Caro amico, cara amica. Caro fratello, cara spasimante, caro sconosciuto.
Tra me e te nessun ostacolo fatto di imbarazzi, rumori, intonazioni, nessuna interruzione. Tra me e te solo il flusso libero dei miei pensieri, il mio incedere della penna sulla carta, la punteggiatura, le frasi di getto, qualche parola cancellata da una linea. In me il desiderio di farti conoscere ciò che sto vivendo.
Scelgo la carta, vorrei che profumasse, che ti restituisse i miei sentimenti non solo sotto forma di inchiostro. Chissà come leggerai questa frase, se capirai la giusta intonazione che volevo attribuirle. Chissà se il fiore che ho colto e messo nella busta resisterà fino all’apertura. Spero che la lettera arrivi, che nessuno la perda, che il francobollo non si stacchi, che l’indirizzo sia quello giusto.
Spero, caro amico, che nessuno intercetti la nostra lettera. Le nostre parole sono solo nostre, per te e per me, e nessuno deve rubarci questo nostro momento di beatitudine e intimità.
Quando arriva la tua lettera, quando la buca della posta è piena della tua busta azzurra, scritta con la tua calligrafia da bambino, io sono felice. La prendo tra le mani, la tasto per indovinare se all’interno hai nascosto una foto, un disegno, oppure un piccolissimo oggetto. Quanti fogli avrai scritto? Quanto durerà il piacere di leggerti questa volta? Non sarai stato avaro, vero?
La tua lettera rimarrà lì, sulla mia scrivania, finché non avrò un momento adatto alla sua lettura.
E quando sarò sicura che nessuno mi interromperà, quando sentirò il giro del cucchiaino nella tazza da caffè in cucina, la televisione accendersi a basso volume e i rumori di piatti del dopo pranzo, allora sarò sicura di avere di fronte a me il tempo giusto per ascoltarti.
Mi metterò nell’angolo più lontano dalla porta, sul letto, e aprirò la tua lettera cercando di non strappare nessun lembo, ma solo sollevare la punta della busta, staccando la colla. Srotolerò i fogli piegati, li stirerò tra le mani, cercando di non leggere nessuna parola fino a quando non sarò pronta, per non rovinare il piacere. Allora osserverò i tuoi disegni, le cornicette disegnate sui bordi, gli adesivi accuratamente scelti per colorare la tua scrittura blu. La data, in alto a sinistra, e poi si comincia.
“Cara Valeria…”

“Lettere dello scoiattolo alla formica”, Toon Tellegen, illustrazione di Alex Scheffler
I romanzi epistolari rappresentano una modalità narrativa con una sua definita connotazione: siamo di fronte ad un racconto in prima persona, narrato dai due o più interlocutori e dai loro punti di vista (talvolta anche uno solo). Entriamo nel cuore di una vicenda grazie al fluire intimo e libero della voce dei protagonisti. Come in un diario, la narrazione è autobiografica, ma a differenza del diario, si scrive per qualcuno. È quel qualcuno a fare la differenza.
Il diario è un custode silenzioso, inerte, affidabile proprio per la sua staticità, in cui siamo narratori a senso unico della nostra vita. Non può tradirci né sentenziare.
Nello scambio epistolare invece ci si incontra tra le pagine fatte di pensieri, esperienze e speranze a doppia voce. Nella lettera ci esponiamo, ci apriamo a qualcuno che può accoglierci ma anche giudicarci. Il tempo ha un ritmo tutto suo: ci si rivolge a un interlocutore futuro, scriviamo ora per arrivare più tardi.
Il nostro flusso di pensieri non può permettersi di essere così libero, dobbiamo limitare i sottintesi, tracciare una narrazione lineare di noi stessi e comprensibile per l’altro. La corrispondenza diventa un esercizio autobiografico e di autoanalisi in cui è necessaria la coerenza logica e semantica.
Nella lettera c’è un elemento centrale non sempre presente in altre forme di comunicazione: abbiamo cura dell’altro. Quando leggiamo i pensieri del nostro corrispondente, siamo solo per lui, in un’attenzione ben più strutturata dell’ascolto, perché dobbiamo inventarci ogni sensazione: il colore della voce, il posarsi dello sguardo, i tentennamenti e le pause, le movenze. Il nostro altro ora parla davanti a noi, vivo e vicino come se fosse lì, più che se fosse lì.
Lo stesso accade quando siamo noi a scrivere: scegliamo le parole nel tempo che ci serve per arrivare all’altro, farci capire e per farci conoscere. Il nostro desiderio è che nessuna parola venga sprecata, nessun passaggio saltato, che arrivino al nostro interlocutore tutte le pieghe dei nostri pensieri.

“Lettere dello scoiattolo alla formica”, Toon Tellegen, illustrazione di Alex Scheffler
Nei romanzi per ragazzi tutti questi elementi si mescolano insieme a storie di amicizia, amori che nascono, legami fraterni. I carteggi mettono in fila le vicende di bambini e ragazzi che si formano, affrontano rivoluzioni familiari o storiche, la quotidianità o eventi straordinari, contando sempre nel conforto del loro interlocutore.
La ricerca di romanzi epistolari per ragazzi è stata per me una gioia vera. Ho ritrovato nelle loro pagine esattamente quella trepida attesa, l’aspettativa dell’altro, la curiosità di scoprirsi, conoscersi e farsi conoscere. È riemerso il mistero che provavo io da bambina, quando chiudevo la busta pronta per essere spedita o quando avevo tra le mani quella preziosa appena arrivata.
Lettere per non dimenticarsi
Si scrivono gli amici lontani, che non vogliono perdere traccia della propria amicizia. Si scrivono Paul e Susi, prima compagni di banco e migliori amici, ora allontanati a causa del trasferimento in campagna per il lavoro del papà di Paul. La vita è diversa da Vienna: ci sono tanti animali, si può fare amicizia con un contadino e con le sue mucche, le pareti di casa sono tutte di legno. I compagni della nuova classe vanno conosciuti, bisogna cercare di mandare giù qualche boccone per convivere in pace. Ma anche Susi non se la passa meglio senza il suo Paul: la nuova compagna di banco è irritante, in classe e nei pomeriggi sente tanta malinconia, le manca il suo amico.
Ci infiliamo in una corrispondenza fitta e intima, quella tra due bambini di sette o otto anni che si vogliono bene e che non vogliono cedere alla separazione dovuta da cause più grandi di loro. Nonostante la vita continui e il tempo passi, i due hanno bisogno del calore dell’altro, e la corrispondenza restituisce la consolazione di fronte alle ingiustizie della vita. C’è la speranza che i nuovi compagni diventino amici, che le nuove condizioni diventino familiari. Una sofferenza, un piccolo lutto, quello di vedere un amico allontanarsi, forse per sempre, si addolcisce nell’attesa della posta e nella speranza di rincontrarsi presto.

“Cara Susi, caro Paul”, Christine Nöstlinger, Piemme collana Il battello a vapore, 1992
Lettere per conoscersi
Quando ero bambina, tra gli anni Ottanta e Novanta, c’era la possibilità di pubblicare il proprio indirizzo su riviste e giornaletti e lanciare così l’appello di ricerca di nuovi amici. Ricordo che su Topolino c’era una rubrica a doppia pagina in cui i bambini si presentavano in breve con alcune informazioni sull’età e i propri gusti e invitavano gli altri a scrivere.

Il numero 1751 di Topolino, dove a pagina 97 compare la rubrica “Ciao! Ciao!”
Ed è proprio negli anni Novanta che vengono pubblicati numerosi romanzi epistolari per bambini: il già citato Cara Susi, caro Paul di Christine Nöstlinger, nel 1992, Coccodrilli a colazione di Emanuela Nava nel 1994, Andrea & Andrea, di Domenica Luciani e Roberto Luciani nel 1998.
Eugenia e Chariza si scrivono, una dall’Italia, l’altro dall’Africa, grazie a una iniziativa simile (trovata però ai Grandi Magazzini). Lei ha dieci anni, lui quattordici, lei va a scuola e ama la geografia, lui è una guardia forestale e conosce tutti gli animali della sua terra, lo Zimbabwe. Si sognano, giocano tra loro, si raccontano storie. Si scambiano foto e ritratti, si promettono che si incontreranno e si sposeranno. Il loro carteggio, seppur del 1994, rimanda in modo avveniristico a uno scambio di sms o mail, spesso brevi e concise, come racconta la stessa autrice in un’intervista del 2016.
Andrea invece, adolescente fiorentino, sceglie Andrea, fanciulla italo tedesca di Colonia, per diventare penfriend e spedirsi lettere per parlare della propria vita di ragazzi. Si raccontano delle loro famiglie, delle avventure quotidiane, dei desideri di libertà e autonomia, della speranza, anche loro, di incontrarsi.
La casa editrice Edizioni El tra il 2004 e il 2006 ha pubblico una intera collana, Lettere e diari, dedicata a romanzi epistolari e diari segreti. Autori come Angela Nanetti con Cara Rachel… Caro Denis… (2004) o Luciano Comida col suo protagonista Michele Crismani, raccontano le vicende di giovani adolescenti e delle loro vicende e avventure. Negli anni Duemila si affacciano storie tracciate da scambi di mail, come nel caso di Il giro del mondo in 28 e-mail di Stefano Bordiglioni (2005) e Trentuno e-mail per un piccolo principe, di Silvia Roncaglia e Sebastiano Ruiz Mignone (2004).
Leggere questi romanzi per i bambini e ragazzi di oggi deve avere il sapore di qualcosa di antico, desueto. Scambiarsi lettere scritte a mano con qualcuno di cui sappiamo poco o niente, di cui non abbiamo visto ancora profili Instagram o Facebook, attendere la risposta anche per mesi, su carta, potrebbe generare sorpresa, stupore, destabilizzazione. Forse questo è uno dei grandi gap tra le nuove generazioni e i quelle precedenti: oggi quasi tutti hanno un profilo social che li presenta e rappresenta agli altri, che li rende velocemente raggiungibili e apparentemente vicini. Nessuna attesa, nessun mistero, l’altro è lì, a portata di mano.
Lettere per innamorarsi
Cosa c’è di più intrigante del messaggio di uno spasimante segreto e misterioso?

Da “Ciao, tu. Indovinami. Scoprimi. Sappimi.”, Beatrice Masini, Roberto Piumini
La nuova classe di Michele ha parecchie ragazze, ma solo una è l’autrice del bigliettino. Gli fa recapitare le sue missive nella cartella, lui nasconde le sue risposte dietro la lavagna. È bello, eccitante potersi scoprire piano piano, un poco al giorno. Ci si prende gusto a indovinarsi, a svelarsi, a immaginarsi. Si è ogni giorno a pochi banchi di distanza, due compagni di classe quasi sconosciuti. Eppure si fa parte di un gioco in cui ci si conosce sempre meglio, ci si racconta come non si farebbe uno di fronte all’altro. Sarà così bello anche quando ci si scoprirà? O la poesia si spegnerà una volta incontrati e svelati?
Lettere per non rimanere soli
Le vacanze non sono le stesse senza Christophe. Possiamo capirlo dalle lettere scritte da Mathieu, suo fratello minore: il periodo estivo che la famiglia sta passando al mare è un disastro dopo l’altro. C’è una spiaggia affollata, una marea che spinge i bagnanti sul fragile muro di cinta dell’abitazione, un papà che vuole improvvisarsi skipper, un cane tutt’altro che da guardia. Tutto sarebbe più facile se ci fosse Christophe, il fratello maggiore, sempre saggio, attento agli altri, ottimo velista. Ma la sua presenza è bandita, come il suo nome. A Mathieu non resta che farsi portavoce degli altri due fratelli e scrivergli i loro guai. Tutti si sentono soli e stanchi senza di lui, ma la mamma e il papà non possono accettare una verità. Eppure basterebbe tanto poco perché nessuno si sentisse solo, nel silenzio delle proprie ragioni. Ed ecco a cosa servono le lettere dal mare di Mathieu: a rompere il silenzio, a urlare forte che c’è bisogno di non rimanere soli, che ognuno in famiglia e nel mondo ha bisogno dell’altro.

“Lettere dal mare”, Chris Donner
Lettere per non avere paura
In un futuro asettico e votato al controllo, dove la scienza non ha etica, gli adulti non scommettono più, non rischiano sul futuro: i loro figli non hanno il conforto di una relazione con i loro genitori per superare gli ostacoli della vita e le difficoltà del crescere. Ci si affida ad una “medicina”, capace di cancellare i ricordi spiacevoli, riprogrammare i circuiti neuronali come fossero la ram di un computer e riavviare il sistema da dove si era impallato. Ma anche di fronte ad adulti che non lottano ma resettano, ci sono ragazzi alla disperata ricerca di uno spiraglio di luce. Lo cercano nella relazione con un altro pari, ripongono tutte le lor speranze nella fiducia che investono in una possibile amicizia. È così che si incontrano Una e Dan, da un gesto di fiducia: quello di lasciare un messaggio in un libro, nella biblioteca del misterioso istituto dove stanno trascorrendo una strana degenza. È Una che non vuole arrendersi ai vestiti bianchi e tutti uguali, alla musica ipnotica dalla sveglia all’ora di dormire, agli adulti dai gesti cortesi e controllati. Una cerca un gesto, un contatto, un segno di umanità che vinca la paura, i fantasmi del passato, le voci interne. Quel cercare un altro, e cercarlo in un modo così ingenuo e disperato allo stesso tempo, tra le pagine di un libro.

“Cuori di carta”, Elisa Puricelli Guerra
Ed è per non avere paura che i due fratelli gemelli Nadya e Victor si promettono di scriversi, per tutta la durata della loro separazione. Sono stati imbarcati su due treni diversi, diverse le destinazioni, per allontanarli dall’avanzata nemica. Hanno solo 12 anni e la Germania di Hitler ha dichiarato guerra all’Unione Sovietica. Come non soccombere all’ignoto, alla paura di non farcela, agli adulti in guerra? Come mantenere la speranza di ritrovarsi? I loro quaderni rappresentano un dialogo, una voce che permette di non perdersi e non aver paura, come un suono conosciuto e consolatorio nel buio ignoto.
Allora ha aperto la sua sacca da viaggio, ha tirato fuori tre quaderni e un mucchio di lapis rossi e mi ha detto: «Scrivici tutto quello che ti succede, per me. Lo giuri?».
«Figurati» ho risposto. «Mica staremo lontani così a lungo. Poche ore al massimo.»
Nadya aveva gli occhi liquidi e il viso pallidissimo.
«Viktor, niente bugie. Non adesso. Invece, giura.»
Allora ho giurato.
Ho preso i quaderni e i lapis.

“La sfolgorante luce di due stelle rosse. Il caso dei quaderni di Viktor e Nadya”, Davide Morosinotto
Nell’epoca della messaggeria istantanea sembra così lontana la pratica della corrispondenza, i cui ingredienti sono agli antipodi della comunicazione attuale. C’è la carta, la penna, la calligrafia; ci sono le attese, la riflessione, la speranza. Nessuna spunta che si colora di blu, nessun messaggio di ricezione né di lettura.
C’è la brutta e la bella copia; c’è la parte migliore di noi e quella più emotiva, l’irruenta e la riflessiva. C’è il racconto. Nella lettera condensiamo il racconto dei nostri desideri, delle nostre esperienze e di chi siamo: filtriamo quello che vogliamo comunicare. Come in un film in cui vengono ignorate le parti routinarie della vita del protagonista, noi ci raccontiamo nei tratti salienti, in quelle più interessanti per il nostro interlocutore e quelle che vorremmo ci rappresentassero meglio. Ci facciamo conoscere grazie alle nostre parole, alla nostra autobiografia.
E infine c’è l’incontro. Ci si scopre o ritrova tra il groviglio di frasi scritte a mano, ci si svela all’altro mettendosi a nudo come solo le parole sanno fare. Ci si incontra tra le lettere e le pagine di un libro.