Le Petit Pouce è una fiaba di Charles Perrault, tradotta da Carlo Collodi in Puccettino. Nel 1995 la compagnia Societas Raffello Sanzio, storica compagnia di teatro sperimentale fondata da Romeo Castellucci, Chiara Castellucci, Chiara Guidi e Paolo Guidi, mette in scena questa fiaba con il titolo di Buchettino dando inizio a un’interessantissima sperimentazione nel Teatro Ragazzi, poi definita Teatro Infantile.
Come ha spiegato Chiara Guidi in un’intervista, la definizione “Teatro Infantile” unisce due parole pensate e pesate. Non teatro ragazzi o teatro per bambini, ma infantile, cioè per colui o colei che vive prima del linguaggio. La parola” infantile” non indica un tipo di pubblico anagraficamente inteso, anche se è vero che si rivolge soprattutto ai bambini perché solo loro sanno giocare il teatro e sono in grado di rinominare le cose, come l’attore che solleva le parole da un libro e le fa camminare sulla scena.
Gli spettacoli di Teatro Infantile della Compagnia Societas Raffaello Sanzio, sono delle narrazioni che coinvolgono lo spettatore in un’esperienza iniziatica. L’obiettivo della compagnia non è mai quello di mostrare uno spettacolo per insegnare qualcosa o per far vedere arte. La narrazione deve essere un’esperienza totalizzante e, come nell’iniziazione, deve trasformare l’iniziando.
Tutto nei loro spettacoli è studiato nei minimi particolari per provocare l’esperienza iniziatica e, tuttavia, è anche casuale e legato allo “sguardo bambino” perché pur prevedendo la presenza dei bambini, questa è soggetto di variazioni. È lo sguardo del bambino che rende ogni azione diversa. Nel teatro infantile, i bambini fanno parte del gioco scenico come le luci, gli oggetti e i colori, e lo mutano ogni volta.
“Io li attendo, quando i bambini arriveranno in teatro sicuramente metteranno sottosopra tutto quello che è stato scritto e pensato per lo spettacolo, ma è proprio la loro presenza a completare la partitura stessa. Questa è esperienza, e come tale non ha nulla di certo; perché il teatro è come una fiaba, un luogo nel quale si compie un’esperienza.”
(Chiara Guidi, Lucia Amara, Teatro Infantile. L’arte scenica davanti agli occhi di un bambino, Luca Sossella Editore, 2019)
Un’esperienza iniziatica.
I bambini entrano nello spazio e sono soli. Con le loro paure. Non sanno che cosa accadrà. In Bestione, spettacolo di Chiara Guidi e Davide Savorani andato in scena nel 2011 al Teatro Comandini di Cesena, i bambini devono sfuggire ai cani guardiani e si rifugiano sotto un tavolo; da sotto, nascosti dalle frange della tovaglia, vedono le scarpe dei Cani-Guardiani e sentono il rumore degli oggetti spostati sopra il tavolo, la loro paura è reale e il loro sguardo è diverso da quello di chi da fuori guarda quanto accade (gli adulti).
Chiara Guidi ci racconta che era previsto che i bambini andassero sotto quel tavolo, ma non veniva loro detto. È la posizione del tavolo e la sua forma che richiama l’azione dei bambini.
“Bambino insegnami a vedere lo spazio che ho apparecchiato per te.”
(Chiara Guidi, Lucia Amara, op. cit.)
La forma della narrazione, ci dice Guidi, è come il cerchio di ferro che cinge la botte di legno pieno di ottimo vino. Lo trattiene, crea un tempo favorevole affinché lo sguardo si soffermi e attende che accada qualcosa.
Preparare lo spazio scenico affinché si compia il rito di cui i bambini sono spettatori e attori-animatori. Il bambino spettatore, anche se fermo come in Buchettino, agisce attraverso il suo sguardo e il suo essere lì. Senza tutto ciò, lo spettacolo non avviene. Se questo è vero nel teatro in genere, poiché senza spettatore il teatro non esiste, è ancora più vero nel teatro Infantile, in cui il bambino entra nello spazio per giocare. Sta alla finzione del teatro vivendola come vera. Varcata la soglia, avviene la trasformazione, ma perché avvenga, bisogna pensare che la finzione sia vera, stare al gioco.
Perché ai bambini non interessa l’arte e la bella parola, ma chiedono una relazione d’arte che sia in grado di muovere la sua capacità di conoscere il mondo trasformandolo. Solo così ha senso un teatro per l’infanzia.
Buchettino è il quarto spettacolo della Compagnia che si rivolge ai bambini, ma è il primo e forse l’unico a essere anche un esperimento acustico. Nello spettacolo, una narratrice quasi al buio, al centro di una stanza insonorizzata, circondata da cinquanta letti nei quali sono sdraiati altrettanti bambini, narra la fiaba di Buchettino evocando con la voce personaggi situazioni e stati d’animo. I suoni della fiaba riempiono lo spazio. L’unica attività percettiva possibile è quella dell’orecchio.
Il buio nasconde e circonda. Al centro sotto un’unica lampadina che isola sta la narratrice; da quel centro sorge la voce che si fa acuta e piccola, incredibilmente profonda e grassa, grossa, rabbiosa e ansante, adirata e disperata, e, intorno, i suoni. Passi. Chiavistelli. Fuoco crepitante. Rami spezzati. I suoni circondano lo spazio e sembrano arrivare da destra o forse dall’alto oppure da sotto.
Buchettino è uno spettacolo “invisibile”, perché non c’è scenografia, non ci sono i personaggi sulla scena, la fiaba è narrata dalla voce e dai suoni che i rumoristi interpretano dietro le pareti della stanza di legno e sopra il tetto. I personaggi si distinguono non per quello che dicono ma per i rumori che fanno e per la voce che hanno. “La fiaba”, ci dice Chiara Guidi, “diventa un’immensa tessitura vibrante”.
Non è il significato delle parole che emoziona, ma il suono. La narratrice batte le parole le fa risuonare, le fa vibrare per cadenzare il ritmo della narrazione. La voce batte, risuona, evoca, percuote l’aria che diventa sonora.
Perché accada tutto questo, la voce deve essere “mirabile”, continua Guidi, deve essere in grado di profondità e acuti, di rotazioni e di scuotere l’aria per poter entrare in chi ascolta e evocare immagini affinché la fiaba si materializzi nella mente dei bambini che ascoltano. La loro mente è il teatro.
In Buchettino i bambini entrano in una stanza di legno, accolti da due guardiani che li fanno entrare. I guardiani hanno il compito di permettere ai bambini di varcare la soglia, garantire l’ascolto e far togliere loro le scarpe. Come iniziandi, i ragazzi, si preparano al rito, entrando nei letti e mettendosi sotto le coperte. Soli, assistono al rito iniziatico. La narratrice sostiene e accoglie la paura di chi ascolta ma in modo nascosto: “è bene che l’iniziato se la veda da solo”, ci dice Chiara Guidi. La paura va narrata! Il bravo narratore narra la paura, accoglie il bambino spaventato, raccoglie la sua paura e lo accompagna; non può togliergliela, ma può affiancarlo, mostrare la strada e consentirgli di trovare il lieto fine.
La fiaba incute paura, deve incutere paura. Si deve entrare nella casa fatta di dolci della strega perché è profumata e dolce così come l’iniziando/ascoltatore deve entrare e attraversare l’orrore. Accade in Hansel e Gretel, uno spettacolo da Jacob e Wilhelm Grimm, con regia di Romeo Castellucci e ritmo drammatico di Chiara Guidi (Cesena, Teatro Comandini, 21 aprile 1993).
Il ruolo degli adulti non è quello di evitare ma attraverso la loro forza, tracciare il cammino e mostrare che si può uscire. Chiara Guidi ci dice chiaramente che il ruolo dell’adulto (nel rito iniziatico, nella fiaba e nella vita) è quello di accompagnare il bambino nella paura.
Nel 2016 la casa editrice Orecchio acerbo decide di pubblicare il testo dello spettacolo Buchettino di Chiara Guidi. Una sfida! Come rendere il buio? Come rendere quelle voci che sembrano arrivare da tutte le parti? Le grida di paura i sussurri?
In primo luogo affidando le illustrazioni a Simone Massi. Artista, animatore di corti, regista e illustratore Massi lavora senza far ricorso alla tecnologia ma solo attraverso l’uso di matite, carboncini, gessetti, pastelli, grafite e china. Lo stile di Massi riesce a rendere perfettamente il buio e l’inquietudine, lo smarrimento e la paura. Grandi, inquietanti, a tutta pagina, talmente grandi che a volte non si distingue il soggetto; sembra una testa o una mano o un occhio. Buio.
L’editore affida alla grafica il compito non facile di mostrare la voce e la narrazione. Un’intuizione! Attraverso il cambio di font, di grandezza della parola e attraverso i vuoti, la grafica dell’albo riesce a recuperare la voce, che si fa piccola, quasi un soffio, o che sembra venire da un lato come un sussurro di paura o invece è grossa e grassa, poi invece è un grido di orrore o è la voce di sussurro spaventato che chiama “mamma”. Il progetto grafico di Orecchio Acerbo riproduce le pause, i dubbi, l’orrore, la speranza, le grida di gioia e di paura, la fame e lo smarrimento di Buchettino e dei suoi fratelli.
Buchettino, nella messa in scena di Societas Raffaello Sanzio, ci mette davanti al senso della narrazione e al valore della parola che “insemina per tramite dell’orecchio, attraverso voce e suono; poi genera e germoglia nel tempo”.
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