[di Alessandra Starace e Marina Petruzio]
Ci sono e ci sono stati eccellenti educatori, animati da alti ideali e da un grande amore per i bambini, che sognano di aprire delle scuole modello.
Sono insegnanti che studiano per anni prima di poter realizzare questo sogno.
Sosaku Kobayashi fu uno di questi.
Nato nel 1893 nella campagna a Nord-Ovest di Tokyo, in una famiglia povera e numerosa, una volta finite le scuole primarie dovette lavorare come maestro di sostegno.
Dopo aver conseguito il diploma necessario, impresa incredibile per un ragazzo di quell’età, ottenne un posto come insegnante in una scuola elementare di Tokyo e, allo stesso tempo, riuscì ad accedere al Dipartimento di Educazione Musicale del più importante Conservatorio del Giappone per studiare musica, la sua grande passione.
Diplomatosi, divenne insegnante di musica alla scuola elementare Sekei, fondata da Haniji Nakamura, un altro magnifico educatore che riteneva l’educazione primaria del bambino fondamentale e si prodigava affinché la scuola facesse sbocciare l’individualità del bambino e favorisse il rispetto di sé.
In questo periodo Kobayashi scrisse un’operetta per bambini per essere rappresentata dagli studenti, una composizione che impressionò moltissimo il Barone Iwasaki, patrono delle arti e finanziatore della scuola.
Grazie a lui, il nostro talentuoso maestro poté perfezionare i suoi studi in Europa, dove passò due anni, dal 1922 al 1924, visitando scuole e studiando euritmia con Émile Jaques-Dalcroze a Parigi. L’euritmia, un tipo di educazione ritmica inventata dallo stesso Dalcroze, ha lo scopo di allenare la mente e il corpo al ritmo, in modo tale che l’armonia tra anima e corpo possa risvegliare l’immaginazione e incentivare la creatività.
Tornato nel suo paese, Kobayashi fondò l’asilo Seijo insieme a un’altra persona, ma non soddisfatto, all’indomani di un altro anno di studi con Dalcroze, decise di aprire una scuola tutta sua dove potesse “portare alla luce e stimolare la «bontà» dei bambini in modo che, crescendo, sviluppassero una loro personalità.”
E così, nel 1937 Kobayashi fondò la Tomoe Gakuen, una Scuola animata dall’intento di sviluppare in perfetta armonia corpo e spirito. Il Tomoe, da cui la scuola prese il nome, è, infatti, “un antico simbolo a forma di virgola” e “il preside aveva adottato l’emblema tradizionale che consisteva in due Tomoe – uno nero è uno bianco – uniti a formare un cerchio perfetto.”
Non sarei qui a parlarvi della Tomoe, se la sua testimonianza non fosse stata trasmessa in un libro, perché la scuola fu distrutta nel 1945 da un incendio durante le incursioni aeree su Tokyo.
Tetsuko Kuroyanagi, oggi uno dei più noti personaggi della televisione giapponese, ambasciatrice dell’UNICEF, ebbe la fortuna di essere scolara alla Tomoe, e nel libro di memorie Totto-chan. La bambina alla finestra, un capitolo alla volta, ci restituisce un’immagine realistica di quella scuola meravigliosa, nata dall’ispirazione e dalla lungimiranza di un uomo di umili origini. Il libro, pubblicato prima in giapponese e poi tradotto in inglese, raccoglie diversi articoli editi tra il 1979 e il 1980 sulla rivista “Giovane donna”; non solo è diventato un best-seller in Giappone ma è anche parte del materiale educativo ufficiale.
La storia, narrata da Totto-chan in prima persona, ripercorre i due anni della sua permanenza alla Tomoe, con l’obiettivo di rendere omaggio alla memoria del suo fondatore, di restituire l’esperienza della scuola, almeno nella fantasia dei lettori, e diffonderne gli ideali.
Totto-chan era “una brava bambina”, diceva sempre il signor Kobayashi, una bambina di sei anni dall’indole curiosa, solare ed esuberante, motivi per i quali era stata espulsa in prima elementare dalla scuola pubblica che frequentava.
“Sua figlia mi rovina tutta la classe. Devo chiederle di portarla in un’altra scuola”, aveva sentenziato l’insegnante, esasperata dal comportamento vivace di Totto-chan. A quel punto la madre aveva cercato una scuola “dove riuscissero a capire la sua bambina e a insegnarle come rapportarsi con gli altri.” Era stata una lunga ricerca ma la Tomoe Gakuen si rivelò un’ottima scelta.
Fin dall’inizio la scuola e il preside sorpresero sia la madre che la bambina per la loro diversità rispetto alla precedente esperienza. Un cancello, agganciato a due alberi che sostenevano una semplice insegna, costituiva l’ingresso alla scuola, composta da sei vagoni dismessi adibiti ad aule, ai quali si aggiunse un settimo vagone adattato a biblioteca, e da un edificio a un solo piano, cui si accedeva tramite una rampa semicircolare di fronte al cancello. Il tutto era immerso in un giardino, ricco di aiuole di fiori rossi e gialli, circondato da alberi piuttosto che da muri.
Nell’edificio si trovava l’ufficio del direttore, il signor Kobayashi, che Totto-chan descrive come un uomo non molto alto ma con spalle robuste, con i capelli radi sulla fronte e qualche dente mancante ma dal colorito sano.
Un uomo elegante ma umile: il suo vestito nero era un tre pezzi assai consunto. Un preside che si lasciava chiamare dai bambini per nome, “Issa Kobayashi”. Un uomo che dall’alto del suo ruolo fu capace di mettersi all’altezza della bambina, ascoltandola parlare per ben quattro ore, per conoscerla, farla sentire a suo agio e accoglierla nella sua nuova scuola.
Un posto dove i bambini non vedevano l’ora di andare, compresa Totto-chan che per la gioia incontenibile inventò una canzone:
“Sono tanto felice / Tanto felice son! / Perché sono felice? / Perché…”
Se l’ambiente scolastico e il preside erano differenti da qualsiasi altro, ancora più sorprendente era il modo in cui era strutturata la giornata scolastica: non c’era, infatti, un ordine stabilito per seguire una materia, ma ogni alunno, una volta che l’insegnante aveva presentato una lista di tutti i problemi e le domande relative alla materia del giorno, poteva iniziare da quella che preferiva.
In questo modo le insegnanti potevano osservare a quali argomenti i bambini s’interessassero di più ma anche il loro modo di ragionare e il loro carattere. Mentre i bambini imparavano “a concentrarsi indipendentemente da quello che succedeva attorno a loro”. Nessuno faceva caso agli altri, perfino in biblioteca dove non c’erano “libri riservati agli alunni di alcune classi o cose del genere”, c’era chi leggeva a voce alta, chi domandava ad altri il significato di caratteri che non conosceva, chi cantava seguendo le indicazioni di un libro interattivo e chi si immergeva nei libri così profondamente da dimenticarsi di andare in bagno.
L’ora del pranzo rappresentava un momento importante e significativo alla Tomoe: ogni bambino era invitato a portare da casa un pasto nutrizionalmente bilanciato, e per questo il preside suggeriva di portare insieme al riso “qualcosa dall’oceano e qualcosa dalla collina”, ossia pesce o piccoli crostacei e verdure, manzo, maiale e pollo. I bambini più che preoccuparsi della bontà del cibo erano assolutamente presi dal soddisfare questi due requisiti. Il pranzo, nel corso del secondo anno, forniva anche un momento per imparare a parlare meglio. A metà del pasto, un alunno, a rotazione, era invitato a mettersi in piedi in mezzo al cerchio per raccontare qualcosa agli altri, qualunque cosa. Un’abitudine del tutto inconsueta in Giappone, dove i bambini venivano educati a non parlare durante i pasti. Ma Kobayashi che aveva imparato ad apprezzare l’usanza europea di prendersi del tempo per consumare i pasti, conversando piacevolmente, e forte anche dell’idea che questo avrebbe aiutato i bambini a superare il disagio di parlare in pubblico, incoraggiò sempre tale consuetudine.
Un’altra usanza che potrebbe apparire strana ai nostri occhi era quella di permettere ai bambini, nelle giornate estive, di fare il bagno nudi nella grande e bella piscina della scuola. Non era una regola, ognuno poteva scegliere liberamente se indossare un costume oppure no. Il preside voleva trasmettere l’idea che tutti i corpi erano belli e non trovava giusto “per i bambini e le bambine essere morbosamente curiosi sulle differenze tra i loro corpi, e pensava che fosse innaturale per le persone darsi tanta pena per nascondere il proprio corpo gli uni agli altri.” Era suo desiderio, poi, che alcuni alunni della Tomoe, che avevano avuto la poliomielite, che erano minuti o handicappati smettessero di provare vergogna, mostrando il loro corpo e giocando assieme agli altri.
Un’altra cosa che il Preside chiedeva sempre ai genitori era quella di mandare i bambini a scuola con gli abiti peggiori così non dovevano preoccuparsi se li sporcavano di fango o li strappavano. Erano molte le occasioni in cui i bambini erano liberi di giocare all’aperto, fare passeggiate in mezzo alla natura, lungo l’argine di un ruscello, arrampicarsi sugli alberi, strappare le erbacce durante una lezione d’agricoltura, o addirittura mangiare all’aperto dopo essersi preparati il pasto sul posto, in una vera e propria cucina da campo.
Il rispetto per l’altro, di qualsiasi sesso, età, razza o cultura era un obiettivo importante dell’educazione alla Tomoe.
Il giorno che Oe, un bambino della classe di Totto-chan, si appese alle sue trecce come fossero delle maniglie, tirandogliele e facendola cadere e poi tirandole ancora per farla rialzare di terra, il preside lo sgridò duramente, dicendogli che bisognava essere gentili con le bambine, essere cortesi e prendersi cura di loro.
In completa antitesi con il pensiero comune che diceva che “le bambine si dovrebbero vedere e non sentire”. E quando nella scuola arrivò un bambino americano che non conosceva le tradizioni giapponesi e parlava solo inglese, una lingua che era diventata “la lingua del nemico” e che era stata cancellata da tutti i programmi scolastici, Kobayashi lasciò che l’uno imparasse dall’altro lingua e tradizioni.
La formazione costante e la cura non era riservata solo agli studenti ma anche agli insegnanti.
Totto-chan ci racconta di quella volta in cui il Preside si era adirato con una maestra, che nell’ambito di una spiegazione sull’evoluzione dell’uomo, e sul fatto che il coccige rappresentava traccia della coda, scherzando con i bambini aveva alluso al fatto che forse Takahashi, un bambino dalle braccia e dalle gambe molto corte e che aveva smesso di crescere, ne avesse ancora una. Il preside lo ritenne una grave mancanza di delicatezza verso un alunno che soffriva già per il suo handicap, e al quale egli cercava di dedicare molte attenzioni.
Sono tanti gli episodi raccontati da Totto-chan che potrei menzionare a tal proposito, e che, per essere raccolti in capitoli, sono facilmente fruibili anche indipendentemente dal contesto (anche se io non lo consiglio mai).
Di certo non posso non ricordare La grande avventura, durante la quale Totto-chan rischiò la vita per permettere a Yasuaki-chan, un bambino poliomielitico, di arrampicarsi sul suo albero, a circa due metri d’altezza. Alla Tomoe ogni bambino e bambina aveva nel giardino un albero su cui arrampicarsi, quello di Totto-chan era un grande albero scivoloso ma lei amava salirci durante l’intervallo, sedersi e guardare l’orizzonte o la gente camminare sotto di lei.
Oppure come non citare La prova di coraggio al tempio Kuhonbutsu, nei pressi della Tomoe, che si svolse durante la notte in cui il Preside aveva organizzato un campeggio estivo nell’aula magna. Si trattava di un test per misurare il coraggio: i bambini dovevano dividersi tra coloro che avrebbero fatto i fantasmi e coloro che li avrebbero dovuti scovare di notte nei pressi del tempio Kuhonbutsu.
Sia che si trattasse di coloro che dovevano spaventare, vestiti da fantasmi, che degli altri, quasi tutti avevano avuto troppo timore per portare a termine quella prova, ma dopo quella notte nessuno di loro provò più paura per i fantasmi.
La vita scolastica trasmetteva quotidianamente molti principi che aiutarono i bambini a diventare persone capaci di rapportarsi con gli altri, ad amare lo studio ma soprattutto a far emergere le doti e i loro talenti innati.
Nell’epilogo, Tetsuko Kuroyanagi ci racconta che cosa fanno oggi gli amici che hanno frequentato con lei la Tomoe, mettendo in evidenza quanto ognuno di loro si sia completamente realizzato.
Ogni tre novembre, data in cui alla Tomoe aveva luogo la Giornata dello Sport, una giornata in cui gli alunni insieme agli adulti si sfidavano in giochi inventati dal preside affinché tutti avessero le stesse possibilità di partecipare e vincere, gli allievi della Tomoe si riuniscono ancora in una stanza del tempio di Kuhonbutsu, ma se volete ascoltare le loro risate di bambini, il loro canto, quei suoni tanto amati da Sosaku Kobayashi, invece che il rumore assordante delle bombe sganciate dai bombardieri B-29 che rasero al suolo la scuola, dovreste leggere questo libro e consigliarlo, perché ci si possa chiedere ancora, insieme al suo maestro:
“Che genere di scuola possiamo costruire, adesso?”
Il libro è arricchito da disegni che ritraggono i bambini ma soprattutto la piccola Totto-chan.
Parlare delle illustrazioni di Totto-chan. La bambina alla finestra, significa parlare della passione con cui Tetsuko Kuroyanagi le selezionò. Scegliendo proprio lei, Chihiro Iwasaki.
Quando Tetsuko vide per la prima volta un’acquarello di Chihiro Iwasaki che ritraeva il volto di una bimba pensò di essere lei. Si trovò così affine a quella bambina, per rotondità, colori, espressione del viso e rappresentazione dell’infanzia che decise che quegli acquarelli avrebbero dovuto illustrare il suo libro, la sua storia, quella di Totto-chan bambina e della meravigliosa scuola Tomoe del signor Kobayashi.
Si recò così al Museo Chihiro Iwasaki dei Libri illustrati ogni mese, per il tempo della stesura del libro, per scegliere con cura l’illustrazione, il disegno più adatto.
Erano già passati cinque anni dalla prematura scomparsa di Chihiro Iwasaki, i suoi settemila e più disegni raccolti con amorevole pazienza dal figlio in un Museo a lei dedicato.
Osservare gli acquarelli di Chihiro Iwasaki è entrare in un mondo di risa, gridolini, giochi, pensieri. Significa entrare nell’infanzia.
Grandissima osservatrice dell’infanzia, usava passare molto tempo a studiare i bambini e le bambine immersi nelle loro attività di gioco, di studio, di mero movimento. La posizione delle mani, dei piedi, le loro espressioni sapendo coglierne anche le più profonde. Per sua stessa ammissione fu quando diventò mamma che per la prima volta riuscì a dare un peso alle rotondità dei bambini.
La tecnica che scelse per la sua arte mischiava, non a caso, l’uso occidentale degli acquarelli alla pittura a inchiostro orientale, cinese e giapponese.
Acquarelli e inchiostro richiedono una velocità di esecuzione che presuppone che l’artista abbia già ben chiaro nella sua mente e nella sua mano ciò che vuole rappresentare: il disegno deve essere da subito molto preciso e ben delineato, l’esecuzione veloce, la mano sicura. È una tecnica che presuppone capacità di osservazione altissime, di interiorizzazione delle forme, di codificazione. Esercizio che richiede tempo per osservare e riflettere prima di eseguire sulla carta ciò che il pensiero ha già disegnato nella mente.
Una forma di autodisciplina dalle caratteristiche molto orientali che Chihiro Iwasaki sviluppò spontaneamente. Il risultato finale è caratterizzato da una grande semplicità, da pochi e lievi tocchi che conferiscono morbidezza al tratto, espressività ai volti e sostanza ai corpi. Una tecnica che sembra perfetta per rappresentare l’infanzia!
Tra Sosaku Kobayashi, fondatore della scuola sul treno, assolutamente non convenzionale per il Giappone tra le due guerre e in assoluto per la tradizione del paese, Tetsuko Kuroyanagi che ebbe la fortuna di frequentare la Tamoe Gakuen da piccola e Chihiro Iwasaki esiste un sottile ma caparbio fil rouge: l’amore e il rispetto per i bambini. Di cui l’intera opera di Chihiro Iwasaki è permeata.
Sebbene non sia un’illustrazione selezionata per Totto-chan e non riguardi la Tamoe, mi sembra, questa dei bambini che giocano con gli strumenti musicali di Chihiro Iwasaki, esprimere molto bene la freschezza, la felicità e la giocosità di Tetsuko bambina e dei suoi compagni immortalati in una foto che li ritrae durante una vacanza al mare. “È quasi incredibile come si adattino al mio stile narrativo” – scrive nella postfazione al libro Tetsuko Kuroyanagi.
È quasi incredibile come si adattino allo spirito della scuola del fare del signor Kobayashi, scuola dove i bambini sceglievano, nel rispetto delle loro competenze e in totale autonomia, cosa fare.
Chihiro Iwasaki disegnò per tutta la sua breve vita bambini intenti a fare autonomamente, vestiti come bambini e in assoluto movimento! Non a caso il suo primo albo illustrato, pubblicato a 38 anni, prese titolo I can do it all by myself.