Grazie a Susanna, Vittoria, Bernardo, Suzy, David Crockett e a tutti quelli che raccontano storie di mare.
V.
Mi sembra di non essere stato altro che un bambino che gioca sulla spiaggia, felice nel trovare ogni tanto un ciottolo più levigato, una conchiglia più bella delle altre, mentre il vasto oceano della verità si stende di fronte a me, inesplorato.
Isaac Newton

In spiaggia, Susanna Mattiangeli, Vessela Nikolova, Topipittori
La sabbia
Sulla spiaggia ho passato quasi tutte le mie vacanze di bambina.
Cercavamo l’ombra tra le cabine, la zona riparata dove fermarci e costruire le torte di sabbia. Impastavamo uova di sabbia con farina e zucchero di sabbia. Poi aggiungevamo il sale (giusto un pizzico tra le dita, la rena più chiara che trovavamo) perché il sale va aggiunto sempre, anche nei dolci. Si raccoglieva qualche bastoncino e si soffiavano le candeline di un compleanno improvvisato.
Si passava da un mondo all’altro in un battito di ali di gabbiano.

Piccolo Elefante va in Cina, Sesyle Joslin, Leonard Weisgard, Orecchio Acerbo
C’erano gli scarafaggi del mare, che la nostra vicina di cabina chiamava “bacarozzi”, e noi osservavamo ammirati la corazza lucente e seguivamo l’incedere sicuro delle zampette e le loro ormettine, così graziose. Ma bastava un attimo di distrazione e ne perdevamo le tracce.
Le nostre orme invece cambiavano a seconda del sole: se forte e caldo erano quelle delle ciabatte, impronte piatte e regolari, a righe; la mattina e il pomeriggio tardo le orme dei piedi, con tallone, alluce e tutto il resto. Dalle cabine alla riva, la sabbia era bollente e per trovare un po’ di refrigerio avevamo sperimentato la tecnica di mettere il piede nelle impronte già scavate dagli adulti appena passati. Non ricordo se effettivamente la sabbia lì fosse più fresca, ma saltare da un piede all’altro era molto divertente.
Sulla riva la sabbia si compatta e diventa più adatta ad alcuni giochi. Può diventare lava di un vulcano, si può modellare a piacimento e ci si può scrivere sopra. Basta un dito, o un bastoncino; spiani con una mano una porzione di sabbia bagnata ed ecco il tuo foglio, la tua tavoletta su cui incidere come sull’argilla. Puoi segnare un paesaggio di casette e alberi, la faccia di qualcuno, oppure dichiarazioni d’amore, desideri, invocazioni, come la scritta su un muro instabile, che si lava alla prima pioggia, o alla prima onda.

Sabbia magica, Crockett Johnson, Orecchio Acerbo
Telline
L’estate al mare era fatta di sapori e tepori.
C’era il cocomero portato dallo zio, che si teneva in acqua, direttamente nel mare, sotterrato sotto la sabbia, e si manteneva fresco; la bottiglia di plastica piena di acqua dolce lasciata sulla tettoia al sole, per poterci lavare con una doccia calda, a dispetto di quella gelida offerta dallo stabilimento. E c’erano le telline della domenica, quando papà veniva con noi e si fermava ore e ore in ammollo. Il suo gioco consisteva nell’immergere la mano sotto la sabbia, a pochi centimetri, e pescare le piccole telline sepolte. C’è chi portava il rastrello e ne raccoglieva in poco tempo grandi quantità, ma non c’è nulla di speciale nel passare con un aratro nel mare. Più o meno è come pescare con una canna da pesca o con una rete: si può raccogliere più pesce con la rete, ma si perde tutta la ricerca e la contemplazione del pescatore.

Praia mar, Bernardo Carvalho, Planeta Tangerina
Dopo pranzo
Fare il bagno è un succedersi di contrasti: l’acqua all’inizio è ghiacciata. Bagni la pancia, le braccia e ti butti, e il mare diventa della temperatura giusta, hai freddo solo dalle spalle in su, la parte non immersa. Quando devi uscire dall’acqua subisci il trauma dell’andata, uguale e contrario nella direzione. Il corpo ha freddo, la pelle è intirizzita e i peli alti: il sollievo dell’asciugamano è dolce come un abbraccio e quando lo stendi al sole e ti sdrai, puoi sentire la sabbia calda sotto che dà tepore. Affondi i piedi per non scottarti, chiudi gli occhi e ti lasci scaldare.
Il bagno della mattina è diverso da quello del pomeriggio. Di solito la mattina l’acqua è una tavola fredda, non c’è nessuno in mare e sembra quasi che tu debba rompere la superficie per entrare, tanto è compatta e ferma. L’acqua è fredda, ma per poco; il bagno è veloce, non prevede grandi nuotate, perché si è ancora un po’ stanchi dal sonno e dal viaggio. Tutto è silenzioso attorno, e viene voglia di andare a stendersi, magari coprirsi con un asciugamano come se fosse ancora la coperta di casa.
A metà mattina c’è il bagno più movimentato. I bambini in acqua sono tantissimi: canotti, pedalò, palle insieme a schiamazzi, urla, gare di nuoto, si fa amicizia, ci si scambia i giochi. Poco dopo la riva ci sono adulti fermi in acqua a gruppi di due o tre a chiacchierare; qualche adulto sportivo va a largo a nuotare.

Praia mar, Bernardo Carvalho, Planeta Tangerina

Praia mar, Bernardo Carvalho, Planeta Tangerina
Il pomeriggio invece la spiaggia si è svuotata. Il mare si agita, l’acqua diventa più scura, ma anche più calda, non si vede più il fondo perché le onde muovono la sabbia. Questo è il momento perfetto per giocare con le onde, cavalcarle con la schiena, lasciarsi cullare. Si è più stanchi e più lenti, tutto è più ovattato e più intimo. Le amicizie della spiaggia che durano fino al pomeriggio sono quelle che piacciono di più, si alterna il gioco alla conoscenza, alle chiacchiere sugli amici della città e sulla scuola, ci si dà appuntamento per il giorno dopo.
La raccolta
Le prime furono le conchiglie.

L’Onda, Suzy Lee, Corraini
Erano più grandi di quelle che si trovano adesso. Le mie preferite erano quelle marroncine, spesse e ondulate, poi venivano quelle bianche con l’interno madreperlaceo. Il gioco era trovarne due identiche e provare a far combaciare le valve, nella speranza di ritrovare le due parti e ricongiungerle, come un paleontologo che individua le ossa di uno stesso ominide.
Poi vennero le conchiglie con il foro: al centro di alcune c’era un piccolo e misterioso buchino, perfetto per infilarci fili di cotone e farne collane bellissime.
E poi ci furono i sassolini. Piatti, per farli volare sul pelo dell’acqua, oppure argentati, striati, segnati dall’acqua e dal tempo, per collezionarli o disegnare sulla sabbia.

Coucou les cailloux, Vittoria Facchini, Gallimard Jeunesse
Ma c’erano anche alghe, carcasse di granchietti o di ricci di mare, penne di uccelli, palline di lanugini scure di cui non ho mai capito la provenienza. Con tutto questo tesoro di regali del mare passavo ore a costruire, assemblare, disegnare sulla sabbia. Ogni tanto si trovavano anche resti di attività umana, come tappi di lattina brillanti, pezzi di vetro levigati o bastoncini di plastica colorati. Ma erano talmente pochi e a loro modo belli che non venivano considerati sporcizia, ma elementi utili al gioco.

Um dia na praia, Bernardo Carvalho, Planeta Tangerina
“Quasi svengo”
Dopo il bagno, un bagno lungo in cui hai nuotato, fatto le capriole avanti e indietro (le mie preferite), molte verticali e parecchi minuti di morto a galla, c’è il tipico richiamo mammesco che significa che il tempo è finito, bisogna uscire dall’acqua. Le dita sono lesse come patate, la pelle rivestita di sale e i capelli gocciolanti. Qualcuno ti aspetta con un telo grande, ti avvolge e ti stringe; insieme si va verso la postazione del proprio ombrellone e a volte l’adulto ti cede addirittura il suo lettino per qualche minuto. Tu ti stendi in orizzontale e chiudi gli occhi: il sole è meno forte nel pomeriggio, ma ti asciugherà la pelle, e se il costume rimarrà bagnato c’è sempre quello di ricambio nella borsa.
Ed ecco che, mentre i raggi arrivano sulla faccia e stringi forte le palpebre per quel misto di fastidio e piacere che è il sole negli occhi, mentre i muscoli si rilassano e l’acqua evapora, i rumori diventano un sottofondo: improvvisamente non senti più le voci distinte ma solo un miscuglio di suoni, un ronzio: qualcuno che parla in lontananza, la risacca delle onde, lo stridere del gabbiano, tutto si sovrappone. La testa parte, tutto balla, sembra che invece di essere sul tuo asciugamano, saldo a terra, tu sia su una zattera in alto mare, cullato da un moto che ti porta su e giù, destra e sinistra. Non è il corpo che dà la sensazione di muoversi, ma è la testa che gira, come se solo lei improvvisamente si sentisse ancora in mare, a fare capriole o tuffi e a girare nell’acqua senza tregua.
Ti senti stordito, perché il mare in fondo stordisce. Tante persone, tutti si muovono, cento e cento facce mai viste, pochi vestiti in dosso che non aiutano a riconoscere nessuno. Ogni tanto qualche bambino si perde in spiaggia, perché l’orizzonte è tutto uguale e quando ti rigiri per guardare l’ombrellone può succedere di sentirsi confusi, di non trovare il proprio.
Il mare confonde, perché è vasto, infinito e caotico come un mercato e povero di riferimenti.

In spiaggia, Susanna Mattiangeli, Vessela Nikolova, Topipittori
Ultimo sole
Sul Tirreno si vede il tramonto sul mare. Ho imparato da bambina la differenza tra le coste ad ovest e a est il giorno in cui cercai il sole scomparire nell’acqua a Rimini.
È davvero ora di andare quando il sole comincia a scendere verso il mare. Lui va a dormire, noi ci dirigiamo verso casa. Il compito è semplice a parole ma difficile nei fatti. A nessuno va di tornare.
Ci si riveste controvoglia, cercando di portare meno sabbia possibile con noi. È tutto uno sventolare gli asciugamani, battere i piedi, strofinarsi ovunque si sia annidato un granello.
Le azioni sono lente e lunghe come le ombre degli ombrelloni, ormai chiusi. Aperto c’è solo il nostro, e la sua ombra è lontana, si è spostata tanto dall’ultima volta in cui si è cercato refrigerio dal sole. I giochi sono raccolti, lo zaino è chiuso, i vestiti infilati. Salutiamo il sole e guardiamo verso il mare, verso le poche persone che passeggiano sulla riva, silhouette scure e indistinte, che vanno lente come la risacca dell’onda della sera.

La zattera, Olivier de Solminihac, Stephane Poulin, Orecchio Acerbo