Con il nome pop-up oggi indichiamo tutti i libri che contengono elementi che “vengono fuori dalla pagina”, che letteralmente, stando al nome, “saltano su”; sono elementi, come si conviene a questo numero di Libri Calzelunghe, quasi esclusivamente cartacei: fogli di carta e cartoncino stampati e ritagliati, piegati e incollati in modo che il movimento di apertura della pagina o di una finestrella o linguetta possa sollevare un intero scenario di architetture o personaggi.
Quello del pop-up è un settore piccolo ma molto dinamico, con professionisti dedicati, un fiorente collezionismo, e capolavori di diversa natura: si trovano pop-up semplici e opere di grandissima complessità, capolavori astratti e trasposizioni di classici, libri di poesia e di divulgazione. È un mondo di meraviglia e di sorprese, e di osservazioni che durano a lungo.
Per cogliere questa meraviglia è utile ripercorrere la storia del pop-up. L’uso di tagli e pieghe per dare tridimensionalità alla carta è antico quasi quanto la carta stessa, e viaggia per il mondo adattandosi alle diverse culture: dai kirigami e origami giapponesi alle statue di ombre balinesi, dalle bambole e soldatini di carta alle silhouette, la bidimensionale carta mostra sempre dentro di sé il seme della tridimensionalità. Da una parte, quindi, come per tante cose all’interno del mondo della carta, possiamo rintracciare antenati nobili fin nella notte dei tempi. Dall’altra, invece, è utile ragionarne storicamente, cercando nella continuità i momenti di rottura, e nel presente le ereditarietà della storia. Cercare quindi un’origine, un punto di inizio rintracciabile e preciso per il fenomeno e più ancora per il prodotto pop-up: in questo caso non ci interessa l’invenzione ma la messa in vendita, la commercializzazione, il momento in cui nasce il prodotto editoriale.
I prodromi della comparsa dei pop-up si trovano intorno al 1850, con una tipologia particolare di libri, che gli inglesi chiamano “tunnel book”.
I tunnel book prevedono alcune quinte e fondali disposti in successione, a creare un’illusione di profondità. Sono un derivato di un’attrazione di piazza di qualche decennio prima: la “lanterna magica”.
Le “lanterne magiche” erano delle attrazioni che combinavano diversi principi ottici, dalla camera oscura alle rifrazioni, e che sono state le incubatrici del cinema delle origini. Il nome lanterna magica è italiano e rende bene ciò che il pubblico cercava negli intrattenimenti di piazza: un misto di magia e tecnica, una “meraviglia” disponibile senza fatica, di cui poi conservare il ricordo e parlare a lungo.
Alcune di queste lanterne magiche presentano delle prospettive, dei luoghi disegnati che apparivano all’osservatore come costruiti dentro una scatola, esattamente come nei tunnel book: per essere fruiti avevano bisogno di spazio protetto e di un punto di vista privilegiato, per non svelare il trucco utilizzato.
Dentro i tunnel book e in alcune lanterne magiche si potevano ammirare luoghi fisici, novità cittadine (gallerie, da cui il nome, edifici pubblici, sale teatrali…) o attrazioni turistiche: tutte, in qualche modo, affollate di pubblico e con vertiginose prospettive.
La posizione di un punto di vista privilegiato per la lanterna magica prevedeva che, in un contesto pubblico come una fiera o un mercato, lo spettatore si mettesse a guardare attraverso uno o due buchi per gli occhi: in inglese la lanterna prende infatti anche il nome di “peep show”, spettacoli per guardoni (“to peep” è “sbirciare”).
Quando le “lanterne magiche” si impongono, avviene quindi una commercializzazione di teatrini di carta che sfruttano in modo domestico principi analoghi: i tunnel book (ma ci sono anche altri nomi commerciali che evitano di citare il “libro”: si veda ad esempio la scatola del Model peepshow qui pubblicata). Scene e personaggi possono essere collegati insieme da pezzi di carta o al contrario slegati e da collocare sulla scena.
Tra i produttori di questa tipologia di libri troviamo anche Ernest Nister, artigiano tedesco che da qui procederà per dar vita a libri e cartoline che possono essere assimilati ai pop-up moderni. Una bella selezione dei lavori di Nister è disponibile sul sito della mostra Pop-up Show.
Nister opera tra Londra e Norimberga: Londra è essenziale per assicurarsi un mercato più ampio, e i lavori di Nister guardano attentamente al gusto vittoriano, con la sua passione per i ritagli e la manualità, per i giochi di luce e di ombre; l’altra sede, Norimberga, è più curiosa: è una città che si sta imponendo sulla scena internazionale come capitale del gioco, e vanta moltissime botteghe e fabbricanti di giocattoli.
Il passaggio che opera Nister è piccolo ma fondamentale: trasforma il tunnel book, oggetto rivolto al consumo collettivo (nel grande pubblico del mercato o in quello domestico della casa), in un oggetto di contemplazione e consumo individuale, cioè in un libro.
Perché questo era comprensibile e interessante per il pubblico dell’epoca?
Da una parte, come abbiamo visto, i clienti colgono il richiamo dei peep show e delle lanterne magiche; dall’altra, materiali e illustrazioni richiamano il vasto mondo dei giochi di carta che si sono diffusi in Europa a partire dalla fine del Settecento.
I giochi dell’epoca offrono, per esempio, semplici bambole corredate di guardaroba di carta; o soldatini e scenari per ambientare le battaglie. Quando Nister pianta le basi della sua attività editoriale può contare sia sulle competenze artigianali necessarie alla realizzazione dei suoi libri, sia su un mercato “maturo”, pronto a riconoscere la novità in continuità con qualcosa che già c’è, e che è pienamente moderno.
Fin da subito, è questo che sto suggerendo, i pop-up si impongono come un oggetto “bello”, di grande fascino, erede di quei piccoli teatri di meraviglie che gli imbonitori portavano in giro nelle piazze; ma si presentano anche come una sorta di teatro domestico in cui far prendere vita a ciò che è descritto in un libro. È parte di un più generale passaggio epocale nelle modalità di lettura, necessario alla diffusione di una lettura di massa: il pop-up incarna perfettamente questa nuova modalità di lettura, che parte da un testo scritto per riviverlo, condividerlo e goderlo insieme.
Le illustrazioni sono quindi degli scenari, più o meno animati, più o meno raffinati, in cui il lettore è invitato a sedersi come spettatore di un teatro della mente che fa esplodere ciò che il libro suggerisce. Nei pop-up la componente visuale prende letteralmente spazio e accoglie la storia.
Questa funzione “immersiva” dell’immagine è per noi lettori di oggi quasi scontata: ma allora proponeva un’attitudine nei confronti della lettura del tutto particolare. Il lettore di pop-up è un lettore qualsiasi, che viene invitato a mettere in scena ciò che il libro racconta: attività decisamente peculiare rispetto alle abitudini di lettura, per fare un esempio, seicentesche… I libri di cavalleria che Don Chisciotte leggeva vengono bruciati proprio per evitare che l’hidalgo della Mancia possa correre il rischio di mettere in scena ciò che accade.
Quello che i pop-up suggeriscono, da allora, ancora oggi, è un atteggiamento di lettura particolare: occidentale e moderno, anche attraverso la modalità di condivisione di un immaginario visivo, condivisione partecipata e interattiva, basata su qualcosa di concreto che fa da ponte verso l’immateriale immaginario. Conservano così intatta la dimensione originaria della meraviglia, diventando una metafora incarnata della possibilità di un libro di contenere mondi più ampi della nostra stessa immaginazione. Pronti a esplodere.
In ogni grande momento di passaggio e di trasformazione il libro è cambiato anzitutto a partire dalla sua dimensione materiale, con trasformazioni visibili che interpretano cambiamenti sociali più profondi: in questo caso, il pop-up è il luogo di un immaginario che può essere agito anche individualmente, suggerendo e attualizzando un’idea precisa della lettura. Anche oggi siamo di fronte a una trasformazione epocale dell’attività di lettura: che però non può essere affidata unicamente alla tecnologia. Ciò che la lettura chiede non è velocità o capienza: è anzitutto condivisione, partecipazione, azione, spazio per fare esplodere l’immaginazione. So che, come è sempre avvenuto, nascerà qualcosa che ci permetta di fare tutte queste cose con un unico oggetto, e con tutte le storie: aspetto questa invenzione, e cerco ancora di capire cosa facciamo con i libri, e cosa facciamo con un pop-up. Senza smettere di meravigliarsi.