Avventurarsi nei Giardini di Kensington significa, per molti, cedere all’incanto di Peter Pan, ammettere che sì, in effetti, sarebbe alquanto difficile “seguire le avventure di Peter Pan senza conoscer bene, prima, i Giardini di Kensington” e, mappa alla mano, entrare dal cancello presieduto dalla “signora dei palloncini”, proseguire per la Grande Passeggiata e, passando per i “Sentieri che si sono fatti-da-sé”, raggiungere il punto sulla Serpentine sul quale Peter Pan si lasciò cadere, lo stesso nel quale si trova ora l’iconica statua in bronzo, apparsa magicamente la notte del 1 maggio 1912 durante l’Ora di Chiusura dei Giardini e quindi, capite bene, quasi certamente opera delle fate.
Indagare la corrispondenza tra il parco londinese e le avventure del “mezzo-e-mezzo” significa addentrarsi nel fitto intreccio di vita e arte, quotidiano e fantastico, realtà e immaginazione. Significa seguire innanzitutto il suo autore. James M. Barrie, com’è noto, amava passeggiare lungo i viali dei Giardini di Kensington in compagnia del cane, un San Bernardo di nome Porthos. Dal 1897, da quando si era trasferito al 133, Gloucester Road con la moglie Mary, non passava giorno senza che uscisse a passeggio nel parco poco distante da casa. I Giardini conservavano ancora, allora, parte dell’aspetto del terreno di caccia voluto nel 1536 da Enrico VIII, e non sorprendeva vedere piccoli greggi di pecore pascolare liberamente nei prati. La Grande Passeggiata e la Vasca offrivano, tuttavia, luoghi di ritrovo più civili. Era lì che, nelle prime ore del pomeriggio, si radunavano bambini e bambinaie, ed era lì che Barrie, inviluppato in un soprabito di diverse taglie più grande di lui, era solito incontrare una stretta cerchia di giovani amici. I bambini che riconoscevano da lontano l’esile figura dello scrittore, bombetta nera calcata in testa, pipa in bocca e cane al seguito, erano, tra gli altri, i figli dello scrittore Maurice Hewlett, Pia e Cecco – sì, il Cecco che, ai piedi del memorabile Albero, “perdette un soldino e, cercandolo, ne trovò due” – e gli irresistibili fratelli Llewellyn Davies, bardati d’abitudine con casacche blu e tam o’shanter[1] rossi: George, John (detto Jack) e Peter.
L’arrivo di Barrie coincideva di norma con il racconto di una storia, ma non era insolito per lo scrittore mantenere un lungo e ostinato silenzio. I giorni in cui Barrie era bendisposto, tuttavia, assicuravano una riserva illimitata di storie, storie di fate, pirati, isole deserte, cricket, bambini che un tempo erano stati uccellini e bambini che lo erano ancora. Come o perché accadde di raccontare la storia del bambino per metà uccello, non si sa. Il nome si decise forse in onore del più piccolo dei fratelli Llewellyn Davies, Peter, o forse dell’ultima commedia scritta dal padre di Cecco, Pan and the Young Shepherd (Pan e il Pastorello), che si apriva con la battuta, “Ragazzo, ragazzo, resterai ragazzo per sempre?” O forse fu tutta una semplice coincidenza. In tutti i casi, Peter Pan arrivò ai Giardini di Kensington e si lasciò cadere all’interno di un gruppo di bambini, raccolti intorno a uno scrittore scozzese a immaginare storie.
Sulle pagine, Peter Pan atterrò nel 1902, quando Barrie diede alle stampe The Little White Bird (L’uccellino bianco), una storia piuttosto bislacca (si fa fatica a chiamarlo romanzo) sull’amicizia tra il Capitano W., un eccentrico gentleman, e David, un bambino, suo vicino di casa. In molti, non senza ragione, riconobbero nel racconto il legame che univa Barrie alla cerchia di bambini dei Giardini, e in particolare a George, il maggiore dei fratelli Llewellyn Davies. Nella finzione letteraria di The Little White Bird, sempre per via di quell’intreccio tra quotidiano e fantastico, Barrie aveva, infatti, articolato la vita con le sue vicissitudini, i suoi attaccamenti, i suoi spazi. Aveva ripercorso il Pall Mall di St. James’s, le strade del quartiere di Kensington e Chelsea, i viali dei Giardini di Kensington e riportato i giochi, le storie, i dialoghi dei suoi amici. Aveva sovrapposto alla Londra reale uno spazio tutto immaginario, fatto di parole, e trasformato un parco cittadino in un terreno d’avventura. In altre parole, conquistò tutti.
The Little White Bird fu un successo colossale di pubblico e di critica. Un “mirabile capolavoro”, lo definì il critico del Times all’indomani della pubblicazione, “una torre delle fate costruita sull’eterna verità”, con “più conoscenza e amore per i bambini” di quanto fosse allora immaginabile. “L’opera letteraria più dolce, delicatamente fantasiosa e bizzarra che si possa senza dubbio concepire”, riportava un annuncio pubblicitario apparso sul New York Tribune il 14 dicembre 1902, a un mese dalla pubblicazione, “A oggi: in Inghilterra, ventimila; in America, trentamila” erano le copie vendute. Barrie si ritrovò, durante le passeggiate al parco, a essere fermato da diversi avventori curiosi di sapere l’esatta posizione dei rifugi delle fate, o ancor peggio da mamme desiderose di presentargli i figli, casomai decidesse di renderli protagonisti delle prossime commedie. I segreti delle fate restarono al sicuro – sapeva essere piuttosto scontroso, Barrie –, ma lo scrittore si fece infine persuadere da George a scrivere una féerie sul mezzo-bambino-e-mezzo-uccello che tanto aveva acceso la fantasia dei lettori di The Little White Bird. A un anno dall’uscita del libro, il 23 novembre 1903, Barrie si mise al lavoro sulla pièce, intitolata allora solo: Anon. A Play (Anon. Una commedia). Il 27 dicembre 1904, con una settimana di ritardo rispetto al debutto previsto, il sipario si alzò su Peter Pan, or The Boy Who Wouldn’t Grow Up (Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere), e Peter Pan prese il volo. Destinazione: il Paese-che-non-c’è, o il mondo.
La corrispondenza tra i Giardini di Kensington e Peter Pan fu definitivamente sancita nel 1906, con la pubblicazione, appunto, di Peter Pan in Kensington Gardens (Peter Pan nei Giardini di Kensington). Gli editori di Barrie, Hodder e Stoughton, nel tentativo di sfruttare la popolarità del ragazzo che non voleva crescere per entrare nel mercato dei libri d’arte, decisero, infatti, di estrarre da The Little White Bird i capitoli dedicati a Peter Pan e di ristamparli con le illustrazioni di Arthur Rackham. Insieme alla storia di Peter Pan, fu estratta anche la mappa dei Giardini di Kensington che, riprodotta graficamente sulla prima pagina, faceva da lancio perfetto alle avventure del “mezzo-e-mezzo”, descritte a partire da quell’incipit trascinante, da vero imbonitore: “Dovrai ammettere che sarebbe difficile seguire le avventure di Peter Pan senza conoscer bene, prima i Giardini di Kensington.” Da subito, quindi, la mappa di Peter Pan in Kensington Gardens istituiva un legame decisivo con il racconto, svolgendo la sua funzione diegetica di premessa indispensabile e di successiva organizzazione della narrazione. I lettori potevano collocare le avventure di Peter Pan nello spazio, tracciandole via via sulla carta dei Giardini di Kensington, e – perché no? – riviverle in una passeggiata nel parco londinese.
Con la storia di Peter Pan ormai disponibile sul mercato, si smise gradualmente di leggere The Little White Bird, tanto che oggi lo strano racconto compare solo come citazione ai margini della biografia del celebre personaggio. Solo gli appassionati e i conoscitori lo recuperano tra gli scaffali polverosi delle biblioteche, alla ricerca perlopiù di indizi sulla reale natura dell’amicizia tra Barrie e i fratelli Llewellyn Davies, o sul segreto di una figura, per sua stessa origine, ambivalente ed elusiva. Del fitto intreccio tra realtà e immaginazione, tendono quindi a prediligere l’una o l’altra, ma è nell’insieme delle due, nell’intreccio appunto, che The Little White Bird rivela il suo valore, non come caso clinico quindi, né come aneddoto nella vita di un personaggio, ma come testo rappresentativo di uno scrittore, di un momento storico-letterario, di una concezione dell’infanzia, in sintesi di una poetica.
The Little White Bird, si diceva, è un racconto di racconti collocati alla rinfusa, che trova una qualche forma di coerenza interna in due dispositivi inerenti al testo: la mappa e la voce narrante. Rispetto alla mappa di Peter Pan in Kensington Gardens, la mappa di The Little White Bird presenta, com’è ovvio, somiglianze e differenze. Come la prima, è incorporata graficamente nella prima pagina del testo e, della prima, riporta tutti gli elementi topografici. È, in modo altrettanto ovvio, più dilatata e dettagliata, conforme a una narrazione più lunga, con più personaggi e storie e coordinate da segnalare. Tuttavia, le differenze non si limitano al numero dei dettagli, ma indicano una sostanziale distanza di segno. Le due mappe, entrambe dei Giardini di Kensington, individuano due luoghi essenzialmente diversi: nel caso di Peter Pan in Kensington Gardens, il regno fantastico di fate e ibride creature; nel caso di The Little White Bird, uno spazio anche dalla forte valenza sociale.
Per cogliere il senso della mappa di The Little White Bird, è utile guardarne la posizione all’interno del testo. Come in Treasure Island (L’isola del tesoro) di Robert L. Stevenson, a cui Barrie certamente si ispirò, esiste una distanza – che è anche una dilazione – tra la collocazione grafica della mappa e la sua allusione o descrizione nel racconto. È un espediente piuttosto efficace per stuzzicare la curiosità del lettore e fargli intendere che un viaggio, e una caccia al tesoro, sono imminenti. Non sorprende, quindi, veder annunciato un viaggio nel titolo del primo capitolo di The Little White Bird: David and I Set Forth Upon a Journey (Io e David partiamo per un viaggio). Solo che, al contrario di Peter Pan in Kensington Gardens e, per la verità, anche di Treasure Island, il dichiarato viaggio del titolo non porta al luogo descritto nella mappa, quindi ai Giardini di Kensington, bensì a un club per gentiluomini nel quartiere di St. James’s: il “Junior Old Fogies’ Club”. La prima avventura del Capitano W. e, seppur idealmente, di David è, infatti, un viaggio a ritroso nel tempo, all’epoca in cui il Capitano W. fece la conoscenza della madre di David osservandola, come The Man in the Crowd (L’uomo della folla) di Edgar Allan Poe, dalla finestra del suo club.
Ambientare la prima parte del racconto in un club potrebbe sembrare una scelta alquanto peregrina, soprattutto se uno dei due protagonisti è un bambino. Il club è per tradizione un luogo riservato a uomini di una certa estrazione sociale e, quindi, categoricamente vietato a donne, bambini ed esponenti delle classi inferiori. Eppure, la scelta di svolgere i capitoli iniziali in un luogo tanto esclusivo sollecita una ridefinizione degli spazi sociali descritti in The Little White Bird, in vista di una contrapposizione tra il club e il parco, centro delle avventure della seconda parte. A segnalare l’antitesi tra i due spazi è un piccolo, altrimenti trascurabile, dettaglio: una didascalia sulla mappa, una minuscola scritta intorno alla base della Vasca, tratta – come tutte le indicazioni topografiche della carta – dalla narrazione, e che recita, “The Pleasantest Club in London”. I Giardini di Kensington sono il club più bello di Londra, e lo sono perché aperti a tutti, a donne, a esponenti delle classi inferiori e, soprattutto, a bambini.
Ciò che Barrie compie, nella mappa e nella narrazione, è una scelta tra un luogo incontrovertibilmente adulto e uno spazio che, nelle sue finalità e nella sua organizzazione, adulto non è. È una scelta che gli venne, ancora una volta, da Stevenson – non dallo Stevenson di Treasure Island, ma dall’autore di Child’s Play, un breve saggio apparso nel 1878 sulla rivista Cornhill Magazine. Nello scritto, Stevenson riconosceva come caratteristica distintiva dei bambini la propensione al ‘make believe’, al ‘fare finta che’, al costruire castelli in aria, al trovare per ogni cosa una “giustificazione immaginativa”. È per via della predilezione dei bambini per l’ombra, anziché la sostanza, che i Giardini di Kensington diventano terreno di avventura, regno delle fate, giardini di versi e di storie. Non è un caso, quindi, che la mappa del parco, presente in The Little White Bird, sia intitolata a un bambino. È “The Child’s Map of Kensington Gardens”. È la mappa come avrebbe potuto disegnarla un bambino, quella che si vede in apertura di libro. È il bambino che, in barba alla prospettiva, ha inserito l’enorme figura di Porthos nell’angolo in basso a sinistra, sproporzionata rispetto all’insignificante Kensington Palace. È il bambino che ha voluto le anatre nella Vasca e Peter Pan, nel nido di tordo, in navigazione sulla Serpentine. È il bambino che si è appropriato del parco e, nell’atto immaginativo e narrativo, lo ha trasfigurato.
Le avventure annunciate dalla mappa in The Little White Bird non sono, dunque, soltanto quelle di Peter Pan; sono le “nostre” avventure, come ci informa il Capitano W. a inizio del capitolo The Grand Tour of the Gardens (Facciamo il giro dei giardini). Sono le avventure del Capitano W.; di David e Oliver e gli altri bambini; di Irene, la bambinaia di David, che conosce una sola storia, ma la racconta “come mai è stata raccontata nessun’altra fiaba”; di coloro, insomma, adulti e bambini, che costruiscono castelli in aria e favoleggiano e immaginano storie. Nostre, infine, di tutti noi lettori.
[1] Tradizionale berretto scozzese, con un pompon al centro.