Nessuna parola è più evocativa di C A S A.
Casa nell’immaginario collettivo è quella lì con il tetto a triangolo e il corpo rettangolare o quadrato.
Anche nella lingua italiana dei segni. Nulla di più semplice, immediato, scontato.
Un’immagine arcaica alla quale sembra di non poter aggiungere null’altro, in quella piccola parola di due sillabe sta dentro tutto.
Per sottrazione una casa è sabbia e acqua. E sino a qui nessuna ebrezza.
Ma se solo volessimo lasciarci prendere la mano dalla vertigine della lista – Carla Ghisalberti ne parla qui – allora potremmo aggiungere e senza timore di apparire matti:
calce cemento ferro tubi tondini legno spine chiodi bulloni infissi travi porte finestre tegole coppi tetto muri pavimenti fili cavi interruttori piastrelle metallo fuoco gas carta matite computer linee piante verde colore pitture pennelli tempere moquette tappeti ceramiche vetro tessuti…
E, tra un attimo, altro si aggiungerebbe sino a perdere completamente la cognizione della figura C A S A.
“…che poi, cosa significa casa? Sono le mura domestiche, sono un oggetto, sono i sentimenti, i rapporti all’interno di un’abitazione?” domanda Luca Tortolini con Claudia Palmarucci parlando dell’albo Le case degli altri bambini, Orecchio Acerbo, menzione speciale al Bologna Ragazzi Award 2016.
Casa sono anche a pieno titolo:
uomini donne bambini bambine gente che va e che viene gatto cane canarino vecchi giovani appena arrivati partiti per sempre per sempre presenti fantasmi nonne nonni zie zii cugini amici amiche il postino il custode il vicino e la vicina sopra o sotto ma anche accanto sono gli odori la vita dentro e fuori e nelle case degli altri gli oggetti.
La lista C A S A si allungherebbe all’infinito se solo ne avessimo voglia, colti dallo spasmodico desiderio di elencare, compilare, di aggiungere elementi, sempre più euforici incitandoci in un corpo a corpo con la memoria.
Vinicius de Moraes nel 1969, in una raccolta di poesie per i suoi nipoti, con A casa accende nuove possibilità all’immaginario C A S A, introducendo il concetto di un non luogo casa:
[pullquote align=center]Era una casa molto carina
senza soffitto, senza cucina
Non si poteva entrarci dentro
perché non c’era il pavimento
Non si poteva andare a letto
in quella casa non c’era il tetto
Non si poteva fare pipì
perché non c’era vasino lì
Ma era bella, bella davvero
in via dei matti numero zero
[/pullquote]Michele Mari con ASTERUSHER Autobiografia per feticci, Corraini Edizioni 2015, ben quarantasei anni dopo così definisce il non luogo casa: ” …secondo l’idea, o la poetica, per cui in assenza di riferimenti e di perimetri ogni lettore potrà ricostruirsi mentalmente la casa che vorrà.”
Così, nel cercare di catalogare l’immaginario sulla base di un’idea C A S A, il pensiero corre più a ciò che la evoca senza disegnarla. Ai rumori, a un’immagine di muro scrostato di differenti colori, a una carta da parati, a una crepa, ai pavimenti-soffitti-soffitte, ai suoi fantasmi, ai profumi, a un non luogo che possa fluttuare nei non luoghi dell’immaginazione più fervida.
La casa diventa un concentrato di immagini, di utensili e oggetti che appartengono ad essa più che a chi l’ha abitata, perché sono sempre stati lì, in quel vaso, appesi a quel muro, nella toppa di quella porta, nello scricchiolio di quell’asse. Il vero collezionista è la casa e gli oggetti coloro che vi rimarranno a imperitura memoria.
Le immagini come gli spazi si affollano, la lista si allunga, l’ebrezza sale.
E la letteratura per l’infanzia non manca di fornire la sua variopinta e magica visione di C A S A come non luogo, senza confini.
Batacchi. Quelli che il tempo ha ridotto a semplici e moderne serrature. Quelli a volte annoiati, che sbadigliando han perso il battente. Quelli che si sapeva di esser diventati grandi quando non si doveva più levarsi in punta di piede per impugnarli e sbatterli con forza.
Senza un colore per ogni lato – nero per il futuro, verde per dove vive il re, blu per la valle fiorita – si poteva bussare ed era la chiave d’ingresso a un mondo che non era di nessun altro, senza temere: là dietro c’era casa.
Ma prima bisogna superare una soglia, aprire una porta… quale porta? Una porta a morte certa.
C A S A è quella tappezzeria toile de Jouy unico orizzonte in pomeriggi di noia o di attesa, quando tutto può diventare un compagno di giochi e portarti lontano, farti entrare in quel disegno, oltrepassare il tuo presente con un tonfo e percorrere a rotta di collo quelle strade, prima saltellando e poi correndo, quelle che tu immagini strade ma che sono solo spazi bianchi, tra un disegno e l’altro, poi fermarsi e giocare con i personaggi, inventarsi un gioco, un dialogo, poter vivere avventure le più originali e stancanti, tra velieri e torri, carri di fieno e un Cane Rosso con cui potersi rincorrere.
Andare oltre quel muro, averlo immaginato mille volte, poter disegnare una porta, una soglia da passare per fuggire da una scatola, come solo le stanze sanno essere a volte, ed entrare in spazi aperti rarefatti, dove i colori sono vivi e luminosi dove basta aver con sé quel pastello rosso per realizzare navi, mongolfiere, tappeti volanti o la semplice ruota di un tandem per andare lontano con un nuovo amico.
C A S A è la noia che tinge di seppia qualsiasi cosa, è quella sensazione di invisibilità quando ti senti scacciato dai grandi impegni degli altri, tu e i tuoi giochi da bambina.
[pullquote align=center]Le pareti erano state tappezzate con pezzi di vecchie lettere prese dai cestini della carta straccia e disposte in modo che la scrittura formasse delle righe che andavano verticalmente dal pavimento al soffitto. Un rigo diceva “…mi farebbe tanto piacere se…”
(Mary Norton, Sotto il pavimento Salani, 1988)
[/pullquote]Un lembo di tappezzeria staccato. Un buco nel muro dal quale filtra una luce, la soglia oltre la quale buttarsi e tra quei broccati riconoscersi e pensare forte tanto da sentirsi, parlare, abbracciarsi.
[pullquote align=center]Peccato che questa non sia la realtà, ma soltanto…uno scambio di pensieri. Ma chissà che non possa bastare.
(Mara Cerri, Via Curiel 8, Orecchio acerbo 2009)
[/pullquote]In quei pomeriggi dove neppure l’eco di un passo può distrarti dal pensare guardando fisso quel lembo nel quale passare e viaggiare. E comunque, anche se fosse, non sarebbe q u e l passo.
Un pavimento che si percorre ogni giorno conserva passi che risuonano nell’immaginario, nel ricordo di chi lo attraversava, arrivando o partendo per un luogo o per una stanza diversa. Il rumore dei passi a seconda della scarpa indossata, il cigolio di talune calzature, disegnano un ricordo tangibile legato all’ingresso, alla scala, ad un lungo corridoio, alla C A S A.
Si cammina lasciando l’illusione di tracce che si rincorrono e si incontrano, si intersecano, si calpestano per poi andarsene. Mentre si abita quel non luogo pavimento giocando, la memoria va alla sensazione di fresco a volte freddo, l’impronta del pavimento sulle gambe, sulle cosce, sulle mani. Le fughe da seguire come sentieri, fossati, trincee, l’occhio setaccia, corre, alla fine trova quella mattonella che nell’immaginario darà forma alla casa, a quella cucina, quella mattonella un po’ traballante dove immaginare presenze, sotto…
[pullquote align=center]Un filo di luce: sembrava la scia di una lucciola che si snodasse sul pavimento vicino ai suoi piedi, delimitando una specie di quadrato.
(Mary Norton, Sotto il pavimento, 1988 Salani Editore)
[/pullquote]La vertigine della lista, la spasmodica ricerca di quell’oggetto ultimo, mai tale, da addizionare agli infiniti altri porta alla saturazione dello spazio. La lista e la casa si riempiono. Lo spazio, infittendosi di oggetti, ne assume i toni tra i più diversi in una contagiosa euforia cromatica. Ecco, se ora potessimo imprimere un moto a tutto questo, farlo girare vorticosamente, come per la teoria dei colori di Newton torneremmo ad ottenere una pagina bianca, l’assenza di colori, il vuoto.
Torneremmo al concetto di non luogo: a quel non luogo che diventa luogo solo se lo riempi tu. E la lista ricomincia.
Come Silke de Vivo e Alessandro Sanna che tornano a quell’immagine arcaica di casa, quella con il tetto a triangolo e il corpo quadrato o forse ancora con la sola idea del corpo quadrato, due linee appena.
Dimmelo tu – la tua casa di Silke de Vivo per Kite Edizioni è un cartonato bianco opaco a forma di casa, l’intaglio e l’incisione forniscono sottovoce l’idea di porta, di stipite, dei coppi del tetto, degli scuri delle finestre. In questa casa immaginaria possono esserci porte centrali e nessuna finestra; due finestre e una porta ma a lato; una finestra e una porta poste al cento della facciata; solo la porta ma sempre a lato; un fuori e un dentro fatto di porte e finestre che si aprono, di pagine che si girano o di passeggiate attorno se appoggi il libro e lo apri circolare. La tua casa la puoi disegnare tu, con il colore che vuoi. Mentre segno dopo segno la lista si ricompone.
Alessandro Sanna nel 2009 celebra terapeuticamente la casa l’indomani del terremoto in Abruzzo con Una casa, la mia casa, Corraini Edizioni, una poesia dedicata ai bambini che in quell’occasione la loro casa l’hanno persa veramente e la lista dei ricordi preme da dentro gli occhi. Ecco allora che il morfema casa, il segno immagine che appartiene anche alla LIS, si trasforma in scusa per disegnare le gambe di un bambino che sdraiato gioca a palla, il viso della mamma che ne custodisce per sempre l’anima, una bimba che si accuccia oltre quelle linee nere perché quel pensiero “mi protegge quando piove”. Un aquilone-casa che vola via perché ora “tra noi c’è il vento”, come nelle case volanti di Laurent Chéhère, dove la casa è un sogno volato via, che come tale si investe di un immaginario che va oltre alla realtà.
E la lista ritorna ma si fa bianca, un segno impresso indelebile nella mente, quel segno bambino che anche tra cento anni vorrà dire null’altro che casa. Una casa che non esiste più o che è in divenire come La casa di Claudia, nel già citato Le case degli altri bambini, un’idea di casa dove non si può entrare, “non ora. Perché non esiste questa casa, ora. Quando Claudia sarà grande, questa casa esisterà”.
[pullquote align=center]
Casa sprangata,
porta sul mondo,
orto e giardino,
parco di re.
Oggi, seduta
qui sulla soglia,
guardo i tuoi muri
e vedo me.
(Casa di Fiaba di Giovanna Zoboli & Emilia Laitinen, Topipittori 2013)
[/pullquote] Bibliografia:
Luca Tortolini, Claudia Palmarucci, Le case degli altri bambini, Orecchio Acerbo 2015
Sergio Endrigo, Nicoletta Costa, Via dei matti, Gallucci 2007
Michele Mari, Francesco Pernigo, ASTERUSHER Autobiografia per feticci, Corraini Edizioni 2015
Jim Henson, Labyrinth – Dove tutto è possibile, USA, 1986, 102′
Guirao, Jullien C. Dvenier, Luna e la camera blu, Babalibri 2014
Aaron Becker, Viaggio, Feltrinelli Editore 2014
Mara Cerri, Via Curiel 8, Orecchio Acerbo 2009
Silke De Vivo, Dimmelo tu – La tua casa, Kite Edizioni 2014
Alessandro Sanna, Una casa, la mia casa, Corraini Edizioni 2009
Giovanna Zoboli, A.E. Laitinen, Casa di Fiaba, Topipittori 2013
Il tema Casa è stato particolarmente esplorato dagli editori italiani e esteri presenti alla Bologna Children’s Book Fair, edizione 2015 e 2016, dove sono stati presentati numerosi albi illustrati aventi come tema centrale la casa. Per maggiori approfondimenti alcuni titoli qui di seguito, oltre a quelli già citati: