Era circa la metà di giugno quando sono partita per un viaggio.
La meta era vedere se fosse possibile mappare un’opera letteraria.
Ho deciso di intraprendere questo viaggio perché credo che mappare sia un modo per conoscere e far conoscere.
Una mappa rende conosciuto lo sconosciuto. È un modo di comunicare e di trasmettere esperienza. Costringe chi mappa ad analizzare il conosciuto per evidenziarlo, a scegliere il linguaggio più consono alla trasmissione dei dati. Non è poco!
Da molto tempo ho un fastidioso tarlo nella testa. La nostra società, nonostante Edwards-Gandini-Forman, con il loro I Cento Linguaggi dei Bambini, nonostante Munari e nonostante i molteplici tentativi di offrire ai bambini e ai ragazzi approcci diversi al sapere, rimane saldamente legata alla trasmissione della conoscenza attraverso la lettura della parola scritta. Inoltre i vari metodi sono stati applicati soprattutto nei nidi e nella scuola dell’infanzia. Pochissimi sono gli esperimenti realizzati nelle scuole di diverso grado. Eppure oggi abbiamo sotto gli occhi con chiarezza quanto questo approccio sia solo uno degli approcci possibili, ma anche quanto fossilizzarsi su un’unica scelta sia limitante per tutti. Per alcuni lo è talmente tanto da rendere difficilissima la conoscenza.
Coloro che non riescono a seguire questo approccio forzoso sono spesso definiti DSA. In realtà oggi c’è una tale tendenza alla cultura terapeutica che se un bambino è più lento rispetto alle aspettative della società si parla di DSA. Ovviamente un DSA non è un disabile, ce lo dicono in mille modi, ma nella realtà è un marchio. Non a caso, parlando di libri e lettura diciamo “libri con font facilitato” come se questi individui avessero bisogno di “cose più facili”.
Eppure da anni mi chiedo se non sia sbagliato questo nostro sistema di trasmissione del sapere (attenzione non sto parlando solo della scuola) che lascia indietro molti e penalizza tutti. Penso alla gran fatica che fanno i bambini e i ragazzi a reprimere capacità e competenze per essere all’altezza delle aspettative di questa nostra società che, oltretutto, sta accorciando sempre di più i tempi.
Ed ecco che mentre viaggio in cerca di risposte e di una strada da intraprendere, mi imbatto in questa frase di David Pollack tratta da un discorso fatto nel 2007 durante un evento organizzato dall’AID (Associazione Italiana Dislessia); Pollack fa un lungo excursus riguardante la storia della dislessia In Inghilterra e delle leggi lì esistenti e poi conclude:
Idealistico! Idealistico pensare a un sistema di trasmissione del sapere non basato solo sulla letto/scrittura, ma che proponga approcci diversi. Che non consideri più importante sapere i verbi o le tabelline dal saper costruire una casa sull’albero (per fare la quale comunque si ha bisogno di competenze da acquisire tradizionalmente).
Voglio essere idealista! Impariamo la letteratura attraverso le mappe. Impariamo a raccontare attraverso le mappe.
Parto
Nel mio bagaglio: un’idea, che mi renderò immediatamente conto essere restrittiva, di che cosa sia una mappa, la passione per viaggi di ogni tipo e un incondizionato e folle amore per le storie.
Parlare di mappe mi sembra una cosa facile. Siamo circondati da mappe: lo stradario, la mappa della metropolitana, le mappe per orientarsi all’Orto Botanico, in un museo.
Valeria Giardino e Mario Piazza nel loro Senza Parole definiscono la mappa come “uno strumento che l’osservatore usa per orientarsi in un luogo specifico”. Non mi basta. Addentrandomi nei meandri della rappresentazione visiva, mi rendo conto che la mappa fin dai tempi più antichi è servita per affrontare la conoscenza, renderla più accessibile.
Eccola la strada! Bene la prendo!
Mi ritrovo a sfogliare, leggere e riflettere su l’arte della memoria. Già, perché per gli antichi (dai Greci fin ad arrivare al Rinascimento, passando per i Latini) la memoria è una parte della conoscenza. Per Aristotele la memoria radicava nella stessa parte dell’anima comprendente l’immaginazione e interveniva nelle operazioni che portano alla conoscenza. Per Aristotele è impossibile pensare, in mancanza di un’immagine mentale.
Sono esaltata! Il mio viaggio si sta rivelando molto più faticoso e lungo del previsto, ma anche molto più affascinante e mi sto addentrando in più ampie riflessioni. Quindi, per il grande Filosofo di Stagira, pensare attraverso immagini è l’unico modo di pensare. Interessante.
Se mi addentro ancora nel mondo dell’arte della memoria trovo che, secoli dopo Aristotele, l’arte della memoria è ancora ampiamente trattata e discussa.
Sembra, ad esempio, che i domenicani nel trattarla abbiano poi inventato dei giochilli, molto simili alla nostra enigmistica, per impiegare il lento ozio del chiostro. Quindi enigmistica, memoria e conoscenza hanno qualcosa in comune, rifletto.
Arrivo infine a Giulio Camillo (umanista e filosofo italiano, 1480-1544) e al suo Teatro della Memoria (o Teatro della Sapienza. Ed ecco che torna prepotente la commistione tra sapienza e memoria!), un edificio ligneo di stampo vitruviano in cui si sarebbe dovuto archiviare, tramite un sistema di associazioni mnemoniche per immagini, tutto lo scibile umano, organizzato e codificato attraverso schemi di memoria associativa.
Camillo immagina un anfiteatro diviso in sette gradi e intersecato da sette corsie. Si hanno quindi 49 caselle, a ognuna delle quali Camillo associa mnemonicamente una figura simbolica. Lo spettatore non è sulle gradinate ma sul palco, e davanti a lui si dipana lo spettacolo del sapere.
Interessante! Camillo attribuisce a uno schema, che in questo caso è un anfiteatro, la capacità di aiutare la memorizzazione e quindi trasmettere il sapere. Immagini, memoria, sapere.
Non solo ma l’umanista e filosofo italiano va oltre perché il Teatro della Memoria, secondo lui, spingeva lo spettatore a esplorare territori sconosciuti, a indagare nuove associazioni d’immagini. Quindi non solo le immagini e gli schemi aiutano la memoria e la conoscenza ma inducono connessioni e nuovi ragionamenti. Mi risuona qualcosa dentro.
Mentre mi aggiro curiosa nel teatro camilliano, di cui non ci resta nulla, sebbene si pensi che sia stato realizzato perché citato da alcuni testimoni dell’epoca, nella testa mi trillano campanelli, sempre più prepotentemente. Mi vengono in mente le mappe mentali, le solution map e le mappe concettuali e ancora una volta la possibilità di mappare una storia. Ma non voglio anticipare i tempi.
Vado avanti. Devo verificare e confrontare scritti e testimonianze.
Non posso evitare di soffermarmi a riflettere sul contributo di Pierre de Ramée (Pietro Ramo – 1512-1572), il quale accantonò le immagini e escogitò un metodo basato sull’individuazione degli aspetti generali di un argomento da cui dovevano discendere attraverso una serie di dicotomie, quelle individuali. È interessante il rifiuto delle immagini, che Yates (L’arte della Memoria) attribuisce alla tendenza iconoclasta dei Protestanti, perché nonostante la sovrabbondanza di arte figurativa nella nostra cultura, in molti ancora vige il pregiudizio che il libro illustrato sia per piccoli e che “La Lettura” sia (solo) la lettura di parole.
Ormai sono lanciata, voglio cercare di progettare la mappatura di un romanzo, usando anche le immagini. Perché le immagini aiutano la comprensione, la memorizzazione e contribuiscono alla creazione di connessioni e mi sto sempre più convincendo, lavorando con i bambini e i ragazzi intorno a libro e la lettura, che molti casi di DSA siano dovuti a un troppo precoce e troppo veloce approccio con la parola scritta e alla forzosa separazione di quest’ultima dall’immagine. Ho bisogno di approfondire.
Continuo il mio viaggio
Faccio un salto di circa quattro secoli. Lascio i filosofi, gli astronomi e i cabalisti.
Mi imbatto in Le mappe dei miei sogni di Reif Larsen. Primo romanzo di Larsen, molto controverso, tanto da diventare per alcuni un cult, per altri da buttare. L’autore immagina la storia di un ragazzino di dodici anni, genialoide e sempre intento a disegnare mappe che vince un prestigioso premio. Lo Smithsonian Istitution lo invita a ritirarlo e a tenere una conferenza, ignorando che si tratti di un ragazzino (dal libro è stato tratto il film Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet con la regia di Jean-Pierre Jeunet).
T.S. Spivet, questo il nome del protagonista, mappa tutto ciò che gli accade intorno. Mappa eventi, rumori, suoni e riflessioni. Spivet nel suo mappare la vita riflette e ci dice che “la mappa non si limita a fotografare l’esistente ma formula e dischiude proposte di senso, crea ponti fra luoghi distanti, fra idee diverse che non sospettavamo fossero connesse”. Di nuovo le connessioni!
Spivet mappa gli eventi rifacendosi, più o meno direttamente, all’infografica, ovvero a tutta una serie di informazioni visive nelle quali la spazialità delle mappe e la statistica si sono fuse, rendendo più fruibili i dati perché “mostrano la forma” degli stessi. Il giovane Spivet forse non sa che già nella prima metà del Seicento Christoph Scheiner, fisico e astronomo tedesco, aveva fatto una mappa per rendere più accessibile la spiegazione dei modelli di rotazione del sole. C’è addirittura chi vuol far risalire le prime mappe al 7500 a.C., ma su tali teorie ci sono forti controversie. La mappa in assoluto più famosa in questo campo è quella di Charles Joseph Minard, ingegnere civile francese, che nel 1869 mappa la campagna di Russia di Napoleone del 1812. La mappa di Minard rende visibile e comprensibile tutta una serie di dati e di eventi che spiegati e diversamente esplicitati sarebbero molto più difficili da comprendere. In due dimensioni rende visibili sei tipi di dati: il numero delle truppe napoleoniche, latitudine e longitudine, la temperatura, la distanza percorsa, il senso di marcia, la posizione relativa in giorni precisi.
La mappa di Minard racconta con chiarezza la disastrosa Campagna di Napoleone mettendo in evidenza le perdite umane (più di 300.000 morti) e mette l’osservatore, che segue lo spostamento dell’esercito, in condizione di fare connessioni e riflessioni in base a dati che trova sulla stessa pagina .
Ecco che torna il rapporto tra mappa e collegamenti cognitivi.
Sento che la mia meta si avvicina e comincio a visualizzare la mia mappa!
Riprendo il viaggio e mi imbatto in un giovane artista folle e visionario, statunitense, che ha mappato svariati film e 19 grandi opere letterarie.
Si chiama Andrew DeGraff, nato nel Maine vive e lavora a New York. Ha fatto varie mostre personali tra cui Cartography (2014 ) alla Gallery 1981 di Los Angeles, nella quale ha esposto le mappe illustrate di film famosi.
Quelle di DeGraff sono mappe dettagliate di film e raccontano gli spostamenti e la posizione di ogni personaggio. I personaggi sono contraddistinti da un colore attraverso il quale si possono seguire i movimenti di scena. DeGraff crea per ogni Film una mappa con diverse ambientazioni, usando il colore, da artista visivo qual è, in maniera magistrale.
È necessario sottolineare che DeGraff per ogni film ha fatto più di una mappa per indicare i vari accadimenti. Qui solo quelle che, a parer mio, sono le più rappresentative.
Nell’ottobre 2015 esce per la casa editrice statunitense Zest Books il primo libro di DeGraff: Plotted A Literary Atlas nel quale l’artista mappa ben 19 grandi opere letterarie.
Per farlo si rifà all’infonografia e alla cartografia, come lui stesso sottolinea nell’introduzione, e la estende alla letteratura cercando di rappresentare graficamente il contesto delle storie. La sue mappe sono un’interpretazione delle opere.
DeGraff interpreta e mette in scena come farebbe un regista teatrale. Scegliendo contesti, colori, spazi e ambienti. Indica gli spostamenti dei personaggi con tracce di colore diverso, offrendo al lettore una visuale del contesto, dei rapporti e delle interrelazioni tra i personaggi.
Una delle mappature più affascinanti è quella di The Tragedy of Hamlet, Prince of Danmark.
Ogni mappa è un atto della tragedia shakesperiana e rappresenta il castello di Elsinore, in un’ambientazione grigia e scura. In ognuna vediamo lo spaccato della parte del castello nel quale si svolge l’atto. Interessante il movimento dei personaggi che “entrano in scena” arrivando da altre parti del castello (noi a teatro non sappiamo da dove arrivano i personaggi, ma lo deduciamo da quello che dicono o dalla scena precedente). The Tragedy of Hamlet, Prince of Danmark
Di tutt’altro tenore è la mappa di A. Wrinkle in Time di Medeleine L’Engle (Nelle pieghe del Tempo). Questo romanzo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1962, è la storia fantastica della ricerca da parte dei fratelli Murry (una ragazza di 14 anni e un bambino di 5) del proprio padre, uno scienziato misteriosamente scomparso. Alla ricerca si associa Calvin un ragazzino di 14 anni.
Il viaggio, che non ha niente di terrestre, è guidato dalla Signora Chi, dalla signora Quale e dalla la signora Cosè. Tre entità che non è possibile descrivere e quindi neanche immaginarsi, perché vanno oltre l’umana comprensione, ma che si manifestano ai ragazzi come delle vecchie signore bizzarre. Il romanzo è affascinante e, pur avendo più di cinquant’anni, molto moderno. DeGraff per mapparlo disegna su un’unica tavola, nella quale rappresenta i mondi e le dimensioni che i ragazzi attraversano e i loro spostamenti, riuscendo a interpretare benissimo le ambientazioni.
Sono alla fine del mio viaggio
Il mio bagaglio è più pesante. Ecco cosa mi porto dietro.
Da studi relativamente recenti sappiamo che il cervello umano non è programmato per leggere e scrivere.
L’invenzione della scrittura ha portato con sé una parziale riorganizzazione del nostro cervello per consentire la letto-scrittura. Questo procedimento è stato possibile perché il cervello umano è straordinariamente plastico, ma ha comportato la perdita di alcune facoltà, perché il cervello per adattarsi ha dovuto “fare spazio”.
Nei secoli, le tecniche per apprendere sono state accolte, a volte, con perplessità se non addirittura avversione, perché comportavano, a detta dei detrattori, la perdita di alcune facoltà-competenze. Socrate criticò fortemente l’avvento della pagina scritta; l’invenzione della stampa ha decretato di fatto la morte dell’arte della memoria. L’avvento del personal computer, poi dei tablet, di internet hanno comportato e stanno comportando dei mutamenti nell’approccio al sapere.
Noi consideriamo passatisti e contrari al progresso tutti coloro che rimangono legati ai vecchi modelli della conoscenza. Eppure il cervello umano ci sta gridando da ogni parte, non di tornare al mondo prima del scrittura, ovviamente, ma di considerare le tecniche della conoscenza nella sua interezza e di non far predominare una sull’altra creando così dei “casi clinici”.
La mia mappa
Ho voluto fare un tentativo di mappatura. Non avendo le capacità pittoriche di DeGraff mi affido al computer.
Ciò che vedete qua sotto è la mappa parziale di L’Arca parte alle otto di Elrich Hub e Jorg Muhle, Rizzoli 2010, realizzata con la collaborazione di Beniamino Sidoti, nella quale è rappresentata la prima parte della storia (fino a che i pinguini non si imbarcano sull’Arca), con gli spostamenti, gli arrivi e le partenze. Rispetto alle mappe di DeGraff, io ho voluto inserire nella mappatura delle frasi, perché ritengo che possano essere d’aiuto sia per chi fa la mappa (che è il mio vero referente) sia per chi la fruisce.
L’Arca parte alle otto è l’esilarante storia di tre pinguini che passano la loro vita a litigare, discutere e farsi domande sull’esistenza di Dio e sul concetto di responsabilità. Ma bisogna invece darsi una mossa perché l’Arca sta per partire e solo due pinguini potranno salire. I due pinguini più grandi chiudono il terzo in una valigia e si imbarcano. Non sarà facile nascondere il clandestino alla super efficiente colomba. Finale a sorpresa sull’universalità dell’amore.
Tra i miei progetti futuri c’è quello di portare nelle scuole la mappatura della letteratura.