In un numero dedicato alla carta, corre l’obbligo a noi calzelunghi di condurre i lettori che non ne avessero ancora avuta l’occasione all’incontro con un libro straordinario, in senso etimologico, e che deve all’utilizzo magistrale della carta, come vedremo, la sua originalità. Un’opera che, tra le innumerevoli chiavi di lettura, può essere considerata una dichiarazione d’amore ai libri di carta, al rapporto fisico che si instaura tra essi e i loro lettori.
Stiamo parlando di S. La nave di Teseo, uscito negli Stati Uniti e portato in Italia nel 2013 da Rizzoli Lizard. Joshua Rothman, sul “New Yorker”, lo ha definito il libro “più bello a vedersi” che gli sia mai capitato.
Il volume nasce dalla collaborazione tra Doug Dorst, autore americano responsabile della scrittura dei testi e J.J Abrams, produttore televisivo e cinematografico a cui si devono, tra l’altro la serie televisiva Lost e il rilancio di Star Trek, che invece ha avuto l’idea generale del progetto.
Quest’opera è considerabile, sia materialmente che concettualmente, un libro nel libro: materialmente, perché il titolo S e i nomi dei due autori compaiono esclusivamente sull’involucro esterno del cofanetto, mentre all’interno troviamo un volume fittizio intitolato La nave di Teseo, pubblicato nel 1949 dal misterioso autore V. M. Straka e appartenente alla biblioteca di Laguna Verde, come apprendiamo da un timbro.
In più, il testo è fittamente annotato e all’interno del romanzo troviamo una serie di “inserti”. Riepilogando, il lettore che voglia affrontare quest’opera si trova davanti quattro differenti livelli testuali:
Il romanzo: diciannovesima opera dell’autore, la cui bibliografia è riportata in ordine apparentemente cronologico all’inizio, che racconta le vicende di un uomo, S., che si trova a riemergere dalla riva completamente privo di memoria, con un impermeabile bagnato addosso e in tasca un solo foglietto sgualcito con una sigla, S. Il titolo allude a un paradosso citato da Plutarco, che rinvia al tema dell’identità: può la nave di Teseo, conservata negli anni ma solamente attraverso la sostituzione dei diversi componenti via via che si sono deteriorati, considerarsi la stessa nave? O la sostituzione dei pazzi ne ha alterato l’identità?
Le annotazioni a margine: Il libro è fittamente annotato da due persone, che scambiandosi continuamente il volume, danno vita a una sorta di dialogo che fa scaturire un altro livello narrativo. Le persone coinvolte sono (lo scopriamo progressivamente) Eric, ex ricercatore universitario, e Jen, studentessa laureanda. I due non si conoscono direttamente, ma iniziano a discutere della misteriosa identità di Straka, l’autore del romanzo e dei significati nascosti del testo. Senza voler rivelare troppo, è opportuno sapere che i due, a causa della loro ricerca, si troveranno in pericolo. A complicare ulteriormente la situazione, interviene il fatto che le annotazioni sono scritte in colori diversi: solo a lettura avanzata si capisce che a ciascuna coppia di colori utilizzata nelle annotazioni (blu/nero, arancio/verde, rosso/viola, nero/nero) corrisponde un diverso momento in cui sono state scritte, e quindi, potenzialmente, un differente momento di lettura.
Gli inserti: nel libro sono presenti 22 inserti, di vario genere, inseriti in punti ovviamente non casuali: lettere, cartoline, ritagli di giornale, ognuno dei quali produce senso solo se opportunamente collocato, anche nell’esperienza di lettura.
La prefazione e le note del traduttore, F.X. Caldeira, che aggiungono informazioni sull’autore e sul rapporto tra testo e traduzione.
Con quattro livelli testuali così stratificati, la prima domanda che il lettore si pone è: come leggere quest’opera?
Non essendovi indicazioni d’autore, direi che concettualmente sono possibili due approcci: uno, che richiede una grande attitudine al multitasking, prevede di leggere tutti i livelli testuali secondo l’ordine in cui si presentano; l’altro, invece, è quello di iniziare dalla storia, leggendola nella sua interezza, e successivamente riiniziare da capo per leggere annotazioni e inserti. Se da un lato questo metodo appare più lineare, dall’altro si corre il rischio di perdere l’evidenza di alcune connessioni tra i livelli. Se avrete voglia di fare un giro in rete, scoprirete che nei numerosi blog e forum dedicati a questo libro i sostenitori dei due approcci ne discutono con una certa animosità.
J.J.Abrams racconta come l’ispirazione per il libro gli sia venuta in aeroporto, dopo aver visto un romanzo tascabile di Robert Ludlum abbandonato su una panchina, dopo averlo preso e dopo aver letto al suo interno un messaggio, scritto a penna, che invitava chiunque trovasse il libro a leggerlo, a portarlo da qualche parte, e a lasciarlo perché qualcun altro lo trovasse a sua volta. Quest’idea ottimistica, un po’ romantica, che si possa abbandonare un libro con un messaggio per qualcuno gli ha fatto rivivere gli anni del college, e lo ha fatto ripensare alle annotazioni lasciate dagli studenti in biblioteca, arrivando in tal modo a concepire l’idea di un libro completamente annotato da due persone, che costruiscono una relazione durante questo percorso.
Un libro così particolare ha degli antenati? Sì: probabilmente il suo parente più stretto è Fuoco pallido di Vladimir Nabokov, un poema in 999 distici eroici scritto dal professor John Shade negli ultimi giorni della sua vita, annotato e commentato dal collega Charles Kimbote, al punto che i commenti danno vita a un racconto parallelo.
La lettura di S. La nave di Teseo si rivela un’esperienza complessa: Abrams e Dorst hanno creato un universo in cui è difficilissimo individuare una via lineare che ci conduca a una qualsiasi destinazione. Probabilmente, così come per Lost, il processo, il percorso sono più importanti del punto di arrivo. Del resto tutta l’opera è costellata di rimandi, di misteri, di allegorie (perché ricorre così frequentemente il numero 19? Quali sono le connessioni nascoste con Gödel, Escher, Bach? I disegni e gli scarabocchi sono casuali o costituiscono un codice cifrato? – solo per citare tre esempi di possibili approfondimenti interpretativi). Lo stesso Abrams, poi, ha fatto riferimento a una scatola magica, che ha acquistato da decenni ma che non ha mai aperto, per preservarne le innumerevoli potenzialità: una scatola dalle infinite possibilità che diviene metafora del suo immaginario.
Quello che interessa a noi calzelunghi, però, in questo numero, è ribadire come, in piena era digitale, sfogliare queste pagine costituisca un salto all’indietro nell’ormai remoto passato analogico, e significhi rendere omaggio al libro di carta in quanto oggetto. Un oggetto sui cui scrivere, disegnare, scarabocchiare. Un ipertesto analogico in cui non serve internet per spostarsi da un livello all’altro: è sufficiente una cartolina inserita al posto giusto.