Cartografie dell'Immaginario

Monet e il Giardino di Giverny: in viaggio con Linnea

Written by Chiara Del Tufo

Sono due le qualità che mi vengono attribuite da chi mi conosce bene: l’organizzazione e la capacità di approfondimento, ottime quando bisogna muoversi con l’aiuto di mappe, reali e immaginarie; ecco perché, quando Carla Colussi ci ha fatto scoprire che è possibile mappare la conoscenza, ho deciso di servirmi dei miei studi e di tutte le informazioni in mio possesso per delineare un percorso di senso e di scoperta all’interno di un mondo particolare, che lega indissolubilmente i giardini e l’arte. La voglia di approfondire mi ha poi portata a utilizzare un particolare libro come mappa, alla ricerca di un tesoro conosciuto dai più solo in superficie. Il libro si intitola Linnea nel Giardino di Monet e racconta nel dettaglio il viaggio di una bambina alla scoperta dell’autore dei suoi dipinti preferiti. Facendo di questo libro la mappa su cui orientarmi ho dunque preso spunto dai cenni ai giardini di Kensington, nell’interessante articolo di Barbara Servidori, per andare a realizzare la mia personalissima carta dei giardini, utile guida per destreggiarmi fra i sentieri e i ponticelli dell’immaginifico Giverny.

Tanti sono i filosofi, gli scrittori e gli artisti che nei secoli hanno manifestato, più o meno apertamente il loro amore per i giardini; alcuni inserendoli soltanto nelle loro opere, altri esercitandosi anche nella pratica del giardinaggio, che recentemente è stata annoverata a tutti gli effetti fra le arti minori: in ordine sparso mi vengono in mente Voltaire, Rousseau, Proust, George Sand, Virginia Woolf, André Gide, Flaubert. L’artista che, a mio parere, più di tutti gli altri ha fatto dei giardini, e in particolare di un giardino, il fulcro della sua vita e della sua opera adulta è però Claude Monet.

Devo confessare di essermi avvicinata a Monet e al giardino di Giverny proprio leggendo Linnea nel giardino di Monet. Ovviamente conoscevo Monet per averlo studiato da ragazza nel programma di Storia dell’Arte e per aver visto alcune sue opere al Musée d’Orsay a Parigi, ma leggere quel libro, nel 2011, mi ha aperto un mondo sconosciuto, un modo nuovo di guardare a un artista e alle sue opere.

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

Andiamo con ordine e iniziamo a individuare quelli che temporalmente e geograficamente sono ormai diventati dei punti cardinali per chi si occupa di giardinaggio, tanto dal punto di vista teorico che da quello pratico, e che saranno utili nel comprendere a pieno Monet e il suo giardino a Giverny.

Tra i più antichi giardini di cui si abbia notizia c’è l’Eden, conosciuto anche con il nome di Paradiso Terrestre; la Bibbia parla di alberi meravigliosi, carichi di frutti squisiti, di un fiume che si divide in quattro corsi d’acqua e di un uomo, letteralmente messo nel giardino affinché se ne prendesse cura. Fin dalle origini è dunque chiaro che, all’interno del giardino, è essenziale l’attività umana, per dare vita a un disegno ben articolato. Naturalmente è la natura a farla da padrone, ma è una natura costruita e progettata dall’uomo, o in questo caso dal Divino, sulla base di idee, ipotesi, schizzi e appunti che, una volta organizzati, non si discostano troppo da una mappa.

La presenza di un disegno, di un progetto, di indicazioni precise in base a cui orientarsi, è ancora più evidente se si pensa che i creatori dei giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo, sapevano fin da prima di realizzarli come sarebbero apparsi i giardini ai visitatori di Babilonia. La loro mappa, reale o mentale che fosse, prevedeva la compenetrazione di una natura ordinata all’interno degli edifici, in modo che il verde e tutti i colori che le stagioni portavano con sé, facessero da catalizzatore dell’attenzione di chiunque si trovasse a passeggiare in quei palazzi.

I Giardini Persiani, da cui si narra traggano ancor oggi spunto i sapienti tessitori di tappeti, sono invece il primo esempio di gestione degli spazi verdi sulla base di simmetrie, rafforzate da canali di irrigazione a vista, che sfruttano l’acqua convogliata in eleganti vasche poste agli angoli dei rettangoli verdi. Anche di questi non rimangono molte tracce, ma i Giardini Islamici, ancor oggi magnificamente rappresentati dai giardini dell’Alhambra a Granada, ne sono un’evoluzione.

Naturalmente nel Medioevo non erano solo i Mori a interessarsi di giardinaggio e di botanica, molti sono infatti i chiostri creati e coltivati dai monaci, spesso ritratti nei dipinti del periodo con mutevoli significati. In questo tipo di giardini è la simbologia a dettare legge: la forma della croce viene ripresa all’interno del recinto e il numero quattro ritorna ripetutamente a rappresentare, di volta in volta le virtù cardinali, gli evangelisti e, nuovamente, la croce (è facile trovare in chiostri di dimensioni più o meno grandi, quattro aiuole, quattro sentieri o vialetti spesso incrociati perpendicolarmente).

Con l’Umanesimo e il Rinascimento i giardini tornano ad essere simboli di ricchezza e potere anche nella vita pubblica e architetti e urbanisti si dilettano a studiarne e progettarne di magnifici, spinti dalle richieste di Signori, Podestà, Principi e Papi. È questo il periodo in cui prendono piede i cosiddetti Giardini all’Italiana, che fra terrazze, grotte, statue e labirinti includono all’interno del giardino il paesaggio circostante, alla ricerca della migliore prospettiva. Questi paesaggi sono più che mai pensati per stupire e impressionare i visitatori: i canali d’acqua vengono inseriti al loro interno in base alla disposizione delle piante e dei fiori, per generare convergenza di sguardi, siepi e aiuole sono sapientemente impiegate per creare giochi di luce e spazi. Il giardino è sostanzialmente pensato come un racconto, da attraversare e leggere con tutti i sensi a disposizione del visitatore.

Se i Giardini all’Italiana privilegiano le linee curve e le forme arrotondate, quelli alla francese favoriscono simmetrie e linee rette. Il più celebre fra i creatori dei Giardini alla Francese è forse André Le Nôtre, disegnatore, giardiniere, architetto paesaggista, artefice, fra gli altri, dei giardini di Chambord, Fontainebleu, Luxembourg, le Tuileries, Vincennes e Versailles, progettati e realizzati con l’aiuto di esperti di idraulica, meccanica, floricoltura, in modo che in ognuno di essi, in ogni stagione, vi fosse qualcosa di peculiare da cogliere al primo sguardo.

Uscendo da un contesto prettamente europeo e mediorientale, non possiamo dimenticare che anche l’estremo Oriente ha una lunga cultura in fatto di architettura del paesaggio, botanica e florovivaista; nella prima cronaca della storia giapponese (Nihon Shoki), pubblicata nel 720 d.C. si legge che nel 486:

L’imperatore Kenzo andò in giardino e banchettò a bordo di una barca in un ruscello

Quella dei giardini giapponesi è una storia lunga e accattivante, che ha spesso risentito dell’influenza cinese, caratterizzata dalla presenza di elementi fissi dal preciso significato, talmente interessante da aver rapito Monet, raffinato estimatore di stampe e paesaggi giapponesi. Saranno proprio la passione per il giardinaggio e quella per il Giappone e la sua cultura, a portare il grande pittore impressionista a creare l’opera che contribuirà a renderlo immortale.

Giverny riesce a stregare Monet così tanto da diventare lentamente il fulcro del suo universo umano e professionale, grazie a due elementi centrali nella studio e nella visione di questo artista: la luce e l’acqua. Le immagini con cui Monet alimenta quotidianamente il suo immaginario contribuiscono a rendere questo spazio il suo luogo elettivo.

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Si dice che Monet abbia scelto Giverny durante uno dei suoi innumerevoli viaggi verso la costa della Normandia, sua terra d’infanzia, in cui tornava spesso per studiare e ristudiare l’effetto della luce sulle acque che dividono la Francia dall’Inghilterra. Il villaggio si trovava e si trova tuttora in una magnifica posizione, vicina al corso della Senna e dell’Epte, suo affluente. Due sono le valli che ospitano lo scorrere di questi fiumi in questo tratto di Normandia, la valle dell’Epte, splendente nei colori mattutini, e la valle della Senna, meravigliosa al tramonto. In questo ambiente naturale, generato dalla confluenza dei due fiumi, Monet decide di creare il suo Giardino dell’Eden; vuole essere il creatore di un’opera in grado di lasciare tutti a bocca aperta, un’opera che continuerà a disegnare e ridisegnare nella sua mente, negli ampi spazi del giardino e sulle sue imprescindibili tele.
Nel 1883 prende in affitto una casa rosa dalle persiane grigie, circondata da un ettaro di terreno, e vi si trasferisce con la sua famiglia. Il suo primo atto è quello di ridipingere persiane, infissi e porte esterne di un verde che si confondesse con quello presente in natura; sulla falsariga dei giardini babilonesi sarebbe stata la natura a sorprendere il visitatore, lasciando in secondo piano le costruzioni, che avrebbero dovuto mimetizzarsi con il giardino circostante. A questo scopo fa abbattere alcuni muri diroccati sul terreno intorno alla casa e sradica tutto quanto è morto o non corrispondente all’idea di giardino che vuole realizzare, ricco di prospettive, simmetrie e colori; l’influenza di artisti e urbanisti rinascimentali è forte, ma ancora più forte è l’estro di Monet.

Non era infatti la prima volta che realizzava un giardino; in ogni casa da lui abitata aveva sempre curato uno spazio verde e floreale, piccolo o grande che fosse. In questo caso però si tratta di un progetto molto più vasto, che si staglia chiaro nella sua testa: il giardino di Giverny sarebbe diventato il suo quadro a grandezza naturale, dove poter dare sfogo alle sue innumerevoli conoscenze su luce e colori. È talmente concentrato sul suo progetto e proiettato sul risultato che, quando nel 1890 chiede all’amico, mercante d’arte, Durand Ruel, di prestargli i soldi per l’acquisto del podere gli dice di essere sicuro che in quel luogo avrebbe dipinto opere che il mercato gli avrebbe pagato assai bene, e non si sbagliava, se si considera che tre anni più tardi dispone della liquidità necessaria per acquistare un nuovo appezzamento di terra, confinante con la sua proprietà.

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

 

Inizialmente lavora al giardino da solo, o aiutato dai suoi tanti figli; con la vendita delle prime opere però assume dei giardinieri, a cui, quando è lontano da casa, scrive lettere precise con indicazioni ferme sui lavori da portare avanti:

«A marzo semina il prato, dividi i nasturzi e occupati delle glossiniee delle serre calde e fredde» (Oltre il giardino del signor Monet, Giancarlo Ascaris, Pia Valentinis, trad. Sara Marconi, Lapis Edizioni, 2015, Roma, pag. 14).

In Oltre il giardino del signor Monet, non si trovano soltanto le indicazioni che il Pittore dava a giardinieri e famiglia relativamente alla cura del suo amato giardino, in modo essenziale e molto chiaro, con l’ausilio di immagini delicate e particolareggiate, il libro dà a chi lo legge (la casa editrice lo consiglia fin dai 6 anni di età) un’idea precisa del periodo storico e culturale in cui Monet realizzò il giardino di Giverny e le opere ad esso legate e dello stile di vita del pittore.

Le immagini a tutta pagina mostrano un Monet che esce per dipingere in qualsiasi condizione meteorologica, da solo o accompagnato da una giovane figura femminile, che noi sappiamo essere le figlia adottiva Blanche, ma anche un artista che ama ricevere e condividere il suo mondo con amici ed artisti. Le tante informazioni che noi riceviamo dallo scarno testo e osservando ammirati le molte illustrazioni non sono inventate a uso e consumo del lettore; questo libro nasce infatti da un progetto della Royal Academy of Arts, ideato in occasione della mostra “Painting the Modern Garden: From Monet to Matisse”, come è possibile leggere sul sito della casa editrice; è dunque il risultato di uno studio attento e preciso del pittore, di cui tutti noi possiamo facilmente godere.

Per i primi anni Monet non risiede stabilmente a Giverny, viaggia spesso e dipinge tutto ciò che durante quei viaggi ritiene degno di impressionare su tela; quando rientra a casa però, dedica molta parte del suo tempo alla cura del suo giardino. A partire dal 1893 la sua presenza a Giverny diventa costante e Monet si butta a capofitto nella creazione del giardino delle ninfee, che tanto lo ispirerà sul finire della vita. Per farlo acquista un appezzamento di terreno confinante con la sua proprietà, ma separato da una ferrovia, e devia il corso dell’Epte, che scorre su quel terreno, per creare un bacino in cui far crescere le ninfee; ninfee che importa appositamente da paesi esotici, perché in Francia, all’epoca, si trovano in abbondanza soltanto ninfee bianche. In questo ambiente simil naturale inserisce poi ponticelli e canneti di bambù. È, questo, un giardino nel giardino, il suo particolare omaggio ai giardini giapponesi ritratti nelle tante stampe di cui faceva collezione.

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

Oltre il giardino del Signor Monet, Giancarlo Ascari, Pia Valentinis, Lapis 2015

 

I tanti dipinti di questo giardino e delle sue singole parti, e le numerose lettere in cui Monet dava indicazioni su cosa piantare e cosa estirpare, quando era lontano da casa, sono stati le indispensabili mappe che hanno permesso di riportare il giardino all’antico splendore, riproponendo fedelmente, per quanto è possibile, la disposizione di piante e fiori e di tutti gli elementi artificiali e naturali che lo caratterizzano ancor oggi. Alla morte del figlio Michel infatti, l’Accademia delle Belle Arti di Parigi trovò un sito abbandonato, in pessimo stato, che niente più aveva a che fare con la magnificenza di quanto dipinto dall’artista, e quando Gérald Van der Kemp e la sua consorte, fautori del restauro dei giardini di Versailles, vennero incaricati del recupero di questo giardino, utilizzarono i quadri e le lettere come vere e proprie carte da decifrare per far rinascere questa tavolozza su cui il grande pittore aveva lavorato incessantemente dal primo giorno in cui ci mise piede, fino alla sua morte.

Come i dipinti e le lettere di Monet sono state per Van Der Kemp la mappa sulla quale fondare la rinascita della meravigliosa dimora di Giverny, così Linnea nel giardino di Monet è stato da me idealmente letto come una mappa, per orientarmi nell’approfondire lo studio di Monet e del suo giardino; così sono partita, insieme a Linnea e al suo amico Signor Bloom, giardiniere in pensione e grande conoscitore di Monet, in un percorso di scoperta.

Prima tappa di questo viaggio è il Museo Marmottan, ubicato nella casa di Paul Marmottan, critico d’arte, collezionista e mecenate francese che morendo, nel 1932, lasciò tutta la sua collezione di opere del Rinascimento e del XVIII e XIX secolo all’Accademia delle Belle Arti di Parigi, che ivi ha collocato anche il lascito ricevuto alla morte dell’ultimo figlio di Monet, nel 1966, corrispondente a buona parte della collezione personale del grande pittore che comprendeva, oltre ad alcune sue tele, opere di impressionisti suoi amici come Renoir e Manet. Perché scegliere il Marmottan come prima tappa del viaggio alla scoperta del giardino di Giverny? Due sono i motivi: qui ci sono le prime tele che ritraggono le ninfee del giardino e soprattutto qui è esposta la tela che dà in qualche modo origine agli Impressionisti, perché da questa deriva il nome del movimento: Impression, soleil levant, e perché in questa tela sono presenti la luce (del sole) e l’acqua, due elementi che ossessioneranno il pensiero di Monet fino all’ultimo giorno di vita.

Seconda tappa del viaggio è Giverny. Per arrivare a quella che dovrebbe essere la destinazione finale, ma che in realtà non lo è ancora, si prende il treno alla Stazione di Saint – Lazare, guarda caso ritratta da un giovane Monet, affascinato dal gioco di luce creato dal vapore delle locomotive. Appena entrata nel giardino Linnea prova ad immaginarselo visto dall’alto come un “enorme tappeto a strisce, fatto di viottoli e aiuole colorate” (Linnea nel giardino di Monet, Christina Björk, Lena Anderson, trad. Alessandra Valtieri, Giannino Stoppani Edizioni, 2010, Bologna, pag. 21), poi la sua attenzione ricade sulle aiuole, alcune blu, altre rosa, altre multicolore e sui fiori in esse contenuti. Si ritrova catapultata in un’esplosione di fiori e colori. Ovviamente visita anche la casa, ma è il giardino ad averla impressionata perché è di quello che parla nella cartolina che scrive alla famiglia, anticipando che di lì a poco si recherà dove tutti, lei e noi, bramiamo da tempo di arrivare, al laghetto delle ninfee. Per arrivarci però si deve attraversare tutto il giardino e un tunnel che passa sotto la strada, perché i tesori sono sempre un po’ nascosti (più prosaicamente perché Monet acquistò quel pezzo di terra successivamente alla casa e all’appezzamento di terreno ad essa legato, superando tra l’altro numerosi vincoli e difficoltà).

Ecco qui apparire agli occhi della piccola e ai nostri tutte le immagini del giardino di Monet che nel corso del tempo ne hanno impressionato la retina: il ponticello giapponese, le ninfee, la barchetta, la profusione di piante e fiori. Linnea prova anche a tenere impressa nella mente l’immagine del ponte così come lo vede in quel momento, ma si accorge che ci vuole ben altro che un istante per ricostruire un’immagine; inizia così a capire quanto tempo e quanto studio sono stati necessari al grande pittore per riportare su tela le sue impressioni di luce e colori. Provando a disegnare, si accorge inoltre di quanto sia difficile riportare su carta tutto ciò che la circonda, e decide di concentrarsi su un unico elemento: una ninfea.

Fra le dichiarazioni rilasciate da Monet negli ultimi anni di vita ve ne sono alcune riguardanti le ninfee; in una, in particolare dice pressappoco:

Ho messo del tempo a comprendere le mie ninfee; all’inizio le ho piantate per diletto e poi, tutto d’un tratto, si sono rivelate il fulcro della mia opera. Le ninfee sono diventate la mia ossessione

(libera traduzione della sottoscritta tratta dal video Une maison un artiste. Claude Monet – Giverny un universe à vivre et à peindre, Fréderic Farrucci, Francia, 2016, 26:09).

 

Linnea nel Giardino di Monet, Christina Björk, Lena Anderson, Giannino Stoppani Edizioni

Linnea nel Giardino di Monet, Christina Björk, Lena Anderson, Giannino Stoppani Edizioni

Terza tappa di questo viaggio di scoperta avrebbe dovuto essere il Musée d’Orsay, ma la coda quasi infinita non piace alla bambina, che decide di tagliare la testa al toro e andare a vedere quelli che lei considera i capolavori del grande artista: le enormi tele delle ninfee dipinte da Monet a partire dal 1916, ospitate all’Orangerie, museo situato nel Jardin des Tuileries (meraviglioso esempio di giardino alla francese) e scelto dallo stesso Monet, su suggerimento dell’amico Clemenceau, per ospitare proprio queste opere. Soggetto, dimensione e forma dei dipinti permettono a Linnea e a noi tutti di immergerci “nel bel mezzo del capolavoro” (Linnea nel giardino di Monet, Christina Björk, Lena Anderson, trad. Alessandra Valtieri, Giannino Stoppani Edizioni, 2010, Bologna, pag. 39).

Ora sì che Giverny può diventare la meta finale del viaggio, per soffermarci su quegli aspetti della vita del pittore, lasciati inizialmente in secondo piano e che invece tanto hanno contato per lui, perché quel giardino e quella dimora hanno rappresentato per Monet e la sua grande famiglia il vero centro del mondo e in quest’ultimo momento di scoperta tornano prepotentemente utili i due testi che fin dall’inizio ci hanno guidato nel nostro cammino, indispensabili mappe per orientare la nostra sete di sapere attraverso informazioni utili ed accurate ed evitare di perderci addentrandoci in ipotesi e pettegolezzi.

Oltre il giardino del signor Monet e Linnea nel giardino di Monet possono dunque essere visti, sfogliati e letti su più livelli, in base all’utilizzo che in quel momento ne vogliamo fare e soprattutto al lettore che li prende in mano: da catalogo di immagini e riproduzioni di immagini, a calamita di interessi, da breve storia della vita del pittore o delle sue opere, a viaggio di scoperta del suo mondo. La prima volta che prendiamo in mano una mappa non abbiamo immediatamente la visione di tutte le indicazioni e dei dettagli, solo riprendendola in mano più e più volte diventerà lo strumento più semplice per raggiungere una meta o comprendere qualcosa; lo stesso vale per questi due testi, ma ovviamente anche per infiniti altri. Solo leggendo e rileggendo testi e figure saremo realmente in grado di dire: ora sì, sono in grado di orientarmi.

 

sull'autore

Chiara Del Tufo

Ex studentessa dell’Accademia Drosselmeier, curatrice della raccolta di poesie "Un paese bambino", redattrice di pubblicazioni sulla letteratura per l’infanzia.