Non è facile avere fratelli o sorelle, come non è facile essere fratello o sorella. Ci sono conflitti e difficoltà relazionali che non sono comparabili con nessun altro rapporto.
In un simpatico libello intitolato Parliamone Charlie Brown! (Mondadori, 2005) lo psichiatra rabbino Abraham J. Twerski, ci fa notare che:
Se inseriamo le parole padre o madre o genitori in un programma di ricerca elettronico di una biblioteca psicologica apparirà una lunghissima lista di occorrenze. Digitando invece le parole fratello o sorella, la lista che ne risulterà sarà comparativamente scarsa.
Quello che Twerski vuole dimostrare è che per quanto riguarda la relazione tra fratelli c’è una tale eterogeneità nelle casistiche e il numero di variabili, all’interno di qualunque famiglia, è talmente ampio da non permettere conclusioni definitive. Ovvero quando si tratta di fratelli/sorelle è vero tutto e il contrario di tutto!
Twerski per illustrare tale argomento nel libro sopra citato usa le strisce dei Peanuts, da lui più volte impiegate a scopo terapeutico; ne esce fuori un gustosissimo e ironico sguardo sulle difficoltà delle relazioni famigliari e soprattutto tra fratelli e sorelle.
Eccone un piccolissimo assaggio:
Cosa succede nelle famiglie d’arte? Cosa accade quando per tradizione c’è una strada segnata e la primogenitura assume valore diverso (lo assume?)?
Parlerò in particolare delle Famiglie d’Arte nel Teatro di Figura, forma d’arte a me particolarmente cara e piena di un fascino senza tempo. Ciò che ho sempre amato del teatro è la massima creatività all’interno della regola. È ciò che amo in particolare della Commedia dell’Arte. Nel teatro di figura questo si esprime nel riconoscersi in una tradizione antica, con radici forti, e allo stesso tempo rinnovandola attraverso piccoli e grandi interventi. La tradizione si rinnova per poter essere trasmessa.
Questo nelle Famiglie d’Arte è un punto focale. Oggetto di conflitti e contrasti, a volte di separazioni (si pensi ai De Filippo). Esiste nelle famiglie d’arte un’attesa nella discendenza e un desiderio/bisogno da parte degli eredi di intraprendere strade proprie, ma non necessariamente opposte, che forse noi non possiamo capire.
Nelle famiglie d’arte tutta la famiglia è chiamata a contribuire. La Compagnia è la famiglia, anzi si potrebbe dire che i figli d’arte nascono in una Compagnia, prima ancora che in una famiglia.
Mimmo Cuticchio (classe 1948, puparo, oprante e cuntista) racconta:
[pullquote align=center]In quanto figlio di puparo, vivo nel mondo dei pupi e, aiutato da mio padre, affronto le tappe del consueto apprendistato dell”Opra [l’Opra è l’opera dei pupi siciliani e l’oprante è colui che muove i pupi n.d.r.]. Da suonatore di pianino ad aiutante di palcoscenico, da voce recitante dell’angelo (la prima recitazione che il puparo fa fare ai propri figli) a combattente di terza quinta, sino alla conquista della prima quinta, di fronte al puparo che dirige lo spettacolo. (Da La splendente Armata, Franco Maria Ricci editore)
[/pullquote]Il cammino di Mimmo è segnato alla nascita: da suonatore a combattente di prima quinta, fino al momento di ereditare dal padre il posto di puparo e oprante. E così sarà. Eppure…. non è tutto così scontato e ovvio!
Eugenio Monti Colla (Compagnia “Carlo Colla e Figli”) dichiara che “quando appartieni a una famiglia d’arte senti la responsabilità di dover portare avanti oltre che la tua propria voce, quella dei padri, senti di dover mischiare la tua voce con quella di chi ti ha preceduto.”
Così mi racconta Stefania Mannacio Colla: “non avrei mai scelto di fare la marionettista se non fossi cresciuta in un ambito teatrale di così ampio respiro, innovativo e progressista”. Stefania Mannacio Colla appartiene al ramo dei Colla che discende da Giovanni Colla (fratello di Carlo I Colla) e fondatore della Compagnia “Gianni e Cosetta Colla”. Prosegue Stefania:
[pullquote align=center]Mia sorella Chiara è cresciuta con me in una famiglia molto stimolante da un punto di vista artistico e creativo e il nostro rapporto con il teatro di Gianni e Cosetta è stato molto stretto sin dalla prima l’infanzia: recitare, costruire, dipingere o semplicemente a giocare nel magazzino e in laboratorio, tra costumi, marionette e oggetti di scena. […] Mio padre inventava storie e filastrocche, leggevamo libri, con mio nonno recitavamo gli spettacoli e interpretavamo i vari personaggi; io e Chiara abbiamo recitato sin da bambine anche in teatro in alcune produzioni (io in Pinocchio per la prima volta a 4 anni) e anche lei sa muovere le marionette.
[/pullquote]Poi Chiara in età adulta, sceglierà un’altra strada, mentre Stefania fa la marionettista.
Andrea e Mauro Monticelli (Teatro del Drago di Ravenna) mi raccontano di come per loro sia stato quasi naturale intraprendere il mestiere di burattinai-marionettisti e nello stesso tempo come ereditare una tradizione sia una ricchezza che per poter essere riproposta deve rinnovarsi.
E Alessandro Accettella (figlio di Bruno Accettella), appartenente alla famiglia di marionettisti omonima, nonostante la loro storia come vedremo sia sui generis, racconta:
[pullquote align=center]Fin da piccolo frequentavo i nostri spazi, vivevo e condividevo con loro tutti i momenti più belli del loro percorso artistico. Ciò ha favorito la mia abilità nel saper imparare velocemente a muovere le nostre marionette e a memorizzare tutte le battute degli spettacoli.
[/pullquote]Questo bisogno di essere i propri padri, ma distaccarsene e sperimentarsi è presente anche nelle parole di Mimmo Cuticchio quando dice:
[pullquote align=center]Io figlio maggiore di Giacomo, mi colloco in un rapporto di contrasto critico con la situazione che si viene a creare all’interno della denominazione Figlio d’Arte. Provengo dalla salutare ribellione che oggi mi consente di essere ponte di collegamento tra tradizione e innovazione, in grado di incuriosire e interessare le giovani generazioni. (Da La splendente Armata, Franco Maria Ricci editore)
[/pullquote]In un’intervista a Silvia Ventimiglia su Sicilian Secret Cuticchio aggiunge:
[pullquote align=center]La gente che viene qui, viene perché sa che Cuticchio fa l’Opera dei Pupi che ha imparato dal padre ma sa anche che è andato oltre. Sì, quindi, alla tradizione, ma soprattutto, sì all’ innovazione. […] Mio figlio, invece, maestro di pianoforte, compositore, visto che io sono portato per l’innovazione, ha deciso di portare avanti la tradizione dell’Opera dei Pupi classica, quella che era di suo nonno Giacomo, di cui porta il nome.
[/pullquote]Mimmo Cuticchio ha sentito la necessità di “ribellarsi” al capocomicato paterno, per rinnovare l’Opra che ormai si era insterilita a uso e consumo dei turisti, per portarla attraverso la ricerca e la sperimentazione, ma anche il recupero di certa tradizione, verso un teatro di poesia “dove pupi, pupari, manianti, combattenti, attori, paladini ed eroi si ritrovano sotto le stelle del teatro e dello spettacolo” (La Splendente Armata, Franco Maria Ricci editore).
Di padre in figlio la tradizione si rinnova, muta, trova strade diverse per poter arrivare al pubblico che cambia.
Andrea e Mauro Monticelli del Teatro del Drago hanno saputo recuperare una tradizione e traghettarla nel XXI secolo attraverso un sapiente lavoro di recupero e un’attenta ricerca e sperimentazione. Oggi il Teatro del Drago porta avanti sia la riproposta del classico teatro di burattini in baracca, offrendo un interessante repertorio di testi recuperati e adattati da Mauro Monticelli, sia un Teatro di Figura dove l’attore-animatore, uscito dalla baracca, dialoga, muove, dà voce al burattino che diventa più grande e a volte viene indossato.
Eugenio Monti Colla mi racconta come il loro repertorio sia in continuo mutamento e come i vecchi pezzi siano oggi riproposti nelle Serate Particolari e mai si sognerebbe di metterli in cartellone, perché non rispondono più al gusto del pubblico. Inoltre di come oggi la Compagnia produce ogni anno almeno un nuovo spettacolo cercando nel repertorio della drammaturgia contemporanea (Brecht), ma anche molto nell’opera lirica e come le commissioni dall’estero sempre più spesso offrano l’opportunità di confrontarsi e di accettare la sfida di mettere in scena opere a cui mai si sarebbe pensato.
Anche Gianni Colla sentì il bisogno di staccarsi dalla tradizione. Stefania Mannacio Colla ci racconta:
[pullquote align=center]Mio nonno Gianni, che era una persona molto intelligente, attenta ai mutamenti del tempo e di grande sensibilità artistica, nel primo dopoguerra decise di rompere con la tradizione e di inaugurare un teatro di marionette assolutamente innovativo: esso si sarebbe rivolto ai bambini e ai ragazzi attraverso la letteratura a loro dedicata. Gianni rivoltò come un calzino il teatro delle marionette tradizionalmente inteso introducendo gli attori in carne e ossa a fianco di quelli di legno, introdusse il parlato registrato, inventò gli “spettacoli a vista” e molto altro. Inventò un teatro con una forte identità, unica e riconoscibile, quasi un marchio di fabbrica.
[/pullquote]Diversa, per certi aspetti, è la storia della famiglia Accettella dove i tre figli Icaro, Bruno e Anna, ereditano l’arte di marionettisti dai genitori, “marionettisti per caso”, che non si aspettavano certo di tramandare l’arte e non provenivano da nessuna tradizione!
Infatti Giulio Accettella (figlio di Icaro) racconta:
[pullquote align=center]Io, personalmente, non mi sento erede di una tradizione, che dovrebbe avere caratteristiche più ampie, ma piuttosto testimone di un percorso artistico nato da semplice curiosità, che si è inserito in un momento storico (quello anni Cinquanta e Sessanta) in cui si respirava l’aria di rinascita e di fiducia dei propri mezzi … questo percorso è proseguito (anni Settanta e Ottanta) con la ricerca di nuovi mondi da sperimentare nell’ambito del linguaggio del teatro di marionette… anche perché privo di connotati precisi e di riferimenti a breve termine. Direi che si è trattato di un’avventura che colora i ricordi della mia infanzia.
[/pullquote]La storia della famiglia Accettella ha del romanzesco. Ennio (classe 1903) e Maria (classe 1901), impiegato lui, casalinga lei, cominciano a costruire figurine animate di coccio, illuminando il tutto con qualche lampadina per raccontare storie ai loro quattro figli: Luciana, Icaro, Bruno e Anna. Siamo nel secondo dopoguerra, pochi sono i giocattoli e pochissimi i cinema. Con il tempo ai piccoli Accettella si aggiungono alcuni bambini vicini di casa e nasce un piccolo teatro condominiale. Fino a che la voce girando, non offre ai due “marionettisti per caso” la possibilità di un’uscita pubblica. Da allora parrocchie, CRAL, dopolavoro, sono gli spazi dove Ennio e Maria continuano a portare i loro spettacoli, alle volte aiutati da cugini e amici. Fino ad arrivare al Teatro dietro al Pantheon dove molti della mia generazione li hanno conosciuti (ma qui a muovere i fili ci sono già Icaro, Bruno e Anna) e poi nel 1985 al Teatro Mongiovino dove oggi Giulio e Alessandro, che sono cugini (cosa ben diversa dall’essere fratelli, sottolinea Giulio), continuano a produrre spettacoli.
In conclusione vorrei dedicare alcune righe alle figure femminili.
Le famiglie d’arte hanno radici antiche, in anni nei quali era inimmaginabile passare il testimone a una donna. Ecco perché si è verificato alle volte che, non essendoci una discendenza maschile, il testimone passasse a un ramo “cadetto”.
Eppure le donne erano e sono presenti nelle famiglie d’arte e come mi ricorda Eugenio Monti Colla, lavoravano come marionettiste, sarte e organizzatrici. Lui stesso, figlio di Carla Colla, nipote di Carlo III Colla, è cresciuto professionalmente attorniato da madre, zie, cugine, coccolato, guidato… forse anche troppo. Devo dire che questa immagine che Eugenio Monti Colla mi ha regalato, mi ha fatto molto sorridere e mi sono balzate alla memoria le Sorelle Materassi, così senza che lo volessi.
Non possiamo dimenticare Cosetta Colla, appartenente all’altro ramo della famiglia, quello discendente da Giovanni. Oggi Cosetta ha più di ottant’anni e così la descrive la nipote Stefania Mannacio Colla: “mia zia Cosetta poi, è di una modernità eccezionale nell’accezione più propria del termine. C’è da restare a bocca aperta quando si pensa che ha appena compiuto ottant’anni”.
Un ricordo a parte merita Anna Cuticchio sorella di Mimmo. Anna è una figura quasi romanzesca, sposatasi giovanissima, ha fatto la pupara per molti anni. Un mestiere duro, come racconta in un’intervista rilasciata a Maddalena Maltese nel 2010: “Mettere in scena uno spettacolo significa animare 60 pupi, dal peso non indifferente, Orlando con tutta la sua armatura pesa anche 13 chili, e ognuna delle marionette non scende mai sotto i 10″.
Poi una tragedia si abbatte sulla sua vita, la morte del figlio Giacomo in un incidente. Il dolore la porta a buttarsi nel lavoro e aprire un teatro tutto suo, che intitola a Bradamante, l’unica donna dell’esercito di Carlo Magno indomita e coraggiosa. Poi ancora una svolta: Anna all’inizio degli anni duemila, dopo una lunga crisi spirituale, decide di farsi suora. Venderà i suoi Pupi e alcune scene, per costruire una casa famiglia e una scuola in Tanzania.