In questo numero di Libri Calzelunghe, nel contributo di Barbara Ferraro e in quello di Carla Ghisalberti, compaiono due libri illustrati da Fabian Negrin. La circostanza non si può considerare casuale. Fabian Negrin, uno dei più interessanti e maturi autori e illustratori del panorama dell’editoria per ragazzi mondiale, sembra meglio di altri aver dimostrato la sensibilità necessaria per l’illustrazione dell’oscuro, del lato misterioso dell’animo umano. Non è casuale che a lui siano state affidate le illustrazioni di molte delle raffinate raccolte di fiabe che Donzelli cura per la collana Fiabe e Storie. Fabian Negrin e le fiabe: le fiabe, che sono il contenitore naturale di molte delle paure che accompagnano l’esistenza dell’umanità intera.
Non propriamente una fiaba, ma a queste assimilabile per molte ragioni, è il racconto breve Capitan Omicidio. È lo stesso Dickens a raccontare, quasi a volersi giustificare, che questa storia gli è stata raccontata dalla sua crudelissima bambinaia. Alle bambinaie, in epoca vittoriana certamente, e oggi agli adulti dovrebbe spettare questo ruolo così delicato, di narratori degli angoli oscuri della mente, di narratori della paura. Puoi riconoscerti in questo di ruolo di ‘bambinaia crudele’ che, come fu Virgilio per Dante, racconta per immagini e guida i giovani lettori in un percorso sotterraneo verso la scoperta del lato oscuro del mondo?
Non sarei all’altezza della figura della bambinaia crudele, non credo di avere una missione particolare. Sono un illustratore che cerca di fare bene il proprio lavoro per guadagnarsi da vivere, il quale consiste anche nel far emergere lati oscuri se, però, sono già presenti nel testo, come nel caso di Capitan Omicidio – che già dal titolo ci avverte che sarà una walk on the wild side. È vero, però, che la tendenza generale dei libri per bambini oggi è quella di edulcorare e dolcificare, oppure di rendere stupidi (guardiamo il modello proposto dalla Schiappa). Da questo punto di vista forse è necessario cercare di proporre col proprio fare aspetti diversi, libri non omologati, immagini non alla moda, che più che verso il lato oscuro dovrebbe forse saper spingere verso la bellezza e la serietà del saper fare, due cose per nulla scontate nella produzione di oggi.
Nel tuo ruolo di illustratore riesci a individuare le porte che un testo ha in sé e, una volta scoperte, ad aprirle e insinuartici, con l’unico scopo di andare a vedere che cosa si nasconde al di là. Dickens nel suo racconto attinge a un immaginario consolidato, quello di Barbablù, eppure rimangono ancora molte porte che possono essere aperte. Quanto lavori sul ‘non detto’ per creare le tue immagini? Perché essere allusivi?
Quando ho illustrato Capitan Omicidio ero ancora meno consapevole di oggi rispetto alla fascino di Barbablù e alla sua tradizione iconografica. Si può costruire un mondo immaginifico che racconti il testo in modo parallelo (più o meno come in questo caso), oppure si può raccontare molto fedelmente quello che dice il testo, più tutte le sfumature che ci sono fra questi due poli. Se si ha bene chiaro cosa si vuole fare tutte le possibilità sono ovviamente legittime. In ogni caso, affiancare un disegno a una parola o a un testo cambia il significato di questa parola o testo.
Se facciamo la prova di accostare alla parola ‘casa’ le prime immagini di ‘casa’ che compaiono su Google immagini, lo vedremo chiaramente:
Sotto il profilo della tecnica, sei sempre in cerca di un altrove da esplorare, sperimentare, provare. Il tuo stile è riconoscibile non per somiglianza ma per coerenza interna: un quid, una sorta di nodo interiore che lo rende sempre identificabile. Se paragonassimo le tue tecniche di illustrazione a degli abiti, guardando nel tuo armadio diremmo che hai un guardaroba molto vario e che non esci mai vestito allo stesso modo. Indossare un abito, ovvero utilizzare una tecnica piuttosto che un’altra è legato al contesto che vai ad illustrare? E ancora: ci sono abiti, ovvero tecniche, in cui ti senti maggiormente a tuo agio?

Il fabbro e il diavolo, in Principessa Pel di Topo, Jacob e Wilhelm Grimm, Fabian Negrin – 2012, Donzelli
Nelle illustrazioni alle fiabe dei Grimm sveli al lettore elementi che gli autori tacciono o raccontano brevemente, portando l’attenzione su di essi e dando loro pregnanza narrativa. Quando non è più possibile dialogare con l’autore dei testi, è con il curatore (la curatrice) che si interloquisce o nel caso specifico hai attuato un dialogo ideale coi due fratelli?
A volte, quando ho problemi specifici per risolvere un’illustrazione, può capitare una seduta spiritica per parlare con gli antichi pittori morti: oh, Canaletto, ti prego, dimmi come dipingere questa pozza d’acqua. Di solito funziona.
Mi pare che tu attui il processo inverso che invece molto spesso vedo applicato ad altre fiabe ad altre narrazioni: piuttosto che edulcorare, inasprisci meravigliosamente e suggerisci dei lati oscuri, delle variazioni d’ombra che mettono i brividi. Penso a “Il vaso di basilico”. Chi legga la sua illustrazione senza conoscere la fiaba che racconta, rabbrividisce di orrore e ribrezzo. La fiaba invece, paradossalmente e surrealmente, è a lieto fine… In una fiaba quali sono gli elementi che ti stimolano maggiormente per creare l’immagine, spesso unica, che la deve illustrare?
Laddove l’inquietudine è palpabile, sembra quasi che attraverso gli sguardi dei tuoi personaggi tu cerchi la complicità del lettore. Quanto è importante lo sguardo nelle tue immagini e quale la sua funzione?