Libri Disobbedienti

Roald Dahl: una storia editoriale a lieto fine. Fortunatamente

Written by Alessandra Starace

Tutta la storia della letteratura per l’infanzia è anche la storia della letteratura di infiniti tentativi fatti per inseguire e nutrire l’immaginazione dei bambini che è mutevole, strana, indecifrabile, affamata di nuovi nutrimenti ma facile a saziarsi.(Alice, Gulliver e le fiabe oscure, in Gli amici ritrovati: tra le righe dei grandi romanzi per l’infanzia, Antonio Faeti, Rizzoli, 2010).

Nel precedente articolo “Il valore dello spazio bianco” ho avuto modo di evidenziare come lo spazio bianco, in un testo narrativo rivolto ai giovani lettori, costituisca un espediente di valore, non solo perché ne aumenta la leggibilità e la comprensione ma anche perché si offre come uno spazio propedeutico al completo dipanarsi della magia della lettura. Un espediente di valore al servizio della lettura, sempre più a rischio in un’epoca dominata non solo dalla comunicazione visiva ma anche dalla velocizzazione delle storie audiovisive e digitali, di cui le nuove generazioni sono esperti fruitori.

Se l’alta leggibilità di un libro costituisce una prerogativa indiscutibile per un lettore alle prime armi, affinché la lettura riesca a sedurlo e appassionarlo ci vuol ben altro. I bambini si annoiano e si distraggono con molta facilità e, come osserva Silvia Blezza Picherle in Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e itinerari narrativi tra territorio e scuola, “faticano a seguire la sequenzialità narrativa”, sono più interessati a cogliere la trama a grandi linee e a sapere “come va a finire” la storia. Per non parlare della loro ricerca, quasi spasmodica, di figure, da cui dipende la scelta e la lettura di un libro.
Come convincere, dunque, i giovani lettori a leggere un libro così da fargli provare quel diletto che noi per primi abbiamo sperimentato, come trasmettergli quel piacere che non si può insegnare ma va vissuto in prima persona?

Innanzitutto evitando di scegliere al loro posto le letture che si considerano adatte, pensando al fine educativo, ma favorendo la libera scelta in base ai propri interessi e alle loro inclinazioni. Proponendo, poi, libri capaci non solo di nutrire l’immaginazione con belle storie ma in grado di arricchire la loro visione del mondo e della vita e di permettergli di comprenderla meglio, modellarla e modificarla se necessario. Storie che aiutino a conoscere meglio se stessi e gli altri, offrendo la possibilità d’immedesimarsi con i personaggi, condividerne le emozioni e gli stati d’animo nonché i desideri più segreti, anche quelli ritenuti, dagli adulti, più trasgressivi. Storie che abbiano il potere di rassicurarli e, nello stesso tempo, metterli alla prova, proponendo situazioni imprevedibili che possono anche impaurire e suscitare un senso d’inquietudine.
Ricordando che non è la paura che provoca il piacere o desta l’attenzione ma la struttura narrativa all’interno della quale si narrano le avventure più tragiche.

Gli Sporcelli, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Gli Sporcelli, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Il racconto, come afferma Aristotele nella Poetica, costituisce l’anima della tragedia ed è di vitale importanza affinché all’esperienza paurosa segua quella del piacere.
Come afferma sempre Silvia Blezza Picherle, la struttura narrativa sarà tanto più funzionale al godimento dell’opera tragica, qualora intervengano a suo supporto un certo stile di scrittura, un ritmo vorticoso, e qualora sia capace di suscitare domande che anticipino gli avvenimenti successivi.
Ma storie che siano anche divertenti e sorprendenti, sovvertendo l’ordine degli eventi, che rispondano alle molte domande sull’esistenza che i bambini non osano fare.
Libri che utilizzino un linguaggio che si adegui all’immaginario infantile ma che sia anche nuovo, affascinante e ammaliante.

Quindi, colui che si occupa dell’educazione alla lettura dei bambini dovrebbe far di tutto per favorire l’incontro con libri di narrativa belli e complessi, capaci di suscitare il piacere nelle sue diverse forme, senza preoccuparsi troppo di quanto, realmente, a una prima lettura, possa essere compreso.
Significativo a tale proposito il celebre brano tratto da Matilde, relativo alla conversazione fra la bibliotecaria Felpa e Matilde stessa, “una lettrice piccola piccola”, che a soli quattro anni ha già letto Il giardino segreto; in esso si può cogliere un atteggiamento di reciproca fiducia tra la bibliotecaria, figura preposta a promuovere la lettura, e la bambina, in merito a quanto proposto:

– E adesso che libro vorresti?
– Uno veramente bello, di quelli che leggono i grandi. Un libro famoso. Ma non ne conosco nessuno.
La signora Felpa passò in rivista gli scaffali, esitante. Non sapeva cosa consigliarle. Come si fa a scegliere un classico per una bambina di quattro anni?
Dapprima pensò di proporle un romanzo per ragazzine adolescenti, ma poi, chissà perché, passò istintivamente davanti allo scaffale senza fermarsi.
– Prova questo- disse alla fine. -È famosissimo e molto bello. Se ti sembra troppo lungo, dimmelo, e ti cercherò un libro più corto e un po’ più facile.
Grandi speranze – lesse Matilde, – di Charles Dickens. Mi piacerebbe provarci.
La signora Felpa pensò che era una follia, ma a Matilde disse: – Certo che ci puoi provare.
Durante i pomeriggi successivi, la bibliotecaria non riusciva a distogliere lo sguardo da quella bimbetta seduta per ore e ore nella grande poltrona, dall’altro lato della stanza, con il libro sulle ginocchia. Aveva dovuto appoggiarlo sulle ginocchia perché era troppo pesante da reggere, per lei, e per riuscire a leggerlo era costretta a piegarsi in avanti. Era davvero uno strano spettacolo guardare quella personcina seduta, i cui piedi non arrivavano a terra, completamente assorta nelle meravigliose avventure di Pip e della vecchia signorina Havisham con la sua casa piena di ragnatele, persa nell’incantesimo che Dickens, il grande inventore di storie, aveva saputo creare. […] In una settimana, Matilde finì di leggere le 411 pagine di Grandi speranze.
– Mi è piaciuto moltissimo- disse.
– Questo Dickens ha scritto altri libri?
-Tanti – rispose sbalordita la signora Felpa. – Vuoi che te ne scelga un altro?

Nei mesi seguenti, sotto la guida affettuosa della bibliotecaria, Matilde lesse i seguenti libri:

Nicholas Nickleby di Charles Dickens
Oliver Twist di Charles Dickens
Jane Eyre di Charlotte Brontë
Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen
Tess dei D’Urberville di Thomas Hardy
Kim di Rudyard Kipling
L’uomo invisibile di H.G. Wells
Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway
L’urlo e il furore di William Faulkner
Furore di John Steinbeck
La roccia di Brighton di Graham Greene
La fattoria degli animali di George Orwell.

Si trattava di un elenco straordinario, e la signora Felpa era ammirata e stupefatta, ma per fortuna non si lasciò trascinare dall’entusiasmo. Chiunque fosse stato testimone delle prodezze di una bambina così piccola, probabilmente avrebbe cercato di spargere la voce in paese e fuori. Chiunque, ma non la signora Felpa, che badava ai fatti propri e aveva capito da un pezzo che è meglio non immischiarsi con i bambini altrui.

– Hemingway dice un mucchio di cose che non capisco, soprattutto sugli uomini e le donne. Però mi è piaciuto moltissimo. Ha un modo di raccontare che mi fa sentire come se fossi proprio lì, a vedere quello che succede.
-Tutti i bravi scrittori ti faranno quest’effetto – disse la signora Felpa. – E non preoccuparti se c’è qualcosa che non riesci a capire. Abbandonati al suono delle parole, come se fossero musica.
– Sì, farò proprio così.
(Matilde, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di F. Lazzarato, L. Manzi, Gl’Istrici d’oro, Salani, 2006, Milano, pagine 14-19)

Dahl sembra suggerire a Matilde, e a tutti i primi lettori, di concentrarsi sul piacere estetico della lettura, sulla bellezza dello stile e del linguaggio, originale e inconsueto rispetto al linguaggio comune e parlato. Quel piacere che solo una bella scrittura, dotata di un uso sapiente delle parole e da un ritmo che ne agevola la lettura, sia in silenzio che ad alta voce, è capace di suscitare.

Nel racconto Il GGG di Dahl, Il Grande Gigante Gentile si confessa con un’espressione di “scorata tristezza” alla piccola Sofia, che non perde occasione per correggerlo:

– Parole – disse – mi ha sempre abracabrato. Prova ad avere un po’ di pazienza con me, e non capilla. Come ti ha già spiegato, io sa benissimo quello che parole vuole dire, ma in un modo o nell’altro le parole finisce sempre per intortiglintricarsi”.
– Succede a tutti – disse Sofia.
– Non come a me – disse il GGG – io parla un terribile granbigné.
– Affascinante – ripeté Sofia.
– Beh, questo è il più bel regalo che io ha ricevuto in tutta la mia vita! – esclamò il GGG. – Tu è sicura che non mi sta introttolando?
– Certo che no – disse Sofia. – Adoro il suo modo di parlare.
– Ma è miravibondo! – s’entusiasmò il GGG, sempre più esaltato! – Fantelastico! Davvero esiliante! Io è tutto confusionato!
(Il GGG, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di D. Zilliotto, Gl’Istrici, Salani, 2008, Milano, pag. 54)

Già da soli, questi due brevi assaggi tratti da due dei libri più amati di Roald Dahl mostrano quanto il linguaggio usato nelle sue narrazioni sia in grado di sedurre anche il lettore più riluttante, e quanto una delle caratteristiche più affascinanti risieda nella possibilità di leggerle ad alta voce. Racconti pensati dunque per un pubblico abituato ad ascoltare le storie e subirne il fascino, già prima d’imparare a leggere e di scoprire il significato di parole misteriose. Arte nella quale Dahl era un maestro:

“Ora vi voglio raccontare, gente, la storia di un porcello intelligente; era di testa fina, gran lettore, molto istruito e buon ragionatore, esperto di meccanica spaziale, e di ogni altra scienza in generale; esperto in tutto tranne una questione, che lo mandava spesso in confusione: giacché per lui, davvero, era un rollo il senso della vita di un porcello.”
(Sporche bestie, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di R. Piumini, Gli Scriccioli, Nord-Sud, 2010, Milano, pag. 7)

Matildse

Matilde, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Il problema però è che, molto spesso, le caratteristiche che rendono appetibile un libro ai bambini sono le stesse che ne impediscono la diffusione. La diffidenza e l’ostilità degli adulti ha l’effetto di influenzare gli editori, che, in qualche modo, cercano sovente di pubblicare libri che possano generare malumori o urtare la sensibilità di quanti svolgano un ruolo educativo. La storia editoriale dei libri di Roald Dahl è la prova più eclatante di quanto vado esplicitando.

Però è curioso il fatto che, sia al tempo in cui le opere furono pubblicate sia in tempi più recenti, mentre a preoccupare gli editori anglosassoni in fase di redazione delle opere dello scrittore, così come i critici, i bibliotecari, gli insegnanti e i genitori, furono le tematiche affrontate e le modalità, qui in Italia a infastidire e a creare resistenza, sia stato proprio il linguaggio narrativo.

Se è vero che molti insegnanti, formati nella promozione della lettura, ne riconoscono il valore, è anche vero che spesso è più facile aggirare il problema e optare per altri tipi di letture. Qualche mese fa conversando con una bambina che stava leggendo come lettura scolastica Danny. Il Campione del mondo, alla mia osservazione sul perché la maestra, tra tanti libri più godibili, avesse scelto proprio quel titolo, la risposta non ha avuto esitazioni: “Perché sembra che sia l’unico libro in cui non ci sono giochi di parole o vocaboli inventati”.

In effetti Danny il campione del mondo è un libro sui generis tra i libri di Dahl, una sorta di autobiografia e celebrazione di un padre meraviglioso e amorevole. Una storia semplice ma allo stesso tempo profonda, in cui si presta molta attenzione alla descrizione dei sentimenti, ma di certo ben lontana da altre. Gli Sporcelli, per esempio, è una storia capace di attrarre l’attenzione dei bambini già a partire dal titolo, che nasconde la possibilità di giocare con le parole e con il loro significato.

In un laboratorio di lettura ad alta voce tenuto dall’insegnante Marika Vincenzi, in una scuola primaria, durante l’anno scolastico 2011-2012, i bambini, dopo aver ascoltato la lettura parziale de Gli Sporcelli, osservano a proposito del titolo:

M1: Sembra formata da due parole, sporchi e porcelli.
Alessandro: Si, è vero, forse per dire che sono proprio brutte persone, nel senso di cattive.
M2: Insomma la parola Sporcelli è adatta ai personaggi.
E ancora, a proposito della casa dei due coniugi:
C: La casa è come loro! Non ha finestre! Non c’è luce in casa.
K: La luce è gioia, felicità.
Insegnante: Secondo voi, come mai gli Sporcelli non vogliono la luce?
C: I signori Sporcelli sono soli, perché non riescono a liberarsi dai brutti pensieri.
La loro casa è buia perché dentro ci sono pensieri oscuri. Non ha finestre perché loro non vogliono la luce! Danno spazio solo ai brutti pensieri.
A: Sono cattivi, prepotenti!
S: Chi la fa l’aspetti! Fanno dispetti a tutti, ma poi fanno una brutta fine e la colpa è loro.
(Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e itinerari narrativi tra territorio e scuola, Silvia Blezza Picherle, Franco Angeli, Milano, pagine 212-214).

Il GGG

Il GGG, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Un’esperienza che è piaciuta moltissimo ai bambini e che, se da una parte dimostra come la condivisione della lettura ad alta voce può essere di sprone a quest’attività, conferma che la scelta di un libro adatto può rivelarsi vincente e dare frutti inattesi e sorprendenti. Se penso a quante mamme leggendo Il GGG si bloccano alla parola “Merda!”, scandalizzandosi di quel linguaggio escrementizio che così tanto soddisfa il desiderio dei bambini di “parole proibite”, negandogli una delle letture più belle che si possa fare, mi da la certezza che per quanta strada sia stata percorsa, per infrangere certe resistenze e pregiudizi c’è ancora molto da fare. Nessuno potrà essere in disaccordo sul fatto che le narrazioni che parlano di escrementi e sporcizia suscitino un senso di rifiuto negli adulti, e un piacere e un divertimento irresistibile nei bambini. Ma senza andare a disturbare la psicoanalisi e indagare sull’importanza che il controllo delle funzioni corporee riveste per il bambino nella crescita emotiva, ci accontenteremo di sapere che la parola “merda”, o meno volgarmente “cacca”, viene associata dai bambini a un universo di cose proibite, tanto più grande quanto più forte è la censura posta dall’adulto.

Consapevoli di questo piacere, sono molti gli scrittori che fanno uso di questo espediente, a partire da Dahl, per provocare:

un duplice piacere: quello di trasgredire nell’immaginario le imposizioni degli adulti e quello di poter ritrovare nelle pagine dei libri il mondo nei suoi aspetti fisici più autentici e forti. In questo modo la narrativa restituisce ai bambini e ai ragazzi il pieno sapore della vita, con tutto il suo carico di profumi e di odori, di sapori e di gusti, anche quelli più invasivi e penetranti. (Libri, bambini, ragazzi. Incontri tra educazione e letteratura, Silvia Blezza Picherle, e Pensiero, 2011, Milano, pagine 227-229).

La fabbrica di cioccolato

La fabbrica di cioccolato, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Ma torniamo alla storia editoriale dei libri di Roald Dahl, soffermandoci sui fatti più eclatanti che ne hanno ostacolato il successo e di quelli che invece lo hanno agevolato. Per quanto riguarda l’argomento, la mia fonte principale è la biografia scritta da Donald Sturrock Roald Dahl. Il cantastorie, Odoya, 2012, che eviterò di citare ogni volta per non appesantire troppo la scrittura.
Il suo libro più famoso, La fabbrica di cioccolato, pubblicato nel 1964, ancor prima della sua trasposizione cinematografica deve il suo successo al passaparola.

“Un’editrice confessò orgogliosa di aver rifiutato il libro due volte. Anche in America il libro divenne famoso nonostante l’ostilità di numerosi bibliotecari, che lo trovavano anch’essi sfacciato e di cattivo gusto, e si rifiutavano di esporlo sugli scaffali. […] Eleanor Cameron, autrice per bambini canadese, in un articolo su The Horn Book Magazine, intitolato McLuhan: i giovani e la letteratura, definì La fabbrica di cioccolato un ‘libro scadente, di cattivo gusto, orribile e sadico, e citando T. S. Eliot, si chiedeva se non potesse arrecare danno ai bambini’. Ursula K. Le Guin, famosa autrice di fantascienza, ammettendo che la figlia era rimasta incantata da La fabbrica di cioccolato, osservò che la sua ‘di solito adorabile’ figlia fosse divenuta ‘villana’.”

La fabbrica di cioccolato, ormai divenuto un classico della letteratura per l’infanzia, fu criticato e ostacolato fin dalla sua prima edizione, che risale al 1964 per gli Stati Uniti e al 1967 per il Regno Unito, perché ritenuto immorale, sovversivo e crudele per il pubblico dei bambini del tempo. E pensare che Dahl arrivò alla stesura definitiva dopo ben sei diverse revisioni e una lunga gestazione, omettendo e censurando egli stesso alcune parti, come è il caso del capitolo in cui descrive un’altra stanza della fabbrica, la Vanilla Fudge Room.

Le revisioni si susseguirono ininterrottamente tra il 1961 e il 1962, periodo in cui il rapporto di fiducia stabilitosi tra Roald Dahl e Sheila St. Lawrence, il suo agente letterario, si consolidò dando i suoi frutti. Mi preme raccontarvi che fu proprio per merito di questa donna che Roald Dahl si convinse a passare dalla letteratura per gli adulti a quella per l’infanzia. Fu lei a intravedere le sue potenzialità come scrittore per bambini, ravvisando in un suo racconto per adulti, Il desiderio, la capacità di Dahl di riuscire a entrare nella mente di un bambino. E fu sempre lei che lo incitò a scrivere quello che poi diventerà il libro che ha sancito il passaggio definitivo di Roald Dahl alla letteratura per bambini: James e la pesca gigante, pubblicato nel 1961.

Ritornando a La fabbrica del cioccolato, alla quarta revisione, Dahl lo propose a Virginia Flower, redattrice di narrativa della casa editrice Knopf. Un’editor esperta ma tradizionalista, che non si rese conto di quale capolavoro avesse nelle mani, tanto da reputare il libro non confacente ai canoni a cui doveva aderire un prodotto destinato all’infanzia, e persino, in alcune parti, volgare e di cattivo gusto. Fortunatamente il suo superiore Bob Bernstein, da poco messo a capo della sezione dedicata alla letteratura per l’infanzia del nuovo gruppo Random House- Knopf-Pantheon, non solo colse la potenzialità commerciale del libro, ma anche la sua straordinarietà. Capì che la storia, aldilà dei contenuti umoristici e crudeli, conteneva tutti gli ingredienti per alimentare la fantasia dei bambini e per soddisfare il loro naturale senso di meraviglia. La fabbrica di cioccolato permetteva a tutti i bambini affamati di opportunità, di poter esprimere la propria vulnerabilità e la propria vita interiore, e di affermarsi, trovando in Willy Wonka un amico che non solo sa riconoscere il valore e il talento, ma da la possibilità di mettersi in luce.

Nella versione finale del libro, Willy Wonka regala la fabbrica di cioccolato a Charlie perché:

Un adulto non mi darebbe mai retta, non avrebbe voglia di imparare. Vorrebbe fare le cose a modo suo, non come dico io. Perciò ho bisogno di un ragazzo.
(La fabbrica di cioccolato, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di R. Durantini, Gl’Istrici Salani, 2005, Milano, pag. 195).

Proprio come Dahl, che rinuncia a farsi capire e apprezzare dagli adulti e che comunica meglio con i bambini.

Se appena pubblicato il libro fu accusato di razzismo per la descrizione del popolo degli Umpa- Lumpa, neri pigmei provenienti dalla profonda e sconosciuta giungla africana (la qual cosa costrinse Dahl a modificarne le caratteristiche in una nuova edizione pubblicata nel 1988, descrivendoli come nani con capelli marrone dorato e una pelle bianco-rosata), le critiche non finirono, tanto che, proprio in quello stesso anno, il libro fu oggetto di un tentativo di censura da parte di una biblioteca del Colorado, perché vi si ravvisava un incitamento a condurre una vita povera ed essenziale.

È da notare che se i libri di Roald Dahl sono stati soggetti frequentemente e costantemente a tentativi di limitazioni e censure da parte di scuole, biblioteche, librerie e di quanti sono preposti all’educazione dei bambini, e che non è difficile trovarli nelle liste dei libri bannati o proibiti, stilati dall’American Library Association, come nel caso de La fabbrica di Cioccolato, i primi ostacoli furono creati proprio da chi aveva il ruolo di riconoscerne le qualità e di produrli.

James e la pesca gigante

James e la pesca gigante, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Ma la cosa più assurda da evidenziare è che non era il valore narrativo o lo stile dell’autore ad essere messo in discussione, quanto argomentazioni che nulla avevano a che fare con il piacere di leggere, che Dahl voleva trasmettere ai bambini attraverso i suoi racconti. E se è vero, che in tutti è implicito un messaggio morale, e c’è la volontà di instaurare un rapporto di complicità con i bambini, è anche vero che Dahl mise l’arte narrativa al servizio della letteratura per l’infanzia, usando tutti gli espedienti per produrre libri di buona qualità.

Brevemente accennerò alle critiche e alle ostilità che suscitò James e la pesca gigante (1961), il suo primo libro rivolto ai bambini, una storia in cui Dahl espresse il suo profondo desiderio di giustizia.
Il libro racconta di un bambino rimasto orfano che viene mandato a vivere con due perfide zie, Spugna e Stecco, le quali non perdono occasione per maltrattarlo, picchiarlo e farlo lavorare fino allo stremo delle forze.
Soltanto la pesca gigante, cresciuta magicamente, gli permetterà di fuggire e vivere una fantastica avventura, salendovi a bordo insieme a una nutrita comunità d’insetti. La stessa pesca che, rotolando lungo la collina, lascerà le due odiate zie “stirate sull’erba, piatte, sottili e inanimate come una coppia di bambole di carta ritagliate da un album”.
Quando Dahl condivise la storia con Sheila St. Lawrence, lei ne fu entusiasta, credeva fortemente che la storia potesse diventare un best seller alla stregua di due dei più grandi successi di quegli anni: La tela di Carlotta e Stuart Little di E. B. White.

“Davvero, sul serio, onestamente è più bello che mai e meglio di quanto mi sarei mai potuta aspettare. Penso che tu abbia fatto l’impossibile e abbia attraversato il confine fra adulti e ragazzi”.

Sheila, come critico editoriale, da una parte era entusiasta del lavoro di Dahl, dall’altra lo sollecitava a rendere più stimolante e avvincente la storia, aggiungendo particolari che la rendessero più appetibile. Suggerimenti che Dahl fu felice di seguire perché a infastidirlo profondamente non erano tanto i consigli, che costituivano per lui motivo di stimolo ed entusiasmo, quanto invece le critiche sulla sintassi e lo stile. James e la pesca gigante fu accolto dalla critica con tutti gli onori, dopo poche settimane dalla sua pubblicazione, nel novembre del 1961, il New York Times scrisse:

“dalla fantasia vivida […] una miscela magica preparata con ingredienti assurdamente nauseanti [ … ] ma senza mai un momento di noia.”

“MA SENZA MAI UN MOMENTO DI NOIA”.
Questo dovrebbe essere sufficiente per assoldare un libro alla buona causa del piacere di leggere? Per rendere appetibile un libro e proporlo ai bambini? Di certo non per coloro che cercarono di limitarne la lettura, in quanto la storia sembrava promuovere elementi magici, riferimenti a droghe, alcol, nonché la disubbidienza e il comunismo. Per non parlare del riferimento sessuale da attribuire a un passo in cui il ragno si lecca le labbra. Come si evince poi, dalla posizione numero 50 della lista dei libri proibiti o bannati tra il 1990 e il 1999, nel 1999 il libro fu soggetto a tentativi di censura in una scuola elementare del Texas, perché presentava la parola: “ass”.

Al posto 22 della medesima lista troviamo invece un altro capolavoro di Dahl, Le Streghe, e non solo perché questo sia ritenuto spaventoso, poco adatto all’età dei lettori ai quali si rivolge, perché sembri inneggiare alle arti magiche e alla stregoneria, ma anche perché ritenuto misogino. A pagina 9 del libro in questione si legge:

“Le streghe sono tutte donne.
Non voglio parlare male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto.
D’altra parte i vampiri e i lupi mannari sono invariabilmente uomini. Gli uni e gli altri sono pericolosi, è vero, ma una strega lo è almeno il doppio. (Le streghe, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di F. Lazzarato e L. Manzi, Gl’Istrici, Salani, 2008, Milano, pag. 9).

le streghe

Le streghe, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

Neanche Matilde, uno dei libri più amati dai bambini, è indenne alle critiche, è infatti accusato di istigare nei bambini la disubbidienza verso i genitori senza che ne consegua alcun genere di punizione. Non mancano critiche e tentativi di censura verso altri libri, come ad esempio Versi Perversi, La Magica Medicina, Il coccodrillo enorme, I Minipin e Il GGG.
In particolare in Versi Perversi il tentativo di censura scatta nel 1992 a causa di due vocaboli contenuti nel libro “hell” e “slut”, e per la crudeltà che caratterizza alcune delle fiabe rivisitate. (Encyclopedia of Censorship, di J. Green, N. J. Karolides, Infobase Publishing, New York, 2014, pag.139)

Per quanto riguarda gli ostacoli incontrati in fase di redazione e pubblicazione, citerò brevemente due libri rivolti a una fascia di primi lettori: il primo è Il dito magico, scritto tra il 1962-1963, che racconta la storia di un gruppo di cacciatori di anatre che vengono trasformati in volatili e cacciati dalle anatre stesse. Magia che avviene ad opera di una bambina di otto anni che ha il potere di sviluppare poteri magici allorché è assalita da una furiosa rabbia ogni volta che si trova davanti a un’ingiustizia. Dahl fa dire alla bambina:

“Non sopporto la caccia, proprio non la sopporto. Non mi sembra giusto che gli uomini e i ragazzi uccidano gli animali solo per il divertimento che ne ricevono”. (Il dito magico, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di M. Zannini, Gli scriccioli, Nord-Sud, 2007, Milano)

Il libro, che faceva parte di un progetto che coinvolgeva famosi scrittori e che prevedeva di creare una storia per bambini usando un vocabolario limitato di 250 parole, avrebbe garantito a Dahl una remunerazione di ben 2000 dollari. Una cifra che lo scrittore proprio non poteva rifiutare. Peccato che il suo editore Crowell Collier, per non offendere la potente lobby degli armaioli americani, fece in modo di non pubblicarlo. Anche Virginia Fowler editor della Knopf lo rifiutò, azione che la mise nei guai con il suo stesso capo. Fortunatamente tre anni dopo, il racconto fu pubblicato da Harper & Row.

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Furbo, il signor volpe!, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, Salani

A una storia editoriale non scevra di problemi e rimaneggiamenti andò incontro anche Furbo, il signor Volpe, il secondo breve racconto per lettori in erba, che narra le gesta di un’astuta volpe, che difende e salva la sua famiglia e quella di altri animali affamati, da tre malvagi agricoltori. Lo staff della Random House era preoccupato per il fatto che gli insegnanti e i bibliotecari non avrebbero apprezzato i furti commessi dalla volpe. Inoltre c’è un passaggio in cui si paragona il conflitto tra gli animali e gli agricoltori alla guerra umana. La presenza sempre più imponente dell’esercito americano in Vietnam sembrava giustificare in qualche modo la resistenza e le preoccupazioni dell’editore.

Fortunatamente ci pensò un giovane redattore della casa editrice a trovare una soluzione: la volpe avrebbe rubato il cibo nelle fattorie dei tre malvagi agricoltori piuttosto che nei supermercati. Ancora una volta un libro veniva pubblicato grazie all’intuizione di un giovane e intraprendente redattore.

Ed è sempre grazie a un’intraprendente e coraggiosa editor se oggi possiamo leggere i libri di Roald Dahl in italiano: la triestina Donatella Zilliotto, che “nel 1987 portò alla casa editrice Salani il suo bagaglio di cultura, gusto ed esperienza” dando avvio alla collana gl’Istrici, i cui testi – oggi circa duecentocinquanta, divisi al loro interno in sezioni – davvero “pungono la fantasia dei lettori”.
(La letteratura per l’infanzia, P. Boero, C. De Luca, Roma-Bari, 1995).

La stessa persona che nel 1958, portò in Italia il personaggio di Pippi Calzelunghe, pubblicandolo in apertura alla collana “Il Martin Pescatore” che la casa editrice Vallecchi le aveva incaricato di curare.
(Il volo di un martin pescatore. Ritratto di Donatella Ziliotto: un’intellettuale per l’infanzia, dalla televisione all’editoria, alla narrativa, Claudia Reggiani, EL, 1998, Trieste).

Inaugurare la collana degli Istrici con uno scrittore grottesco e irriverente come Dahl ebbe un effetto dirompente, se si pensa che quotidiani e settimanali normalmente disinteressati alla letteratura per ragazzi non persero occasione di parlarne.

“La collana Gl’Istrici ha il merito di aver reintrodotto in Italia un’idea di qualità narrativa nell’editoria per ragazzi, concetto che sembrava essersi perduto alla fine degli anni settanta”. Scrive Daniele Brolli sul Manifesto dell’8 aprile 1990.
“Buone notizie per i bambini di tutta Italia: potranno leggere nei prossimi giorni due libri di uno scrittore per l’infanzia scabroso, scandaloso, eccitante: Roald Dahl. Il GGG, (cioè il grande gigante norvegese) e Le Streghe stanno per uscire per Salani.
Informa Guido Almansi su “Panorama”. (Il volo di un martin pescatore. Ritratto di Donatella Ziliotto: un’intellettuale per l’infanzia, dalla televisione all’editoria, alla narrativa, Claudia Reggiani, EL, 1998, Trieste).

I libri di Dahl avevano tutti i requisiti che la nuova collana richiedeva, qui ben enunciati da Donatella Zilliotto:

Con Gl’Istrici ho pensato di dare ai bambini ciò che essi chiedevano, cioè i generi come l’horror, il giallo, il sentimentale, la fantascienza, il fantasy che di solito erano rivolti solo ed esclusivamente agli adulti. Ho tenuto conto di tutto ciò, come pure dell’esperienza televisiva che mi ha insegnato a cercare libri con un ritmo più veloce e senza troppe lungaggini, cioè quelli che catturano i bambini e li avvicinano alla lettura. Si trattava di scegliere testi che fossero ‘dalla parte dei bambini’ anche sotto il profilo stilistico, cioè scorrevoli, veloci, dinamici, ricchi di una costante tensione, con poche descrizioni e molti dialoghi. Ironia e grottesco sono le caratteristiche della collana, delle quali mi servo per poter dire qualsiasi cosa, per dare ai bambini la forza di non demordere, di credere in se stessi, in un etica non superficiale e non convenzionale.
(La rivolta del bambino di plastica. Libri e collane per insegnare ai bambini a difendersi dai genitori, di Donatella Zilliotto, in Raccontare ancora. La scrittura è l’editoria per ragazzi, Vita e Pensiero, a cura di Silvia Blezza Picherle, 2007, Milano).

I racconti di Dahl nascevano dall’esigenza di divertire i bambini per inculcare in loro l’abitudine a leggere, e per questo ben vengano gli scherzi, gli indovinelli, la cioccolata, e i “petocchi”, così come altre cose che piacciono ai bambini.
Storie con trame di “prim’ordine” che alle fiabe, che Dahl tanto aveva amato da bambino, non solo rubano gli elementi grotteschi e umoristici, attualizzandoli e raccontando nuove paure e inquietudini, ma ne ricalcano la struttura e lo schema generale, raccontando un evento tragico che mette fine a una situazione precedente paradisiaca, dando il via a una serie di peripezie che il protagonista deve compiere per il ristabilimento dell’equilibrio.

Spesso il protagonista è un orfano di figure genitoriali positive che si trova a combattere contro adulti negativi, che sconfigge usando l’intelletto e l’aiuto di alleati, per conquistare un nuovo rapporto affettivo appagante. Un lieto fine, dunque, che nelle storie di Dahl, comporta un capovolgimento della situazione iniziale.

Delle fiabe usa anche lo stile semplice e lineare che privilegia un andamento veloce, non interrotto da lunghe parti descrittive, che si sofferma sul racconto delle azioni dei personaggi e molto meno sul loro approfondimento psicologico, reso perlopiù dalle accurate descrizioni fisiche. Quest’ultime, specialmente quando servono allo scopo di delineare personaggi negativi, costituiscono uno dei tratti caratteristici e impareggiabile di Dahl. Non solo per il linguaggio satirico e umoristico, del quale creativamente fa uso, ma anche per la volontà di rendere la narrazione adatta al racconto orale grazie a un’attenzione alla sonorità del linguaggio e all’intonazione. Espedienti che da una parte hanno la valenza di rafforzare i contenuti che si vogliono esprimere e dall’altra di convogliare l’attenzione dei giovani lettori. Divertente e significativa la descrizione che fa delle zie di James:

Zia Spugna era enormemente grassa e bassa, Aveva occhietti porcini, la bocca cascante e una faccia bianchiccia che pareva bollita. Sembrava un grosso cavolo stracotto e gonfio d’acqua. Zia Stecco, invece, era alta, magra e ossuta e portava occhiali cerchiati d’acciaio in bilico sulla punta del naso. Aveva la voce gracchiante e le labbra lunghe e sottili sempre umide, e quando era arrabbiata o agitata, bollicine di saliva le sprizzavano dalla bocca mentre parlava.
(James e la pesca gigante, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di M. Zannini, Gl’Istrici, 2008, Milano, pagine 12-13).

Senz’altro Dahl bambino non dovette dimenticare le sensazioni provate durante l’ascolto delle fiabe, le emozioni che lo impaurivano procurandogli un gran diletto; così come conservò sempre la capacità di penetrare la mente dei bambini.
“La mente di un bambino è come una foresta buia. È piena di segreti pensieri semicivilizzati che poco dopo si dimenticano come sogni” scriveva. “E per un adulto non è facile ricordare del tutto e con assoluta chiarezza, quaranta o cinquant’anni dopo, com’era essere un bambino. Io ci riesco. Sono certo di esserne capace”.

Da non dimenticare poi l’importanza delle illustrazioni nei libri di Roald Dahl, perlopiù illustrati da Quentin Blake, artista con il quale aveva cominciato a collaborare nel 1978. Le sue illustrazioni colorate, spiritose e vivaci dialogano perfettamente con il testo, riuscendo perfino a sdrammatizzare i brani più oscuri. Un’accoppiata, quella tra Roald Dahl e Gl’Istrici, che si rivelò vincente se pensiamo al numero delle edizioni e ristampe di questi libri, cosa assai più rivelante se si pensa alla velocità con la quale certi capolavori scompaiano in fretta e furia dagli scaffali delle librerie se non sostenuti dalle vendite, andando a rimpinguare il cimitero dei libri dimenticati, se non intelligentemente e sapientemente ripescati da altri editori.

Sperando di avervi incuriosito e di aver sollecitato anche l’insegnante più reticente, vi saluto con le parole di Vivian Lamarque, espresso riguardo a Gl’Istrici, che ben esprimono il mio pensiero:

Grazie di pungerci
in punta di prosa
come spine gentili
come spine di rosa

BIBLIOGRAFIA
Alice, Gulliver e le fiabe oscure, in Gli amici ritrovati: tra le righe dei grandi romanzi per l’infanzia, Antonio Faeti, Rizzoli, 2010, Milano.
Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e itinerari narrativi tra territorio e scuola, Silvia Blezza Picherle, Franco Angeli, 2013, Milano.
Libri, bambini, ragazzi. Incontri tra educazione e letteratura, Silvia Blezza Picherle, e Pensiero, 2011 , Milano.
Roald Dahl. Il cantastorie, Donald Sturrock, traduzione di B. Sonego, Odoya, 2012, Bologna.
Encyclopedia of Censorship, di J. Green, N. J. Karolides, Infobase Publishing, New York, 2014.
Roald Dahl e la radicalizzazione dell’innocenza, Lia Pacinotti, Edizioni ETS, 2004, Pisa.
Roald Dahl and Philosophy. A Little Nonsense Now and Then, J.M. Held, Rowman & Littlefield, United Kingdom, 2014.
La letteratura per l’infanzia, P. Boero, C. De Luca, Roma-Bari, 1995.
Il volo di un martin pescatore. Ritratto di Donatella Ziliotto: un’intellettuale per l’infanzia, dalla televisione all’editoria, alla narrativa, Claudia Reggiani, EL, 1998, Trieste.
Matilde, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di F. Lazzarato, L. Manzi, Gl’Istrici d’oro, Salani, 2006, Milano.
Il GGG, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di D. Zilliotto, Gl’Istrici, Salani, 2008, Milano.
Sporche bestie, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di R. Piumini, Gli Scriccioli, Nord-Sud, 2010, Milano.
Danny il campione del mondo, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di B. Draghi, 2008, Milano.
Gli Sporcelli, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di P. Forti, Gl’Istrici Salani, 2008, Milano.
La fabbrica di cioccolato, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di R. Durantini, Gl’Istrici Salani, 2005, Milano.
Le streghe, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di F. Lazzarato e L. Manzi, Gl’Istrici, Salani, 2008.
James e la pesca gigante, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di M. Zannini, Gl’Istrici, 2008, Milano.
Il dito magico, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di M. Zannini, Gli scriccioli, Nord-Sud, 2014, Milano.
Fantastic Mr. Fox- Furbo il Signor Volpe, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di N. Ottogigli, Gli Scriccioli, Nord-Sud, 2008, Milano.
La magica medicina, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di P. Forti, 2008, Milano.
Versi perversi, Roald Dahl, illustrazioni di Quentin Blake, traduzione a cura di R. Piumini, Gli Scriccioli, Nord-Sud, 2010, Milano.
Minipin, Roald Dahl, illustrazioni di Simona Mulazzani, traduzione a cura di L. Draghi Salvatori, Gli Scriccioli, Nord-Sud, 2010, Milano.

sull'autore

Alessandra Starace

Libraia e promotrice della lettura, biblioterapista , fondatrice di Tata Libro, blog dedicato alla letteratura per bambini e ragazzi. Ideatrice dei SEMInari, tavole rotonde per approfondire tematiche relative alla letteratura per l'infanzia.