Punto e virgola

Ma i due punti come si leggono?

Written by Carla Colussi

Qualche anno fa leggendo a un bambino, allora settenne, fui ripresa perché non facevo le giuste pause. A scuola la maestra gli aveva insegnato che le virgole sono pause brevi e i punti pause più lunghe. Secondo lui io facevo pause troppo brevi quando c’erano le virgole!

Questo episodio mi è tornato in mente mettendomi a scrivere questo articolo e mi ha fatto riflettere che per me la punteggiatura è fondamentale quando leggo “dentro”, ma quando leggo ad alta voce tendo a strutturare la lettura in base a segni miei, che derivano anche dal fatto di conoscere il libro; su questo punto torneremo.

Leggere “dentro” oppure leggere ad alta voce e la punteggiatura. C’è un legame tra le due cose?

Sembra che a porsi per primi il problema siano stati gli antichi filosofi. Aristotele nelle Confutazioni sofistiche osserva che uno stesso discorso può cambiare di significato a seconda se alcuni termini “siano congiunti o separati” e nella Retorica constata che Eraclito è difficile da punteggiare perché “è oscuro con quale termine una parola sia collegata”. Platone si poneva il problema del legame tra punteggiatura e pausa (Protagora).

Anche se i primi segni che indicano pause nel discorso sembrano risalire a molto prima, saranno gli antichi Greci (sembra sia stato Aristofane di Bisanzio, quarto bibliotecario della Biblioteca di Alessandria) a usare dei punti disposti in varie maniere per indicare pause e separazioni e saranno i Romani a introdurre la virgola. Tuttavia fino a tutto il VI secolo d.C., la punteggiatura non era compito dell’autore o del copista, ma piuttosto del lettore di rango sociale elevato che interveniva sul testo utilizzando inchiostri di diverso colore per distinguersi dal copista. Da tenere presente che i latini usavano leggere ad alta voce, perlomeno i trattati di filosofia o di dialettica. La punteggiatura regolava il ritmo e ne facilitava la comprensione, tanto che Seneca in una delle Lettere a Lucilio critica chi leggendo va troppo di corsa o distacca troppo le parole.

In realtà, sottolinea Alberto Manguel in Una storia della lettura, sebbene la punteggiatura esistesse già da secoli, fino a che la lettura era a voce alta, questa era assai aleatoria e legata all’interpretazione del lettore. Agostino come Cicerone dovevano impratichirsi parecchio con un testo prima di essere in grado di leggerlo ad alta voce; impensabile fare una lettura a prima vista. In altre parole la punteggiatura nasce dall’esigenza di dare ritmo e separare le parole soprattutto quando la lettura comincia a essere silenziosa. Fino al Medioevo inoltrato i lettori ad alta voce leggevano e rileggevano i testi, che spesso erano scritti in un’unica continua sequenza, tanto che erano frequenti gli errori d’interpretazione ed erano i lettori stessi che facevano dei segni per dare ritmo e separare le parole. Inoltre, secondo Geymonat, il ruolo della punteggiatura moderna è di articolazione sintattica e logica del testo mentre in età medievale la punteggiatura svolgeva un ruolo di sussidio a testo (pause, intonazioni).

Testo annotato da Carla Colussi.

Quindi a ben guardare gli eventuali segni che i lettori ad alta voce fanno sui loro testi sono molto simili ai segni dei lettori antichi e medievali, per lo meno per la funzione che svolgono.

Beniamino Sidoti (autore, editor, giocologo, lettore ad alta voce), ad esempio, usa alcuni segni (cerchiare le parole, cancellazioni, aste) per dare ritmo alla lettura, toglie le parole ridondanti (“disse”, “aggiunse”, “rispose”) quando non servono. Poi ovviamente ci sono i segni dell’autore e Sidoti ne tiene conto se il ritmo della sua lettura coincide con quello della scrittura. Allora può servire mettere un punto di domanda all’inizio della frase, per non perdere il ritmo (cosa che a volte a me capita, allora cerchio in rosso il punto di domanda, per evidenziarmelo).

Anche se in alcuni tipi di libri, soprattutto per ragazzi, ma non solo, questo non è propriamente vero e ci tornerò, si potrebbe dire che nella scrittura non esistono pause, né di suspense né per altro motivo. Il ritmo è dato dal lettore silenzioso, che accelera perché curioso o rallenta perché indugia su una determinata descrizione e a volte la rilegge.

Nella lettura ad alta voce la pausa è per me un momento magico, forse perché molto teatrale. La pausa crea un momento di complicità tra chi legge e chi ascolta, è un distaccarsi momentaneamente dalla parola scritta per far parlare il corpo e dare pienezza al testo (ne avevo scritto qui).  La maggior parte degli attori non le segna e improvvisa “sentendo il pubblico”, eppure quelle pause fanno parte della partitura.

Alfonso Cuccurullo (attore, formatore Nati Per Leggere) non fa segni su libri o fogli quando legge, la sua mappatura è tutta “dentro” perché, dice, “i segni sui libri mi confondono”.

Alessia Canducci (attrice, regista e lettrice ad alta voce) dice esplicitamente: “Quando leggiamo ad alta voce compiamo un’operazione di traduzione, talvolta possiamo aiutarci nella fase di preparazione integrando la punteggiatura. Io integro con altri segni più visibili, creo una mappatura iconica”. Anche Beniamino Sidoti conferma che “il lavoro di lettura è sempre anche una traduzione”, una mappatura, che nell’esperienza di entrambi, Alessia e Beniamino, serve sia per leggere che per mettere chi ascolta in condizioni di emozionarsi.

Testo annotato da Alessia Canducci.

Leggere ad alta voce è un atto di traduzione in cui la parola scritta si fa corpo e voce, in cui entrano i segni della punteggiatura, sia quelli più chiari e ovvi come il punto e la virgola, sia quelli meno ovvi come le parentesi o i due punti. A volte poi la punteggiatura non c’è, come capita nella poesia, e i segni sono dati dalla posizione della parola nella pagina. Qui la fisicità del lettore ad alta voce è tramite di traduzione, come accade nei libri dove la parte bianca non è semplicemente assenza di parola e quindi non va letta, ma è pienezza e fa parte del libro. La traduzione di questo bianco, pure, sta al Lettore ad alta voce.

Bibliografia:
Alberto Manguel, Una storia della lettura, traduzione di Gianni Guadalupi, Feltrinelli 2009
Bice Mortara Garavelli, Storia della punteggiatura in Europa, Laterza 2008

sull'autore

Carla Colussi

Contastorie ed ex libraia, ha lavorato per anni nel Teatro Ragazzi. Oggi si occupa di storie e di formazione, collaborando con vari Enti e case editrici. Lavora da anni al progetto Officine su Ruote con l’obiettivo di portare in giro la riflessione sulla letteratura per ragazzi e la sua diffusione. Ha un blog: StorieGirandole.it. Con Francesca Tamberlani ha scritto Dentro e fuori le pagine, una guida su gli albi nella scuola dell’infanzia (Bacchilega Junior)

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