Adattamento

Ma come porti i capelli bella bionda?

Written by Marina Petruzio

“L’arte d’istruire consiste in piú parti […] la quarta, che si abitui presto alle regole civili”(Erasmo da Rotterdam, De civilitate morum puerilium, Friburgo 1530)

L’adattamento alle regole sociali passa dai capelli, nell’infanzia, ma non solo.

E far riferimento ai capelli biondi non è certo un caso: come in altri ambiti, anche la letteratura per l’infanzia privilegia il candore di una luminosa testa bionda rispetto al dispettoso e deviante rosso, monello per antonomasia, o al plebeo nero del bambino povero di tutti i tempi, a cui hanno sottratto anche lo sguardo velato dei Romantici. Se nella palette colori di una collezione di abbigliamento per bambine e bambini mancano, per motivi legati alla tendenza del momento, tutti gli azzurri, il pensiero va alle povere bambine bionde che non avranno nulla da abbinare al chiaro della loro testa e dei loro occhi – stereotipo che riguarda più compratori e a cascata genitori, nonni e soprattutto le esigentissime zie, che non le bambine e i bambini, fortunatamente.

Collezione Mimisol autunno/inverno 2018

Cento colpi di spazzola prima di dormire promettevano alle bambine dei capelli da favola e una certa salute del cuoio capelluto, chiome principesche da poter acconciare il giorno dopo con preziosi nastri in tono con il colore dell’iride o del vestito che rispondeva maggiormente alle esigenze sociali della vita degli adulti, alle quali meglio e prima si adattavano e meglio era.

Annodati con fiocchi che trattenevano ciocche che non dovevano assolutamente ricadere sugli occhi, onde evitare irreversibili maledizioni tipo perdita della vista o un orrendo quanto inaccettabile strabismo. Oppure trattenuti da piccoli cerchietti di velluto, dapprima nastri annodati sotto le chiome all’altezza della nuca. Il nastrino di velluto o il cerchietto trattenevano i capelli dietro alle orecchie, che “la capigliatura non dovrebbe coprire la fronte”, consentendo di mettere in evidenza i visi regolari delle fanciulle di buone speranze, incarnati rosei segno di cura, buona salute e buon cibo, e la perfezione delle orecchie. Nonché a far ricadere all’indietro cascate di ciocche ondulate, più o meno naturalmente, così come capelli sottili perfettamente a posto.

“Dunque, il più grande orgoglio della signora Meiser sono i capelli biondi di Traut. Ogni sera vengono spazzolati dieci minuti buoni e arrotolati per scolpirne i boccoli, e alla fine di giorno la testa di Traut sembra un gigantesco piumino cattura polvere” (Una bambina da non frequentare, Irmgard Keun, L’orma editore)

Selvaggia, Emily Hughes, Settenove edizioni, 2013

La pratica dei cento colpi di spazzola, supplizio al quale si son dovute adattare le bambine sino in tempi recenti, di fatto serviva per meglio raccogliere i capelli e passare una buona notte, ma soprattutto era un ottimo antidoto a un risveglio spettinato, arruffato, annodato e quindi sostanzialmente ribelle. Era pratica messa in atto ai danni dei capelli delle bambine e della loro cute da nonne, bisnonne, tate così come dalle mamme, contro un aspetto da selvaggia socialmente inammissibile.

Ma cosa sottendeva questa comune pratica, di fatto? Di fatto la pratica serviva, ovviamente alle bambine, a prepararle e ad insegnare loro velatamente che nessuno sposo mai avrebbe dovuto trovarle fuori posto a qualsiasi ora del giorno e della notte. Pratiche il cui apprendimento passava inevitabilmente dall’educazione famigliare sin dalla primissima infanzia.

Essere ben pettinati distingueva il bambino o la bambina angelicata da quello o quella selvaggia e garantiva il rispetto di quelle regole non scritte che appartenevano, allora come oggi, alla sfera dell’adattamento alle regole sociali di cui parlava Erasmo da Rotterdam già nella prima metà del ‘500.

Certo riuscire a infilare il pettine nei capelli di Selvaggia (la bambina dell’omonimo albo di Emily Hughes) dopo la sua cattura e il tentativo di civilizzarla, passando da un bagno profumato a un vestitino a modo e una bella pettinata, non deve essere stato affatto facile per la energica assistente – o moglie – del famoso psichiatra: districare, disnodare, lisciare, dividere e finalmente intrecciare, guarda caso è l’unica delle pratiche di civilizzazione illustrata. Rendendo quindi molto ben riconoscibile il codice esteriore grazie al quale una persona viene accolta in una società, sia essa la sua o una straniera.

Pluk e il Grangrattacielo, Annie M.G. Schmidt & Fiep Westendorp, LupoGuido, Milano 2018

“Non sta bene, anzi è segno di inciviltà, avere i capelli arruffati: bisogna, al contrario, che siano tenuti in ordine, certo non con la cura con la quale li tengono le donne, ma privi di parassiti, in genere rappresentati dai pidocchi. Grattarsi di continuò la testa quando si è in compagnia di altre persone è segno di scarsa educazione […]. La capigliatura non dovrebbe coprire la fronte e neppure ondeggiare sulle spalle. Scuotere di continuò il capo, per fare ondeggiare i capelli come vezzo, significa in realtà imitare il comportamento dei cavalli imbizzarriti. È davvero di cattivo gusto pettinare i capelli partendo dalla fronte verso la sommità del capo, in modo che vengano radunati verso sinistra: più elegante è dividerli in due parti, con una scriminatura a mano.”

Così Erasmo da Rotterdam si rivolgeva al dodicenne principe Enrico di Borgogna, “giovane di nobile lignaggio e di straordinarie aspettative”, ma idealmente a tutti quei ragazzi e bambini a cui il principe poteva fungere da esempio di educazione, buone maniere e sapere.

 

Pippi Calzelunghe, Astrid Lindgren, Ingrid Vang Nyman, Salani Editore 2003

“Andrai a tavola ben pettinato…”, continua Ersamo. Sui capelli ben pettinati e in ordine la dice lunga l’etichetta che risponde alla buona pratica del tè del pomeriggio, a cui tanta letteratura per l’infanzia ha fatto riferimento (indimenticabile è il tè offerto dalla mamma di Annika e Tommy in Pippi Calzelunghe), e a cui tanti bambini si sono dovuti adattare lasciando giochi, amici e abiti da comodi a più comodi.

Comportarsi bene durante le occasioni d’invito è decenza universalmente riconosciuta perfino da una famiglia così atipica come quella dei Fracasso, in Pluk e il Grangrattacielo di Annie M.G. Schmidt. Un papà e sei Fracassini, “dei bambini allegri e trasandati con degli enormi cesti di capelli”, che avrebbero sicuramente impensierito il pedagogo Erasmo. Tanto che la signora Stralindo ebbe a dire che no, non li conosceva, ma aveva “sentito dire che sono terribilmente trasandati. La loro casa è disordinata e, inoltre, hanno i capelli lunghi. Così dicono”. Una puntualizzazione niente affatto casuale anche per la divertentissima storia che ha per protagonista Pluk e il suo carroattrezzi rosso.

E così stavano le cose quel pomeriggio alla fatidica ora del tè, quando la signora Stralindo – spesso armata di bomboletta al DDT – si recò da loro per fare conoscenza prima di permettere, o meno, alla figlia Agatina di passare qualche settimana nella loro casa del mare per una sana convalescenza. A quell’ora la casa della strampalata famiglia Fracasso offriva una stanza perfettamente linda, sgombra e ordinata e sei ragazzi i cui cesti di capelli erano stati in qualche modo domati. La varietà non riguardava più istrici o cavie del Perù ma frangette ben sistemate sulla fronte, ciuffi ben girati a destra o a sinistra – che qualche secolo avrà pur modificato e accettato mode diverse! – chiome spazzolate all’indietro, fronti libere e basette ben ordinate e una certa varietà di sfumature dal bruno rossiccio al castano scuro. Certo tutto sembrava pronto a liberarsi in un’esplosione straordinaria ma diciamo che tutto resse senza disordini e nessuno ebbe da dire nulla, neppure di quel tè bevuto con il mignolo per aria. Ma su questo Erasmo non disse la sua e non ricordo veramente se lo fece Monsignor Della Casa.

Christopher Robin Milne

Chiaro è che tutta questa attenzione degli adulti sulle chiome dei bambini rafforza una certa sostanziale antipatia per tutto quel tirare, scaldare, arrotolare, dividere, legare stretto, asciugare energicamente e, in tempi più recenti, phonare e mettere in piega. Tanto che in menti dispettose come quelle dell’infanzia, che per sopravvivere e farsi vedere e sentire deve agire pratiche sonore, quella di far rabbrividire, inorridire e sconvolgere gli adulti tagliandosi le chiome, senza discriminazione di colore, da soli, o meglio sforbiciarsele, è di gran lunga la pratica più punitiva e di conseguenza quella preferita.

E infatti il bambino che più di tutti aveva bisogno di recuperare la sua infanzia la mise in atto, non senza timori ma con decisione, come affronto per affermare sé stesso e non più quello che il suo caschetto biondo rappresentava. Quel bambino aveva nome Christopher Robin Milne, figlio del A. A. Milne creatore di Winnie The Pooh, che non più tanto piccolo provò a sbarazzarsi del sosia disegnato da Ernest Shepard e da tutto quello che le storie rubate alla sua infanzia avevano rappresentato per lui, come raccontato nel suo memoir The Enchanted Places. E fu così che alle soglie del college, con un netto colpo di forbice, rovinò quel costosissimo taglio che una mamma così attenta al riscontro sociale aveva voluto per lui e che avrebbe continuato a volere. Capelli corti e una divisa scolastica a volte possono fare miracoli.

I love my hair, Natasha Anastasia Tarpley, E.B. Lewis, Little, Brown and Company Hachette Group

Continuiamo a curiosiamo in altre società. L’estate scorsa uscirono su alcune testate americane degli articoli sui capelli delle persone afro-americane. La cosa mi incuriosì ancor di più quando trovai molteplici albi illustrati per bambini di tutte le età sui capelli neri dei neri d’America e un lungo articolo che ne illustrava una carrellata, dal titolo Why Do Kid’s Books About Black Hair Draw So Much Attention – and Controversy? dell’autrice Natasha Anastasia Tarpley.

E mi ricordai di quando, nella nostra piccola comunità, poco tempo addietro, arrivò Leonard (Leonard è un nome d’invenzione mentre il fatto riportato è vero). Dopo anni di orfanotrofio Leo aveva trovato una famiglia e una comunità pronta ad accoglierlo e felice di occuparsi di lui.

Arrivato in Italia e a casa, proprio perché la doccia è uno stile di vita e ne lava un altro, a Leo venne fatta una bella, lunga e profumata doccia e data un’energica lavata di capo. Il risultato della pratica fu che la sua testa rimase umida per giorni e giorni, la sua cute entrò in sofferenza e il suo ingresso in società non andò come doveva, ma in compenso questo aprì a tutti noi un nuovo mondo: quello dei parrucchieri afro. L’accettazione di chiome così nere e vaporose, paragonate a zucchero filato ma anche alla morbidezza del cotone assorbente dei pannolini – i nappy dei bambini – passa in America dalla cura, dal rendere noto che sebbene proprio non si possano mettere sotto l’acqua corrente, i loro capelli necessitano di un rito di cura che non ha nulla a che vedere con il nostro velocissimo “uno shampoo e via”. Una pratica di cura che pone in stretta relazione le persone coinvolte. Che dà vita a narrazioni che si tramandano da madre in figlio e figlia e ne origina di fantasiose e nuove. Quella che mi colpì di più voleva che in quella capigliatura così folta da immaginare essere un giardino, una fitta foresta abitassero parenti e amici sui quali ogni volta veniva inventava una storiella diversa.

Happy to be Nappy, Bell Hooks, Chris Raschka, Disney 1999

Gli albi illustrati mostrano con dovizia di illustrazioni, passo dopo passo le varie fasi del rito: pettinare e disnodare con un pettine a denti larghi, dividere in quattro parti la chioma, arrotolare i capelli, fermarli con delle pinze e così di seguito, sino alla scelta della pettinatura, della forma da dare. Alcune pagine alla fine possono essere dedicate a una pedissequa descrizione della pratica e degli accessori necessari e dare qualche ricetta per farsi da sé infusi di erbe e balsami al burro di cacao.

My hair is a garden,Cozbi A. Cabrera, AlbertWhitman & Co., 2018

Significativo è il fatto che Michelle Obama, in tutto il tempo da first lady, non apparve mai, né lei né le figlie, con i suoi capelli naturali: il suo taglio fu sempre impeccabile, molto occidentale, alla moda e perfettamente stirato. Ría Tabacco Mar avvocato presso A.C.L.U.’s Lesbian, Gay, Bisexual, Trasgender e H.I.V Project, in un articolo apparso su The New York Times International Edition del 31 agosto scorso, dall’esplicito titolo Why Are Black Peopole Still Punished for Their Hair?, rileva ancora come la discriminazione sociale delle persone di colore passi anche dai capelli, dalle acconciature, dai dreadlocks, treccine spesso associate a ciocche di extension in tono o colorate, portate sia da uomini che da donne e dai bambini. I pubblici uffici le discriminano perché disordinate ma anche perché, per motivi igienici, capelli finti e posticci di ogni genere non vengono visti di buon occhio e alcune cause sono state intentate proprio per la pesante discriminazione nel confermare o meno posti di lavoro in base all’acconciatura.

Emi’s Curly, Coily, Cotton Candy Hair, Tina Olajide, Courtney Bernard

Oggi la tendenza tra le donne Afro-Americane è quella di indossare i propri capelli naturali, forse non facili da curare ma sicuramente più sani rispetto a piastre ad alte temperature e prodotti chimici per cambiarne il colore o togliere le parti crespe. Oggi, dopo 20 anni, viene anche ristampato in altra veste Happy to be Nappy di Bell Hooks con le divertenti illustrazioni di Chris Raschka, albo che nel 1999 alla sua prima uscita, sollevò molta curiosità e polemiche proprio per questo paragonare la morbidezza e la forma delle chiome nere alla morbidezza del nappy, del pannolino per i piccoli. Conferma di una affermazione sociale avvenuta, una presa di responsabilità nei confronti dell’inquinamento ambientale o la scelta meno peggio per essere socialmente in linea e non subire discriminazioni?

C’è un piccolo progresso, sottolinea Ría Tabacco Mar: l’esercito lo scorso anno, e il corpo dei Marines già nel 2015, ha aperto a trecce e capigliature rasta. Dopotutto, conclude l’avvocatessa, “se anche chi serve la patria svolge il suo lavoro indossando locs sicuramente anche il resto della popolazione può farlo”. Il che la dice lunga su come vadano socialmente le cose e su quali priorità si basano.

Ma questo vuole essere, e deve rimanere, un articolo di costume, che parte dalla letteratura per l’infanzia per disnodare, districare, dividere in parti e meglio guardare il mondo che ci circonda.

 

Bibliografia
Le buone maniere dei ragazzi, Erasmo da Rotterdam, La vita felice, Piccola biblioteca della Felicità, Milano 2017
Una bambina da non frequentare, Irmgard Keun, L’orma editore, Roma 2018
Pippi Calzelunghe, Astrid Lindgren, Ingrid Vang Nyman, Salani Editore, Milano 2013
Selvaggia, Emily Hughes, Settenove edizioni
Pluk e il Grangrattacielo, Annie M.G. Schmidt, Fliep Westendorp, LupoGuido editore, Milano 2018
The Enchanted Places, Christopher Milne, Bello by Pan Mac Millan, Londra 2014
I love my hair!, Natasha Anastasia Tarpley, E.B. Lewis, LB Kids, NY 1998
Happy to be Nappy, Bell Hooks, Chris Raschka, Disney Books, NY 2017
Emi’s Curly, Coily, Cotton Candy Hair, Tina Olajide, Courtney Bernard, 2014
My hair is a Garden, Cozbi A. Cabrera, Albert Whitman & Company, Chicago, 2018
Why Are Black Peopole Still Punished for Their Hair?, Ría Tabacco Mar, The New Tork Times International Edition, 31 Agosto 2018
Why Do Kids’ Books About Black Hair Draw So Much Attention – And Controversy?, The New York Times, Book Review, 14 Giugno 2018

sull'autore

Marina Petruzio

Studiosa di letteratura per l’infanzia e vestiti carini, scrive di "Moda, tutta un’altra storia", "Arte & Infanzia" e "Letteratura & illustrazione" sul sito marinapetruzio.it. Co fondatrice di Effimere: atelier in movimento che promuove l’illustrazione e la sua messa in mostra in luoghi desueti della città.