Non sono un appassionato di horror: ma leggo storie che mi fanno paura. A volte lo faccio perché non ne posso fare a meno, altre volte lo faccio per lavoro, ogni tanto mi catturano. La paura, in letteratura, prima di essere un genere, è una componente della lettura, un’emozione strettamente correlata al coinvolgimento che esercitano le storie su di noi.
La paura è anche una forma di perdita di controllo: qualcosa che leggendo cerchiamo e rimandiamo.
Cosa mi fa paura? Come mi fa paura?
L’elenco delle cose che mi fanno paura, nelle storie:
- I posti infestati
- Le persone che loro malgrado fanno qualcosa che non dovrebbero, che non vorrebbero
- Le cose che non si possono cambiare
- Qualcosa che per magia fa diventare cattive le cose o le persone
- Rumori strani nel silenzio
- I vermi
- Qualcuno alle mie spalle all’improvviso.
Mi studio mentre leggo, mi guardo mentre leggo: la paura al cinema è mettersi le mani davanti agli occhi per non guardare; la paura mentre si legge è continuare a leggere sperando che quella sensazione passi velocemente.
Qual è la differenza? Guardando un film proviamo paura e ci lasciamo portare: mentre leggiamo costruiamo la paura dentro di noi immaginando e portando alla luce memorie sopite, cose che pensavamo di avere dimenticato o non ci ricordavamo proprio – come in una seduta psicanalitica, la paura attinge direttamente dentro l’inconscio più profondo e lo fa però parlando lo stesso linguaggio simbolico degli incubi.
Non sono un appassionato di horror, dicevo: quindi non cerco una storia perché mi faccia paura. Però capitano: e quando capitano, capita anche che mi catturino. Quando si parla di emozioni, bisogna andare sul concreto. Concretamente, allora, l’ultima storia che mi ha spaventato è questa.
È un’inchiesta giornalistica, che sta uscendo a puntate in forma di documentario radiofonico su Repubblica.it: racconta un caso di satanismo che si è concluso con molti arresti e sedici minori sottratti alle famiglie, in provincia di Modena, venti anni fa. L’argomento mi disturba, per molti motivi: perché mi disturba la violenza che accompagna la rappresentazione dei riti satanici, e mi disturba il pensiero di quei sedici bambini che non hanno più visto le proprie famiglie. Allora, consapevolmente, faccio la scelta di non ascoltare l’audio ma di leggere le trascrizioni.
Quando leggiamo il mondo è più vero
Ora che sto scrivendo ho modo di ripensarci e trovo una delle caratteristiche forti, importanti, delle storie di paura: per quanto siano inventate, per le sensazioni che provocano sono sempre più vere del vero. Una vicenda reale come quella raccontata in Veleno mi fa quindi paura: tanto da non voler vedere le immagini, da non voler sentire le voci e i suoni veri ma attutirli vedendoli solo raccontati, disarmarli e spuntarli, smussarli.
Leggere storie di paura mette in evidenza, come ha già notato Carla Colussi, le scelte individuali che compiamo nell’atto di lettura: le scelte di velocità e verità, quanto vogliamo immergerci completamente nella storia o viceversa cercare di mantenere una distanza, quanto vogliamo esitare o correre, quanto vogliamo immaginare o meno. Tutto questo avviene dentro di noi – noi che contemporaneamente immaginiamo e resistiamo all’immaginazione.
Però non si tratta davvero di scelte: prima di tutto perché non sempre sono consapevoli (sì, ho scelto di non ascoltare l’audio; ma non ho potuto fare a meno di continuare a leggere), poi perché la lettura ha anche una componente olistica e non selettiva.
Quando leggo qualcosa che mi colpisce, so che me lo ricorderò – ricorderò di esserci stato dentro, ricorderò contemporaneamente dove lo leggevo e cosa leggevo, ricorderò cose che emergono all’improvviso in situazioni simili. Ciò che leggo può appartenere contemporaneamente all’inconscio, al preconscio e alla coscienza. La lettura, e più in generale la ricezione delle storie, si compie in una dimensione di latenza che prevede tempi lunghi: quindi quando leggo, contemporaneamente raccolgo idee e pianto semi di qualcos’altro.
Leggere significa cercare una possibilità di salvezza
Per lavoro ho letto storie in cui la paura ha una dimensione più o meno importante, fino a veri racconti horror come per esempio The Enemy di Charlie Higson, storia di un’epidemia zombie che lascia vivi i soli ragazzi. Mi ha disturbato, e nella lettura cercavo sempre degli appigli, degli spiragli di luce – così facendo mi facevo portare dal contrasto della scrittura, dal male assoluto della malattia e dal ruolo salvifico dell’amicizia o di alcuni personaggi in particolare. Leggere paura acuisce le sensazioni e ne rende più vivide altre per contrasto: la risata facile dei Piccoli brividi, il senso oscuro del destino di Lovecraft, la diffidenza di Poe, l’assurdo di Kafka.
Leggere storie di paura mette a nudo, mi rendo conto, il modo stesso in cui funziona la lettura: che è molto meno lineare e semplice di come ce lo rappresentiamo di solito.
Torno a Veleno, la storia paurosa ma vera cui accennavo prima, letta on line e sul sito di un giornale e non su un libro. Lì le storie hanno contagiato un paese intero, e le storie di satanismo sono particolarmente insidiose: ci sono storie di paura che diventano più vere del vero – in questo caso fanno bastare i racconti di sedici bambini per spingere la magistratura all’azione. Esistono delle storie che incanalano perfettamente le nostre paure, le paure esistenti, e rendono credibile i complotti più oscuri: che si tratti del satanismo, dei vaccini o delle scie chimiche, certe storie incarnano i nostri tempi; non dobbiamo, non possiamo limitarci a dire che sono false – se lo faremo riemergeranno altrove, e lo faranno perché sono vere. La paura ha una sua verità urgente e sotterranea, inconscia: descrive cose indescrivibili e inaccettabili attraverso fantasmi antichi; se pensiamo che davvero qualcuno possa ottenere favori da Satana stiamo cercando una spiegazione irrazionale alle nostre paure, una spiegazione irrazionale che non metta in discussione tutto ciò in cui crediamo. Se pensiamo che davvero gli aerei possano essere usati per irrorare delle sostanze pericolose, è perché pensiamo che qualcuno controlli questo mondo nostro malgrado, ma non abbiamo altro modo di dircelo. Le leggende urbane sono un serbatoio fenomenale di queste rappresentazioni dell’inconscio.
Leggere per non capire
Leggere paura è quindi assegnare alle storie un compito antico, quello di incanalare ciò che non possiamo capire, ciò che non ci possiamo spiegare, in un simbolo: dar corpo alla nostra inquietudine facendola diventare un personaggio o un’azione. Leggere paura allora non fa male: fa bene, anzi, se riusciamo ad avere abbastanza da leggere, se riusciamo a vivere questa dimensione simbolica senza restarne soffocati, se siamo noi a maneggiare i simboli e non viceversa (e anche questa potrebbe essere una bella trama per una storia di paura).
Leggere paura, infine, nella mia esperienza, in questo diario pubblico di lettura che ho aperto e sto già chiudendo, leggere paura è delicato: perché la lettura ha contemporaneamente bisogno di spazi intimi e di spazi di condivisione; ha bisogno di una condivisione intima, e questo oggi ce lo neghiamo in continuazione.
Scricchiolii nella notte, una ciotola piena di vermi, l’articolo sta finendo. La lettura parla anche delle cose cui abbiamo rinunciato o che forse non potremmo essere: è un posto festoso, ma è anche un posto infestato. È il luogo di tutte le cose che non possiamo sconfiggere, ma con cui dobbiamo convivere. Leggere non per capire: ma per non capire, semplicemente per dar corpo e gettare i semi di una futura comprensione.
Infine: leggere insieme
Leggere significa affidarsi alla parola: di ciò che leggo ho urgenza di parlare con qualcuno per me importante. La parola è, per chi legge, qualcosa che trasforma: e mentre questo accade, piano piano, ho bisogno di condividerlo – non per fare una dichiarazione, ma per stringersi la mano.
Le immagini sono tutte riferite a scatole, fotogrammi e minifig di LEGO©.