Sotto il Banco

La scuola possibile

Written by Carla Colussi

Ciao bambino,
dico a te che stai nascendo proprio ora. Questo messaggio è per te. Perché tu possa contribuire a cambiare le cose.
Scrivo a te perché non sai nulla e non sapere, in questo periodo di bulimia dell’informazione, è un’ottima cosa.

Incominciamo dall’inizio.

Nasci in un periodo confuso, nel quale noi adulti siamo inondati e travolti da milioni di informazioni, e questo ci rende difficile decidere, capire, orientarci, e anche molto fragili… mi dispiace. Siamo talmente frastornati da non fidarci più del nostro istinto e del nostro cuorecervello (sì scritto così tutto attaccato, perché deve essere tutto attaccato, se no si rischia di combinare grossi pasticci, tienilo a mente, piccolo).

Dico questo perché, a parer mio, stiamo vivendo uno dei periodi più duri di questa crisi educativa che ci attanaglia ormai da anni. Una crisi che investe, travolgendolo e lasciandolo morente (ma non morto!) il sistema scolastico, ma che riguarda tutto il sistema educativo e di trasmissione dei valori e di conoscenze, di cui la scuola è lo specchio.

Non credo che prima fosse meglio. Credo invece, e con molta convinzione, che prima l’adulto stava fuori da molta parte della vita del bambino. C’erano uno spazio e un tempo che il bambino aveva solo per sé, che condivideva con gli altri bambini, che non facevano parte del mondo adulto e della scuola. Questo serviva ad alimentare il rapporto con la tribù(1), creare relazioni, rapporti, crescita fuori dal controllo. Questo serviva a offrire la possibilità di essere altro oltre il mondo regolato dagli adulti e di sognare e costruirsi un’immagine differente oltre a quella imposta dalla scuola e dal mondo adulto. Questo ha permesso ai bambini di avere fiducia in se stessi e di crescere più forti. Certo le storture c’erano, le ingiustizie anche. Te l’ho detto, non sto dicendo che prima fosse meglio è che prima c’era la possibilità di avere uno spazio altro e di sognarsi.

Oggi, invece, la scuola occupa il tre quarti della giornata di un bambino/ragazzo, il resto è occupato da attività guidate o regolate dall’adulto (genitore, animatore, allenatore). Lo spazio bambino non esiste più. La tribù non ha più tempo per sé. I bambini e gli adulti stanno sempre insieme e non ci sono più spazi segreti, né per gli uni né per gli altri. E questo non è un bene.

Sul perché siamo arrivati a questo punto, su quali siano e siano state le cause scatenanti è stato scritto molto, molto abbiamo riflettuto e non mi ci soffermerò. Oggi è nostro, di noi adulti, il compito di invertire la rotta, per lasciare questo mondo a una generazione capace di cambiarlo.

Torniamo alla scuola.

Il sistema educativo e in particolare quello scolastico non può continuare nella direzione che tragicamente ha preso.
Produce storture di vario tipo. Casi di DSA in aumento vertiginoso, insegnanti violenti e casi di maltrattamenti, genitori violenti che aggrediscono insegnanti, genitori che si coalizzano in gruppi più o meno virtuali contro altri genitori quando non addirittura contro bambini e/o ragazzi, compagni dei loro figli.

Bambini che dopo otto ore di scuola hanno valanghe di compiti o sono costretti/incoraggiati a fare attività di ogni tipo per compensare alle “mancanze della scuola”. Bambini e ragazzini perennemente adirati e scontenti, nervosi, ansiosi.

Psicologi, sociologi, psicoterapisti, logopedisti tutti intorno a questi bambini. Quando invece l’unica cosa da fare sarebbe far meno e lasciare spazio. Fare silenzio. Tu però non devi preoccuparti, perché ci sono e ci sono state molte persone che, fidandosi del loro cuorecervello più che di ogni altra cosa, hanno fatto grandi cose e le stanno facendo. Tu a queste devi affidarti e di queste devi proseguire il cammino, che noi faticosamente stiamo cercando di tracciare.

Con delle differenze minime, dovute alla cultura o all’epoca, pongono l’accento sul bambino, sui tempi di apprendimento, sull’imparare facendo e sull’imparare in gruppo, sulla lentezza, sulla responsabilizzazione e sulla fiducia in sé, che scaturisce dal provare a fare, sull’importanza dell’errore sia per imparare, sia per accettare la sconfitta.

Antonella Verdiani nel suo libro Ces écoles qui rendent nos enfants heureux ha messo bene l’accento sulle storture del sistema educativo e scolastico occidentale che si basa sulla riuscita del bravo scolaro all’interno di un sistema che non ha interesse per il bene-essere dell’individuo (né di chi apprende e tanto meno di chi insegna), tanto che per riuscita del bravo scolaro si pensa esclusivamente al concetto di riuscita positiva (cioè che risponda a certi canoni/bisogni/dettami della società) dimenticando, ci ricorda Verdiani, il significato etimologico di riuscita ovvero “uscire nuovamente”, tralasciando così o accantonando il ruolo iniziatico dell’educazione e della scuola.

Il bravo allievo che esce da tale sistema non necessariamente è un buon essere umano. Verdiani mette in risalto come il sistema educativo e scolastico formi bravi allievi ma non necessariamente bravi cittadini, che abbiano una coscienza ecologica e fattiva dello stare nel mondo.

Perché questo avvenga è necessario che il sistema scolastico non sia basato sulla competitività, che l’errore sia visto come risorsa e non come mancanza, che si dia importanza alla lentezza e al tempo vuoto e, da ultimo, che si smetta di dare importanza alla quantità a scapito della profondità.

Mario Lodi (tieni a mente questo nome, perché è stato uno dei più grandi maestri della nostra epoca) già negli anni Settanta sottolineava come lo scopo della scuola non dovrebbe essere quello di riempire delle menti ma di lasciar scaturire il sapere-bambino e da lì partire, così scriveva:

“Il corpo del bambino è una prodigiosa macchina che elabora dati e crea cultura: quando va a scuola per la prima volta il bambino già conosce tantissime cose: ha scoperto sé stesso e gli altri, conosce un linguaggio… usa la memoria come mezzo di organizzazione delle scoperte e il corpo come linguaggio per mezzo del quale egli rapporta se stesso agli altri e vive ogni esperienza. È questo il processo naturale di apprendimento che dovrebbe continuare tutta la vita. Se si interrompe la continuità della scoperta, il processo si arresta e la memoria da organizzatrice di conoscenze diventa meccanismo di ripetizione… L’aggressione si consuma decapitando i bambini ai quali si stacca la testa dal corpo e la si riempie di nozioni” (Mario Lodi, Cominciare dal bambino, Einaudi 1977).

Le scuole alternative

Questa affermazione sta alla base di tutte le scuole alternative, ed è applicata anche tra coloro che non hanno o non avevano mai sentito parlare di Mario Lodi.
Questo perché al centro delle scuole alternative c’è l’individuo (bambino, ragazzo, ma anche insegnante), il suo bene-essere e di conseguenza il bene-essere del gruppo.

Noterai, piccolo mio, che tutti questi grandi teorici e pedagogisti, tutti i filosofi ed educatori e le teorie che sono dietro a queste scuole mettono l’accento su:

  • Educazione integrale: questa teoria parte dal presupposto che esista una coscienza integrale in ogni individuo. L’atto educativo deve risvegliare tale presenza e deve aiutarla a sbocciare.
  • Autoeducazione del bambino: auto-scoperta.
  • Autoformazione dell’insegnate in un processo di apprendimento↔insegnamento che non finisce mai.
  • Educazione lenta.
  • Partecipazione (scuola come comunità di allievi-insegnati-genitori).
  • Transdisciplinarietà.
  • Cooperazione.
  • Coeducazione ovvero continuità scuola-famiglia.
  • Bene-essere.
  • Educazione alla gioia.

E sono basate sulla pedagogia del Free Progress ovvero il «Libero progresso» i cui punti fondamentali sono:

• l’educazione ha il compito di guidare l’individuo nell’esplorazione di sé stesso e di ciò che nasconde nel più profondo della propria coscienza;
• lo sviluppo della coscienza è la condizione necessaria all’umanità per attraversare l’attuale crisi nata da uno squilibrio tra un progresso materiale sproporzionato e un progresso spirituale insufficiente;
• la questione più importante riguardante l’esistenza umana è filosofica e ontologica, e riguarda cioè il fine ultimo della vita dell’individuo.

Un’altra cosa che traspare da queste scuole e da questi filosofi, teorici e maestri è la volontà (non sempre espressa, ma fortemente presente) di educare alla gioia. Antonella Verdiani sottolinea una cosa che non dovremmo dimenticare: la gioia ha un ruolo fluidificante nel processo di apprendimento, sia per il maestro che per l’allievo. Ruolo fondamentale ce l’ha l’eros inteso come piacere e godimento nell’apprendere/insegnare. Gioia ed eros sono strettamente legati ad ambiente (luogo, persone, spazi).

Quello che mi lascia perplessa di quasi tutte queste scuole è che molte sono private, con rette da capogiro e quindi di élite, altre presuppongono il fare una scelta di vita e sposare pratiche religiose e/o filosofiche.

Una scuola libertaria è una scuola dove c’è uno spazio comunitario (sala o bosco); chi vuole prega, altri fanno yoga, qualcuno dorme.

Ma vediamo quali e dove sono queste scuole?

La scuola di Auroville

È un insieme di scuole all’interno della città di Auroville, una città sperimentale fondata nel 1968 sulla visione di Sri Aurobindo da Mirra Alfassa, detta la Madre. La scuola, pur essendo fortemente incentrata sul free progress, sull’amore per imparare e sull’autoformazione e accogliendo bambini e ragazzi di ogni religione, ha una forte impronta ancorata alle pratiche yoga. Negli scritti si sente una forte venerazione per la Madre e per Aurobindo, cose che mi lasciano molto perplessa.
Dalle varie testimonianze che ho potuto leggere, Auroville rappresenta un luogo felice e armonico, pur tuttavia separato dal mondo.

 

École alternative Jonathan

Pubblica è l’École alternative Jonathan, una scuola alternativa, nata in Canada negli anni Settanta, che promuove lo sviluppo globale del bambino attraverso le esperienze che egli stesso sceglie. Grazie a tali scelte il bambino è protagonista della sua formazione, responsabile del suo fare, sviluppa il senso di organizzazione e di cooperazione. Forte è la collaborazione tra scuola e famiglia. I genitori sono parte attiva della struttura scolastica.

Altinopolis

Progetto sui generis è Altinopolis, una sorta di Utopia brasiliana, come l’ha definita Mara Lucia dos Reis Marinos.
Antinopolis è una cittadina del sud est del Brasile. All’inizio degli anni duemila il pediatra Marco Ernani, eletto sindaco, partendo dalla proposta dell’ONU per il decennio di Educazione alla Pace e alla Cultura della Non Violenza (2001-2010) decide di attuare l’educazione alla pace come politica di istruzione, aprendo anche spazi ricreativi dove i ragazzi potessero dedicarsi alle attività artistiche. Inoltre introduce l’educazione alla pace come pratica attiva nei programmi scolastici.
Anche ad Altinopoli l’educazione è intesa come educazione alla felicità e alla pace nella direzione della libertà, della creatività e dell’accettazione delle differenze, attraverso la transdisciplinarità e attraverso un progetto sociale e educativo che trascende le discipline e si rivolge alla persona come una totalità.

Brockwood Park School

Anche qui si fatica a non leggere un certo paternalismo e un’educazione incentrata parzialmente sulla religione. Scuola assolutamente privata e con rette da capogiro è la Brockwood Park School. Ispirata agli insegnamenti di Jiddu Krisnamurti, è una scuola superiore per ricchi anche se i principi educativi che la muovono sono gli stessi fino a qui indicati.
Perché è bizzarro come il free progress sia molto amato anche dai grandi imprenditori che ben conoscono il valore del pensiero convergente e dello sguardo a 360 gradi. Come a dire non basta il free progress per essere persone di pace.

Cosa accade in Italia?

L’Italia è una fucina di idee, progetti, teorie fin dal XIX secolo. Molti sono gli esempi di pedagogisti, uomini e donne, che hanno messo il bambino al centro, in cui il bambino non è più spettatore ma attore del processo formativo. Al centro dell’apprendimento sta l’esperienza. La funzione dell’adulto è di facilitare tale esperienza, rispettando tempi e modalità del bambino, predisponendo lo spazio che deve permettere l’esperienza. In questa ottica si muovono Maria Montessori e le sorelle Agazzi.
Ma quello per cui l’Italia è famosa in tutto il mondo è il cosiddetto Approccio di Reggio Emilia (Reggio Emilia Approach), tanto che Susanna Mantovani scrive:

…questa esperienza educativa è stata ritenuta talmente straordinaria da ottenere innumerevoli riconoscimenti e da rendere Reggio Emilia meta di un continuo e inconsueto “turismo pedagogico” da parte di importanti studiosi e educatori di tutto il mondo (AAVV, I cento linguaggi dei bambini, junior 1995).

Sono stati grandi anni quelli. Anni in cui si è tentato di costruire una scuola che fosse uno spazio dove ci fosse attenzione

“al benessere di chi viveva la scuola: prima di tutto i bambini, ed ecco l’attenzione agli spazi, agli arredi, al cibo, ai tempi, ai luoghi per il privato e il riposo; attenzione ai genitori, che dovevano sempre essere accolti e attivi, grande attenzione agli insegnanti per le loro condizioni personali e private, per la valorizzazione dei loro successi, per farli sentire partecipi”.

Attenzione sia per l’infanzia sia per la formazione e le condizioni di vita e di lavoro degli insegnanti.

L’esperienza di Reggio Emilia è stata una grande esperienza corale, di rispetto e attenzione per ciascun attore di quella grande macchina che è la scuola.
Se il bambino nelle scuole reggiane è costruttore e non un recipiente o un oggetto passivo, l’insegnante è un ricercatore ed uno sperimentatore e come tale deve essere riconosciuto. Osserva i bambini e li ascolta non per dovere, vocazione o per buon cuore, ma, come diceva Malaguzzi, per interesse e curiosità per “lanciare delle sonde” e “fare delle spiate” perché “è affascinante vedere cosa fa un bambino davanti ad un buco” (citazioni da Susanna Matovani op.cit).

Le idee di Malaguzzi e del gruppo di lavoro di Reggio Emilia vengono da lontano, affondano le radici nella visione di John Dewy per il quale le esperienze non devono essere imposte dall’insegnante, ma “nascere dagli interessi naturali degli alunni” e il compito dell’educatore è quello di “assecondare tali interessi”. La scuola, secondo Dewy, deve essere attiva, perché attraverso le difficoltà il bambino mette in atto strategie e soluzioni che lo aiutano a crescere. E ancora Friedrich Fröbel, noto per aver realizzato i Kindergarten, simili alle nostre scuole dell’infanzia. Fröbel era convinto che le potenzialità dei bambini si sviluppassero attraverso la vita all’aperto, il gioco e le esperienze tattili.
Cito queste due figure perché, nonostante siano inserite in periodi storici e culturali lontani dalla visione sociale e politica di tutto ciò che è stato il movimento e il fermento di quegli anni, appartengono a un cammino che purtroppo oggi sembra essersi interrotto.

Ma non ti preoccupare, caro bambino, perché in Italia ci sono molti che continuano il lavoro di questi pionieri, molti sono i nidi in tutto il Paese dove l’influsso di Reggio Emilia è arrivato, molte le maestre e i maestri che nonostante un fermento sociale quasi inesistente si ostinano a lavorare fuori dagli schemi usando libri bellissimi, uscendo dalla scuola e considerando il proprio lavoro come una continua ricerca e un eterno aggiornamento.

Un caso bellissimo che ho avuto l’onore di conoscere anni fa è La Scuola Città Pestalozzi, fondata a Firenze nel 1945 da Ernesto Codignola e dalla moglie Anna Maria Merli, che rappresentò allora uno dei primi esempi di scuola privata laica. Nel 1946 viene riconosciuta dal Ministero della Pubblica Istruzione come una delle prime scuole di differenziazione (nome che si dava allora alle scuole sperimentali) e divenne pubblica.
Accoglieva alunni e insegnanti di ogni orientamento religioso (cattolici, ebrei, valdesi…) e politico. Negli anni la scuola Pestalozzi ha fatto della tolleranza e della comprensione reciproca una delle sue regole.
La Scuola Città Pestalozzi è stata nel tempo luogo di sperimentazione avviando ciò che solo in seguito è diventato consuetudine, come ad esempio l’uso della biblioteca come alternativa al libro di testo unico e i gruppi pomeridiani interclasse di attività opzionali, cosa ben diversa dal tempo prolungato e dal tempo pieno.
La scuola oggi, nonostante i problemi affrontati a causa di tagli e riforme che hanno visto il personale docente e ATA dimezzato, continua ad essere un punto di riferimento per la formazione dei docenti e per l’autoformazione.

A tale scopo si veda la testimonianza video di Marco Bianchini e Susanna Chiellini qui e qui.

I.C. eSpazia di Monterotondo

Quella dei gruppi pomeridiani interclasse mi permette di parlare di un’altra esperienza italiana contemporanea pubblica che è I.C. eSpazia di Monterotondo (Roma), che ho avuto la possibilità di visitare.
All’I.C. eSpazia c’è una riorganizzazione degli orari per cui non c’è una distinzione tra classi a modulo e classi a tempo pieno. Tutti vanno a scuola per tre giorni solo la mattina e due fino alle 16. Chi sceglie di fare 30 ore nei tre pomeriggi in cui resta a scuola fa attività laboratoriale e, come mi ha spiegato la maestra Giuliana, i bambini vengono riuniti in classi miste per età e lavorano a classi aperte.

Scuola Senza Zaino

I.C. eSpazia: foto tratta dalla pagina Facebook della scuola

L’I.C. eSpazia è una “scuola senza zaino”. La Scuola Senza Zaino è un modello di scuola innovativo (ideato da Marco Orsi) basato sull’approccio globale al curriculum e si fonda su:

  1. l’autonomia degli alunni che genera competenze;
  2. il problem-solving che alimenta la costruzione del sapere
  3. l’attenzione ai sensi e al corpo che sviluppa la persona intera;
  4. la diversificazione dell’insegnamento che ospita le intelligenze, le potenzialità, le differenze;
  5. la co-progettazione che rende responsabili docenti e alunni;
  6. la cooperazione tra docenti che alimenta la formazione continua e la comunità di pratiche;
  7. i diversi strumenti didattici che stimolano vari stili e metodi di insegnamento;
  8. l’attenzione agli spazi che rende autonomi gli alunni;
  9. la partecipazione dei genitori che sostiene l’impegno della scuola;
  10. la valutazione autentica che incoraggia i progressi
    (dal sito: http://www.senzazaino.it/)

 

Scuola senza zaino

Scuola Senza zaino eSpazia: foto tratta dalla pagina Facebook della scuola

Senza zaino perché come si può leggere sul sito “Lo zaino non è necessario perché gli ambienti sono ben organizzati”. Nelle classi c’è tutto quello che serve, quaderni matite, penne, pennarelli, colla e tutto è condiviso. “In tutto il mondo” si legge ancora sul sito “i ragazzi usano lo zaino per portare da casa tutto il materiale e riportarlo a casa, cosa in verità molto strana. Nessuno si è chiesto perché un qualsiasi lavoratore trova sul posto di lavoro ciò di cui ha bisogno e uno studente no”. Non ci avevo mai pensato!

Quello che colpisce ancora una volta è l’attenzione al bambino, l’insegnante come facilitatore all’apprendimento e non come un riempitore di vasi e l’autoformazione degli insegnanti.
La maestra Giuliana della scuola eSpazia, con umiltà, mi racconta: “Non siamo una scuola senza difetti, però siamo una scuola in cammino, che ogni giorno cerca di migliorare”.
All’I.C. eSpazia non ci sono banchi ma isole intorno alle quali siedono i bambini che condividono per quel giorno o giorni un progetto comune. Non si lavora sui libri di testo, ma partendo dall’esperienza. Si tende a creare, là dove serva, delle coppie tutoriali (bambino + bambino) e infine le maestre fanno continuamente formazione interna ed esterna.

pianta-di-una-classe-tipo-nelle-scuole-Senza-Zaino

Pianta di una classe tipo nelle scuole Senza Zaino

Ogni classe ha un’“agorà”, che è uno spazio dove la mattina ci si riunisce per decidere cosa fare e dove c’è una piccola biblioteca, spesso rimpinguata dai genitori, che partecipano alla vita della scuola, come mi racconta mamma Lucia.
Appena si entra nell’I.C. eSpazia sulla sinistra campeggiano alcune cornici a giorno con LA CARTA DEI VALORI. C’è scritto: “eSpazia è una scuola orientata alla persona che insegna a interagire, collaborare con gli altri per diventare cittadini socialmente competenti e responsabili, capaci di lavorare insieme per affrontare e risolvere i problemi”. Tutto intorno le firme delle maestre e dei maestri.

L’Asilo nel Bosco

Un esempio di “scuola”, che speriamo divenga virale, è l’Asilo nel Bosco. Ho avuto la fortuna di conoscere L’Asilo nel Bosco Caffarella. Dietro all’Asilo nel Bosco c’è un progetto che vede l’esperienza all’aperto al primo posto.

“La mattina”, mi racconta Francesca Lepori (Educatrice professionale, Pedagogista e Formatrice, responsabile dell’Asilo nel Bosco della Caffarella), decidiamo che cosa fare, alle volte andiamo in passeggiata, a volte dipingiamo, altre curiamo l’orto.
La cosa che i bambini fanno più spesso è arrampicarsi e andare sull’altalena: queste sono le nostre attività psicomotorie. Ai bambini non viene richiesto di raggiungere un obiettivo per far felice l’adulto, al bambino viene proposta un’attività, il bambino raggiunge il SUO obiettivo perché si diverte.”

Asilo nel Bosco Caffarella, foto tratte dalla pagina facebook della scuola

Mi appare subito chiaro, parlando con Francesca, che dietro all’Asilo nel Bosco c’è una grossa preparazione e professionalità che serve a rendere l’adulto una figura propositiva e una guida e non a “insegnare”. I bambini imparano facendo. Cadendo e rialzandosi, costruendo cose con sassi e legni imparano la pazienza e a gestire le frustrazioni. L’adulto è un facilitatore e un propositore.

A contatto con la natura e giocando all’aperto, il bambino recupera un rapporto con se stesso e con la sua selvatichezza, cresce fiducioso e soprattutto felice.

Peraltro, all’Asilo nel Bosco della Caffarella, essendoci bambini che parlano inglese, americano e francese, si imparano le lingue, così senza imposizioni e senza lezioni.
In Italia gli Asili nel Bosco nascono per iniziativa di genitori, educatori, associazioni e sono gestiti privatamente spesso da associazioni di promozione sociale, come nel caso dell’Asilo nel Bosco della Caffarella. Aspettiamo con trepidazione che vengano riconosciute e anche di vedere presto le Scuole Primarie nel Bosco.

Il primo Asilo nel Bosco in Italia è stato L’Asilo nel Bosco di Ostia.

Ora ti saluto bambino, spero che questa piccola guida ti serva per tracciare un cammino dal quale partire.
Due cose, prima di lasciarci.

Ho volutamente trascurato di parlare dell’Homeschooling perché credo nella scuola come istituzione. Credo che la scuola pubblica per tutti sia una conquista del nostro Paese e credo che le storture enormi di questo sistema vadano cambiate dall’interno, da persone competenti e motivate; tuttavia riconosco ad alcuni che hanno fatto questa scelta (come a chi ha fatto la scelta della scuola parentale) il merito di contribuire con spirito critico e, in alcuni casi, collaborativo, alla ricerca che si sta facendo per creare un mondo e una scuola migliore. Ecco perché voglio mettere qui le parole di Raffaella Simone che nel suo blog così scrive: “Alla base dell’Unschooling ci sono considerazioni molto semplici, ma niente affatto scontate. Si tratta di un approccio che sta in piedi solo partendo da un atteggiamento di totale fiducia nei confronti dei bambini”.

Quindi fiducia nel bambino, nella sua capacità di imparare. E ancora: “I bambini sanno di cosa hanno bisogno e come apprenderlo […] L’apprendimento – quello vero – nasce da una motivazione interna: che si tratti di passione, interesse o necessità”

(Vedi, piccolo, mi viene in mente un ex bambino – il mio papà – che imparò a contare e a sommare prima di andare a scuola, perché stava costruendo un teatrino delle marionette).

Quello che balza agli occhi, leggendo queste parole di Raffaella, è che la strada intrapresa da lei è quella tracciata da Lodi, Malaguzzi e tanti altri di cui si è parlato. Bene, allora stiamo tracciando il cammino, in tanti, diversi, discutendo, confrontandoci, ma in marcia!

A te, bambino, il compito di continuare. Quando comincerai a muoverti e a portare in giro idee come il free progress o l’autoeducazione, troverai molti che ti diranno che questo è utopistico perché la scuola è fatica come la vita e bisogna imparare tutto per poi trovare un lavoro. Quello che io ho imparato nella vita e da questi miei studi è che ciò non è assolutamente vero. Fare ciò che più ci piace e ciò per cui siamo portati ci rende felici e quindi capaci.

Buona strada

(1) La visione della tribù dei bambini e della tribù di adulti come realtà distinte è di Alison Lurie, Non ditelo ai grandi, traduzione di Francesco Saba Sardi, Mondadori 1993
Bibliografia
Antonella Verdiani, Ces écoles qui rendent nos enfants heureux, Domain edu possible – Actes sud 2012
Mario Lodi, Cominciare dal bambino, Piccola Biblioteca Einaudi 1977
Edgar Morin, Insegnare a vivere-manifesto per cambiare l’educazione, traduzione di Stefania Lazzari, Raffaello Cortina 2015
AA VV, I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, edizioni Junior 1995
Sonia Colucelli, Un’altra scuola è possibile?, Il Leone Verde 
Da leggere per approfondire, discutere, confrontarsi:
Walter Tocci, La scuola e le formiche, Donzelli 2015
Mila Spicola, La scuola si è rotta, Einaudi 2010
Gloria Germani, A scuola di felicità, Terra Nuova 2014
Giacomo Stella, Tutta un’altra scuola, Giunti 2016 (molto interessanti gli esempi che Stella riporta di esperimenti vincenti nelle scuole italiane)
Peter Gray, Lasciateli giocare, traduzione di Alessandra Montrucchio, Einaudi 2015
Su Homeschooling:
http://www.controscuola.it/faq/
http://associazionemanes.it/progetto-homeschooling-roma/
Su Educazione Libertaria:
http://www.educazionelibertaria.org/
https://associazionemerzbau.wordpress.com/

sull'autore

Carla Colussi

Contastorie ed ex libraia, ha lavorato per anni nel Teatro Ragazzi. Oggi si occupa di storie e di formazione, collaborando con vari Enti e case editrici. Lavora da anni al progetto Officine su Ruote con l’obiettivo di portare in giro la riflessione sulla letteratura per ragazzi e la sua diffusione. Ha un blog: StorieGirandole.it. Con Francesca Tamberlani ha scritto Dentro e fuori le pagine, una guida su gli albi nella scuola dell’infanzia (Bacchilega Junior)

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  • […] l’autonomia degli alunni che genera competenze;il problem-solving che alimenta la costruzione del saperel’attenzione ai sensi e al corpo che sviluppa la persona intera;la diversificazione dell’insegnamento che ospita le intelligenze, le potenzialità, le differenze;la co-progettazione che rende responsabili docenti e alunni;la cooperazione tra docenti che alimenta la formazione continua e la comunità di pratiche;i diversi strumenti didattici che stimolano vari stili e metodi di insegnamento;l’attenzione agli spazi che rende autonomi gli alunni;la partecipazione dei genitori che sostiene l’impegno della scuola;la valutazione autentica che incoraggia i progressi.https://libricalzelunghe.it/2017/03/28/la-scuola-possibile/ […]