzione a ciò che insegnava Walt Disney per l’animazione: “…ogni posa deve essere leggibile in poche frazioni di secondo…per vedere se l’azione è ugualmente comprensibile”.
Per una papirografa la preferenza per la carta nera su fondo bianco è quasi scontata, è il nostro cervello a suggerirlo, ne rimane inciso, per semplicità di lettura. Diventa un limite se si volesse utilizzare, per un qualsiasi motivo, il colore. Come diceva Matisse, passare dal nero al colore è tutt’altro che facile. Mi spiego: l’immagine realizzata rimane in mano, staccandosi dal fondo; la sagoma ha la priorità su tutto – diversamente dal collage -, qualsiasi colore o segno aggiunto ruba l’attenzione, con l’effetto di avere in scena due protagonisti che se la contendono. È un equilibrio delicato. È stata una lotta dura, ma mi ha fatto sentire più forte quando con il tempo ho saputo come risolverlo: il colore doveva essere definito dalla luce e non viceversa. Perciò ho iniziato ad usare carte semitrasparenti e tinte da me, percorribili dalla luce, evitando quelle con una maggiore personalità.
C’è anche un elemento che può sembrare un vantaggio e che a volte, al contrario si rivela un grosso limite: l’aspetto decorativo, tipico della silhouette. Avrei potuto abbandonarmi ad accattivanti colori pastello e all’iconografia tradizionale, ma volevo poter raccontare, non far da sottofondo di svago.
Fino a pochi anni fa tutti questi elementi uniti riducevano le possibilità di pubblicazione; oltre tutto, il nero pieno trapassava se stampato su carta di bassa qualità. Si perdevano le ombre, le trasparenze e lo svolazzare del ritaglio. Era troppo costoso riprodurre i lavori così ottenuti, ci si accontentava di una semplice silhouette piatta. Oggi, se voglio evidenziare la papirografia, ho la possibilità di fornire io stessa il file fotografico con le luci e ombre giuste: fanno parte dell’espressione del lavoro, sono il tocco finale.
In quella che definisci “arte nera”, tecnica assai antica, che tu stessa hai applicato non solo all’illustrazione ma anche al teatro, il forte contrasto prodotto dai ritagli scuri sul fondo chiaro della pagina, o dalle ombre in controluce su uno schermo, che effetto genera, secondo te, in chi li guarda?
Dopo il primo istintivo sgomento del buio o del foglio nero, si sta al gioco. Lo spazio che gli occhi non possono penetrare attrae la nostra curiosità, benché si sia ormai smaliziati verso ogni tipo di immagine e nessuna fantasmagoria bidimensionale ci possa più spaventare come un tempo.
Il buio, come il foglio nero, ci aiuta a essere concentrati. Inoltre, provate a porre vicine due silhouette dello stesso soggetto, una bianca su fondo nero e, viceversa, una nera su fondo bianco: vi accorgerete subito che la prima vi sembrerà vuota, la seconda potrete immaginarla con facilità prendere vita. È questo il semplice fascino che ci ammalia, un’alterità sempre presente al di là di noi. Questo è l’aspetto curioso. La sagoma nera tra le mani è naturale farla svolazzare, creare ombre e sfruttare le grandi potenzialità narrative che le sono proprie muovendo il ritaglio.
E cos’è per te il “Nero”?
Il Nero possiede una forza espressiva unica, spiegabile, forse, solo pensando ai nostri primordi. Per me è l’invito muto alla libertà d’immaginazione, in tutte le sfumature infinite della nostra sensibilità. Come avviene con la luce assorbita dalla superficie del nero, anche noi senza volere ne siamo risucchiati. È spazio libero, basta non opporvisi.
Figuriamoci quali altre possibilità espressive nascono se, invece di limitarci allo spazio nero del foglio, possiamo dialogare con uno spazio fisico buio, con la nostra ombra o un’ombra che abbiamo la libertà di muovere: si aprono varchi!

Illustrazione di Clementina Mingozzi in Nero lupo rosso Cappuccetto, Biblioteca Sala Borsa ragazzi, 2004
In occasione della mostra Nero Lupo Rosso Cappuccetto, svoltasi nel 2004 a Bologna, ti è stato chiesto di illustrare la versione di Perrault della celebre fiaba. Molti illustratori hanno utilizzato le silhouette per tradurre in immagini la natura essenziale dei personaggi fiabeschi: tu che ne pensi del binomio fiaba/silhouette?
Questa forma narrativa gode di una particolare libertà che ben si abbina alla potenzialità immaginativa delle silhouette. Ma credo che tutto dipenda da come si realizza la silhouette: a volte l’espressione in nero può essere molto impegnativa, pretende di essere ascoltata, è netta, come se andasse dritta al nutrimento, più che soffermarsi sul sapore. Altre volte è eccessivamente edulcorante.
Dipende anche da cosa ci si aspetta da una fiaba. Cappuccetto Rosso fa parte di un genere particolare, è ancora attuale. La fiaba con principi e principesse mi pare un mondo molto più lontano. Penso non sia un caso se Ocelot, in Principi e principesse, abbia usato il rito della vestizione come antecedente ad ogni narrazione nella sua realizzazione animata, oltre ad una costante sottile ironia. Occorre riflettere se interpretare la fiaba con una silhouette di stile tradizionale sia funzionale alla vita del racconto. Potrebbe corrispondere a rinchiudere la fiaba in una capsula del tempo, privandola della possibilità di evolversi.
Nella tua recentissima mostra Eco d’ombra, presso la galleria Nelumbo di Bologna, hai invece lavorato, sempre con ritagli neri, ma con suggestioni materiche e astratte… che rapporto c’è tra ombra ed essenza?
È una domanda difficile, perché è più percepibile a “pelle” che non razionalmente.
Se si potessero far evaporare i sentimenti e i pensieri realizzati in Eco d’ombra, probabilmente la goccia d’essenza raccolta sarebbe la misteriosa attrazione del nero e dell’ombra… ma se avessi dato attenzione al nero poiché la luce attorno è troppo intensa?!
In fondo, le forbicine nella realizzazione della sagoma svolgono proprio questo lavoro: creano il confine con la luce.
In Eco d’ombra i miei lavori volevano vivere dello spazio vicino. Ho cercato di essere più essenziale e “limpida” possibile, per far parlare il foglio nero e l’ombra, far emergere la mia essenza attraverso loro. Ho evidenziato il dialogo che le luci creavano con le ombre dei fogli lavorati, con superficie e forma delle sagome, confini netti e strappati, affinché l’emozione che ho provato in tanti anni trapelasse nei lavori e il ritaglio si rendesse vivo. Ho avuto la libertà di poter giocare con uno spazio molto più duttile di una pagina di libro, in cui anche il pubblico sarebbe entrato fisicamente. A volte mentre procedevo con il lavoro avevo l’idea di abbracciare a vuoto l’aria: non un testo a cui appigliarmi, nulla, solo un sentire astratto. Non è scontato metterlo a fuoco. Non è scontato far emergere un’essenza attraverso la materia!
Penso che l’apparente durezza del nero buio di una sagoma sfumi in morbidezza quando, con il taglio, la luce descrive lo spazio attorno ad essa: probabilmente è lì che si coglie l’essenza di cui parli. E spero che questa sia rimasta pulsante nei miei lavori.

Poesie per aria, Chiara Carminati, illustrazioni di Clementina Mingozzi, Topipittori, 2008
In Poesie per aria, la raccolta di poesie di Chiara Carminati e pubblicata da Topipittori, sei riuscita a tradurre le parole evocative dell’autrice in una sintesi grafica raffinata e puntuale, anche in presenza di suggestioni astratte e sfruttando il rapporto di testo e figure con l’intera pagina, bianca o nera. Come ti sei relazionata con il testo e l’oggetto libro?
Quello che faccio sempre di fronte ad un testo, dove è evidente la presenza di un autore, è cercare la sensibilità che lo conduce. La sfida è trovare l’accordo che dia armonia all’incontro e si traduca nel mio modo di percepire l’altro. I testi di Chiara esprimono un senso d’osservazione affettuoso verso la natura, con un uso della parola che appare spontaneo, immediato ed essenziale; caratteristiche, queste, che rendono al meglio anche nella papirografia. Potevo esserlo anch’io, con i miei strumenti, nulla di meglio! I “Topi” hanno con passione fatto la loro parte, curando la resa in stampa anche delle carte più trasparenti.

Poesie per aria, Chiara Carminati, illustrazioni di Clementina Mingozzi, Topipittori, 2008
Ci regali tre parole per raccontare la tua idea di illustrazione?
È scoprire un mondo, è per questo che mi emoziona. Devo andare incontro alla sensibilità dell’autore dei testi, cercando nell’immagine un’interprete visiva che renda possibile l’incontro, questa è la meraviglia. Non tanto trattare l’oggetto del narrare, quanto il soggetto narrante che mi si rivela. È come salire su un terzo pianeta intonso – la pubblicazione -, in cui l’impegno è costruire armonie.
E tre per descriverti come illustratrice?
Sono un’esploratrice. Mi piace pensarmi come un caleidoscopio: ogni frammento di vetro colorato è un frammento di immagine da me filtrato, da unire nel puzzle delle mie esperienze, scoprendo con stupore combinazioni inaspettate.
Forse è questo che mi concede la papirografia: la possibilità di rispondere con la totalità di me stessa, senza equivoco, regalandomi però, allo stesso tempo, uno spazio di libertà in cui muovermi, insondabile e intoccabile.
Nero lupo rosso Cappuccetto, Chiara Carrer, Nicoletta Ceccoli, Clementina Mingozzi, Octavia Monaco, Biblioteca Sala Borsa ragazzi, 2004, Bologna
Poesie per aria, Chiara Carminati, illustrazioni di Clementina Mingozzi, Topipittori, 2008, Milano
[…] anche la presentazione del libro La piccola Charlotte filmmaker e la partecipazione dell’artista Clementina Mingozzi, che svelerà a bambini e genitori i segreti della papirografia e del cinema in […]