Cartografie dell'Immaginario

Da Capitol City a Campagne: per una mappa dell’immaginario distopico contemporaneo

Written by Matteo Biagi

Appare evidente, consultando i cataloghi delle case editrici che pubblicano narrativa per adolescenti e giovani adulti, come il genere predominante negli ultimi anni sia stato quello distopico[1]. Al di là del fatto che in molti casi gli editori hanno inseguito il successo commerciale dei fenomeni Hunger games e Divergent, amplificato dalle trasposizioni cinematografiche, ci  si può comunque interrogare sulle ragioni più profonde che determinano l’apprezzamento di storie come queste da parte dei giovani lettori.

Si è spesso osservato, a partire da Ballard[2], che la narrativa fantascientifica, in tutte le sue varianti, abbia una sorta di connessione diretta con l’inconscio. La narrazione distopica, in particolare, fungerebbe da rappresentazione letteraria delle fobie collettive di una società.

Ripercorrendo infatti la storia del genere distopico attraverso i classici novecenteschi, osserviamo come esso abbia dato voce, nel suo delinearsi diacronico, prima alla paura per i grandi totalitarismi, in seguito a quella per la minaccia nucleare, successivamente ancora, negli anni del boom demografico, a quella per la crescita incontrollata della popolazione e del consumo eccessivo delle risorse.

Nessuna meraviglia quindi, che gli anni zero e dieci del nuovo secolo, caratterizzati sia dall’emergenza ambientale, sia da una diffusa percezione di insicurezza legata alla minaccia del terrorismo internazionale, sia dalla diffusione di una serie di patologie, fisiche e psichiche, che incombono sulle ricche società occidentali a dispetto del progresso tecnologico, abbiano visto una ripresa della narrativa distopica, in cui il lato oscuro delle “umane sorti e progressive” conduce le società a sottomettersi a forme di controllo totalitario (distopia del controllo) o ad assistere a catastrofi belliche o ambientali.

Nello spirito del tema che permea gli interventi di questo numero, mi sono quindi divertito a “mappare” una serie di spazi urbani distopici che rappresentano talvolta un “altrove” solo temporale, nel senso che sono le proiezioni future di città esistenti, in altri casi sono luoghi “altri” sia dal punto di vista temporale che spaziale, perché immaginari.

Per dare un senso a questa mappatura che andasse oltre il puro divertissement, mi sono domandato se l’immagine della città futuristica della contemporanea letteratura YA riprenda convenzionalmente quella dei classici novecenteschi del genere o se al contrario essa si sia arricchita di qualche nuovo topos.

Anticipo sin d’ora l’idea – del tutto provvisoria, visto che si tratta di uno sguardo dall’alto, meritevole senz’altro di ulteriori approfondimenti – che mi sono fatto scrivendo quest’articolo, e cioè l’idea che sostanzialmente, se consideriamo la rappresentazione delle città del futuro, la narrativa contemporanea non si discosta significativamente dai grandi modelli (Orwell, Huxley) che hanno canonizzato questo tipo di plot, e tendono a riprodurli senza brillare per originalità.

Gli studiosi che si sono occupati del genere distopico hanno isolato alcune caratteristiche tipiche delle città del futuro: la verticalità, l’artificialità, il gigantismo, la densità[3]. Città dunque che si sviluppano in verticale, che riducono al minimo la naturalità dei prodotti a vantaggio di una dominante artificialità, che occupano porzioni enormi di territorio, in cui gli abitanti si ammassano. Una caratteristica che invece era già presente nella distopia classica (penso soprattutto a Il mondo nuovo di Aldous Huxley), e che quella contemporanea fa sua in maniera quasi ossessiva, è quella di limitare la conflittualità sociale attraverso la mancata promiscuità tra cittadini di professione, ceto sociale, inclinazioni diverse. Le città raffigurate nelle distopie che appassionano i nostri giovani sono spesso rigidamente divise in zone di appartenenza, per settori produttivi, per ruolo nella gerarchia sociale.

Iniziamo però a viaggiare attraverso le capitali dell’immaginario distopico, a tracciare la nostra mappa delle città raccontate nei romanzi, iniziando dagli Stati Uniti d’America, o almeno dal territorio che un tempo era occupato da questa grande e influente nazione.

panem

Sulle Montagne Rocciose, in posizione strategica per evitare le incursioni, sorge Capitol City, magnificente e variopinta capitale del regno di Panem, in cui si tengono gli Hunger games.

Finalmente il treno comincia a rallentare e all’improvviso una luce splendente invade lo scompartimento. Non riusciamo a evitarlo: io e Peeta corriamo al finestrino per vedere quello che finora abbiamo visto solo in TV, Capitol City, la città che governa Panem. Le telecamere non hanno mentito sulla sua grandiosità. Semmai non hanno colto appieno la magnificenza degli edifici scintillanti in un arcobaleno di tinte che torreggia nell’aria, le auto sfavillanti che si muovono lungo le strade lastricate, le persone dagli abiti stravaganti, con capigliature bizzarre e i volti dipinti che non hanno mai saltato un pasto. Tutti i colori sembrano finti, i rosa troppo carichi, i verdi troppo brillanti, i gialli così squillanti da fare male agli occhi.

A Capitol tutti i quartieri sono pieni di baccelli, trappole nascoste che servono a intrappolare individui pericolosi. Una complicata rete di canali sotterranei attraversa l’intera città. Nell’ultimo libro della serie viene sottolineato quanto sia alto il prezzo della vita nella città, al punto che ogni abitante è costretto a indebitarsi anche solo per pagare l’affitto. La passione dominante dei cittadini di Capitol è la moda, che prevede tendenze che cambiano a ritmo forsennato, tanto da costringere i cittadini a modificare di continuo il loro corpo.

Qui un tour virtuale di Capitol City:

Più ad est, sulle rive di quello che un tempo fu il lago Michigan, troviamo la Chicago post-apocalittica della serie di Divergent, di Veronica Roth. Trattandosi di un’ambientazione post-apocalittica, la Chicago che troviamo nelle pagine della tetralogia non è una scintillante metropoli che glorifica il futuro, ma una città che deve anche convivere con i fantasmi del proprio passato.

La città ha interrotto i legami con l’esterno ed eretto una recinzione intorno ai suoi confini, tenendo come prigionieri tutti gli abitanti, mantenendo la città lontano da quelli che potrebbero costituire una minaccia.

La maggior parte della città è ormai abbandonata o in rovina. Navy Pier, per esempio, è in decadenza, come la maggior parte delle attrazioni turistiche (la ruota panoramica è ancora in piedi ma inutilizzabile).

Gli edifici finiscono appena prima della palude. Una striscia di terra si protende nel pantano e sopra di essa si erge una gigantesca ruota bianca da cui pendono a intervalli regolari decine di cabine per i passeggeri. La ruota panoramica.

«Pensate, la gente una volta saliva su quella cosa. Per divertimento» dice Will, scuotendo la testa.

«Devono essere stati Intrepidi» azzardo io.

«Sì, ma una versione difettosa degli Intrepidi.» Christina ride. «Una ruota panoramica per Intrepidi non avrebbe le cabine. Dovresti semplicemente tenerti appeso per le mani, e buona fortuna.»

Camminiamo lungo il molo. Tutti gli edifici sulla mia sinistra sono vuoti, con le insegne divelte e le finestre chiuse, ma è un tipo ordinato di vuoto. Chiunque abbia lasciato questi luoghi lo ha fatto per libera scelta e senza fretta. Non sono tutte così, le altre parti della città

Quello che una volta era Millennium Park è ora un mucchio di erba sterile. Il lago Michigan è seccato, diventando una sorta di palude. A nord del ponte, gli edifici vicino al centro della città, come ad esempio la Willis Tower, sono in buone condizioni abitabili, mentre quelli in periferia vivono nel caos.

Alcuni punti di riferimento della Chicago contemporanea di rilievo sono presenti in tutta la serie, ma non sempre i personaggi mostrano di conoscerne la storia o i riferimenti. Ad esempio, parti delle più importanti strade di Chicago State Street, Michigan Avenue e Lake Shore Drive rimangono, e quei nomi rimangono in uso. In Divergent, Tris si trova di fronte ad una celebre scultura, la “Cloud Gate”, che all’epoca della vicenda è chiamata “il fagiolo”, ma non sa il suo nome o la storia. In Allegiant, Tris e Tobias si danno appuntamento in Millenium Park, nei pressi di quello che una volta era conosciuto come il Jay Pritzker Pavilion di Frank Gehry. Ci sono anche i riferimenti alla famosa Fontana Buckingham, anche se, stando a quanto afferma Tris, è stata a lungo fuori uso.

Edifici di rilievo nella Chicago contemporanea servono come sede per le diverse fazioni in cui, com’è noto, la popolazione si divide. Per esempio, i Candidi risiedono nella costruzione a cui Tris e Tobias si riferiscono come “la Merciless Mart”; in passato, questo sarebbe stato il Merchandise Mart.

Qui una mappa interattiva della Chicago postapocalittica:

Prima di lasciare gli Stati Uniti d’America, non neghiamoci un piccolo viaggio nella provincia di Oria, nel cui anonimo capoluogo, in Mapletree Borough, vive Cassia Reyes, la protagonista della trilogia Matched, di Ally Condie. Si vive bene lì: una Società attenta e premurosa decide dall’alto tutto ciò che è meglio per i propri cittadini: che cosa mangiare, quale lavoro svolgere, con chi fondare una famiglia. E affinché il panorama culturale non risulti destabilizzante per il quieto ordine sociale, una Commissione speciale ha selezionato i Cento libri da leggere, le Cento poesie, i Cento quadri, eccetera…

In cambio però, l’efficienza della Società, che ha debellato le malattie e – apparentemente – le guerre, è in grado di garantire a tutti una vita serena e felice, fino al giorno dell’ottantesimo compleanno, momento in cui – immancabilmente – si lascia questa terra.

Il setting inquietante della vicenda, un classico plot della distopia socio-politica, è una città che incarna perfettamente la raffigurazione convenzionale della città del futuro: ipermoderna e asettica. Gli abitanti si spostano in aerotreno, che viaggia su binari che illuminano la notte, e che con la sua velocità può coprire le enormi distanze tra una zona e l’altra; ogni abitazione riceve il cibo, preparato da esperti nutrizionisti in base alle esigenze di ognuno, attraverso una fessura collegata alla cucina. L’elettronica domina ogni aspetto della vita degli abitanti: la vicenda, analogamente a quanto avviene in The Giver e Divergent, prende avvio quando la protagonista deve partecipare ad un importante momento iniziatico, in questo caso il banchetto di abbinamento con il futuro marito.

society

E la vecchia Europa? Per quanto gli scrittori europei siano tradizionalmente meno avvezzi dei colleghi americani a questo tipo di narrazione e di scenario, non sono mancati, nell’ultimo decennio, esempi di distopie e di città futuribili. Non avendo affatto la pretesa di esaurire con completezza l’argomento, scelgo di dedicare la tappa europea di questo Grand Tour distopico alla Francia, paese che amo particolarmente, anche dal punto di vista della letteratura per ragazzi.

Non si può non iniziare con un tuffo in una Parigi distopica. A offrirci la possibilità di visitarla è Anne-Laure Bondoux, nel suo libro Linus Hoppe, edito da Giunti.

La Parigi di Linus Hoppe è una città ormai irriconoscibile: la società è organizzata e divisa in tre grandi zone. La Sfera 1 rappresenta il luogo dei privilegiati, che si dedicano a professioni qualificate in un quartiere residenziale, dove non esistono criminalità e inquinamento. La Sfera 2 è costituita da rioni popolari, sporchi e inquinati, con enormi casermoni divisi in piccoli appartamenti, abitati da famiglie di lavoratori dell’industria.  La Sfera 3, infine, è il luogo dove si trovano gli emarginati, coloro che hanno subito un fallimento scolastico, i disadattati e i ribelli.

Nella raffigurazione di questa Parigi futura Anne-Laure Bondoux mostra molta attenzione al tema ecologista: gli abitanti della sfera 1 vivono in un mondo senza automobili e Linus Hoppe si meraviglia quando, nel portare a termine la sua missione ribelle, ne vede ancora circolare nelle altre zone.

Un piccolo esempio di fantascienza ecologista è quello rappresentato da un romanzo breve di Timothée De Fombelle, Celeste, ma planète, tradotto in italiano con il titolo Tu sei il mio mondo. La città in cui si svolge non ha nome, potrebbe essere la Parigi futura ma non lo sappiamo con esattezza; quello che sappiamo è che è una metropoli verticale, in cui le torri svettano altissime per evitare quanto più possibile il contatto con la terra inquinata.

Tutto è ospitato nelle torri: le abitazioni, i parcheggi, i grandi magazzini, a cui si accede tramite passerelle. All’esterno è possibile andare, ma solo riparati all’interno delle navicelle. In questa città tutto è tecnologico, tutto è artificiale, il regno della plastica. La madre del protagonista, una donna in carriera, è sempre assente, ma non fa mancare al figlio la sua premura, che si manifesta con rifornimenti abbondanti di cibo e di videogiochi, acquistati online e consegnati a scadenze fisse.

Celeste, la protagonista femminile del racconto, di cui il protagonista si innamora, è una ragazzina pallida ma bellissima, che porta sul suo corpo i segni della malattia del pianeta, sotto forma di macchie cutanee che riproducono i confini delle aree più inquinate della Terra.

È quasi giunto il momento di concludere il nostro viaggio, e ci concediamo un’ultima tappa nella provincia francese, nei pressi di Montbrison. Chi lo vede (non a tutti è concesso), prenda il bivio per Campagne, sulla strada D8, e questo è quello che gli accadrà:

Avevo camminato senza fermarmi dall’incrocio. Il modesto cartello “Campagne 3,5” annunciava un gruppetto di case, una sorta di paesino, ma più procedevo più dovevo arrendermi all’evidenza: si trattava di una città, e anche grande. La stradina asfaltata si è allargata e trasformata in un manto stradale di vetro, nero e liscio. Ai lati sono spuntate case tutte simili, scure e ineleganti. Mi sono voltata a guardare e ho visto che non rimaneva nulla della campagna che avevo percorso. Il paesaggio era stato come inghiottito e sostituito. Man mano le case hanno lasciato il posto a palazzi di vetro e metallo. Un autobus silenzioso mi ha superata. Galleggiava a circa un metro da terra. Non aveva autista. […] Al primo incrocio ho visto questa indicazione sulla destra: “Hotel Leggenda 500 metri”. Stava calando la notte. Mi sono diretta da quella parte.

Chi parla è Anne Collodi (un cognome che sembra un omaggio), protagonista del romanzo Terrestre di Jean-Claude Mourlevat, che come si è intuito unisce le suggestioni della fantascienza a quelle del fantasy, con il passaggio tra due mondi paralleli. Via via che la storia procede, la città mostra tutti i suoi lati indesiderabili: è fredda, geometrica, non prevede l’utilizzo del denaro, poiché tutto è fruibile gratuitamente, il cibo è insipido, l’acqua scorre più rapidamente, non vi sono né rumori né crimini, né malattie e, soprattutto, la gente non respira. Il respiro, simbolo stesso della vita e della vitalità, è l’elemento che identifica immediatamente i terrestri, ritenuti sporchi e portatori di germi.

Se nonostante il mio avvertimento, viandanti, vorrete ancora andare a cercare questa città, ammaliati da queste premesse, sappiate che i suoi abitanti, più o meno a cinquant’anni, ad un tratto si spengono, muoiono di noia. Il luogo dove i corpi ormai spenti si recano in attesa di essere cremati si chiama Estrellas, e si trova in un remoto deserto.

Ai più, come ad Anne Collodi, che pure ha un motivo molto forte per trattenersi in questo universo così glaciale e sinistro, verrà voglia di fuggirne e di rientrare nel qui e ora del nostro mondo. Il mio consiglio è quello di affrettarsi, perché dicono che il passaggio stia per chiudersi…

[1] Chiarisco sin da ora che il termine è utilizzato in senso lato, con sconfinamenti nella fantascienza e nel post-apocalittico. Il filo conduttore è però l’idea di futuro, pertanto sono escluse le ucronie.
[2] J.G.Ballard, Fine millennio: istruzioni per l’uso, Milano, Baldini e Castoldi, 1996.
[3] Concetti ben sintetizzati dall’architetto Daniele Porretta in “Immagini della città del futuro nella letteratura distopica della prima metà del ‘900, Barcelona 2014.

BIBLIOGRAFIA:
Suzanne Collins, Hunger Games, Mondadori 2008
Veronica Roth, Divergent, De Agostini, 2011
Ally Condie, Matched, Fazi, 2010
Anne-Laure Bondoux, Linus Hoppe. Contro il destino, Giunti 2008
Timothée De Fombelle, Tu sei il mio mondo, San Paolo 2010
Jean Claude Mourlevat, Terrestre, Rizzoli, 2011

sull'autore

Matteo Biagi

Insegnante di lettere alla scuola secondaria, vive a Firenze. È l’ideatore e il coordinatore di /Qualcunoconcuicorrere.org. Dal 2016 fa parte del comitato scientifico di Libernauta.