– Poi alle virgole ci pensate voi?
Con questa frase si chiude, spesso, la email in cui un autore invia il suo manoscritto revisionato e corretto a una redazione. Non si pensi a una mancanza di cura da parte dell’autore, anzi: proprio questa frase evidenzia che l’autore ha già pubblicato e sa che è proprio nelle ultime revisioni da parte di una redazione che si guarda con occhio particolare alla punteggiatura (qui intesa come somma di tutti i segni paragrafematici).
La sistematizzazione della punteggiatura è uno dei compiti (o dovrebbe esserlo) delle redazioni editoriali. Al di là degli errori ortografici o dei vezzi stilistici, ogni editore ha proprie norme redazionali e, soprattutto per quanto riguarda gli albi illustrati, l’uso o meno della punteggiatura è anche questione grafica.
Inoltre, a volte un segno di interpunzione viene sentito dai programmi di composizione come segno speciale che può cambiare al cambio di font o di sistema operativo, provocando slittamenti di righe, buchi o errori tipografici, cosa che quindi spinge a portare una attenzione ancora maggiore ad alcuni segni di punteggiatura.
Altro aspetto da analizzare e che davvero è poco conosciuto dai lettori è che la punteggiatura cambia nelle varie lingue. Un esempio eclatante è lo spagnolo, lingua in cui la frase interrogativa o esclamativa viene anticipata, appunto, dal punto interrogativo o esclamativo rovesciato: il redattore dovrà quindi stare attento che anche la punteggiatura sia stata tradotta.
Ma facciamo un passo indietro e proviamo a guardare il lavoro di un redattore editoriale dall’interno: prospettiva, questa, che mi appartiene professionalmente.
Alcuni autori sono molto precisi: i loro manoscritti sono corretti, letti mille volte, mandati ad amici per osservazioni e consigli, curati in ogni dettaglio, virgole comprese. Altri autori sono più concentrati sul suono delle loro parole, probabilmente leggono a voce alta i loro manoscritti e non si accorgono dell’uso creativo che fanno della punteggiatura.
Perché, diciamolo subito, la grammatica italiana è abbastanza precisa sull’uso della punteggiatura. Ci sono regole imprescindibili (la virgola tra il soggetto e il verbo non ci va, non importa se, quando si legge, dopo il soggetto la voce faccia una pausa naturale) e altre regole più sfumate ma che vanno seguite ugualmente.
E poi ci sono i vezzi stilistici, odiatissimi, temo, da tutti i redattori editoriali. Le virgolette per sottolineare una parola e i tre punti di sospensione sono segni assolutamente abusati e spesso inutili. Sono segni, inoltre, che il computer sente come segni speciali e tali vengono trattati anche nei programmi di impaginazione, con buona pace dei grafici che spesso e volentieri devono convertire singolarmente ogni segno speciale.
Un lavoro da certosino, quello del redattore, complicato a volte da scelte editoriali assai particolari. Un caso che mi ha incuriosito molto è l’impaginazione grafica dei libri di Kent Haruf, pubblicati da NN Editore. Sono libri formati per gran parte da dialoghi e impaginarli con il trattino o con le virgolette sarebbe risultato, forse, pesantissimo a livello visivo. Ebbene, l’editore ha scelto di togliere ogni segno che potesse indicare l’inizio del dialogo. Solo il cambio di riga e poche indicazioni testuali aiutano il lettore a capire dove inizi il dialogo. Straniante, senza dubbio, ma dopo poche pagine è molto rilassante leggere senza la mediazione di quei particolari segni grafici. Un caso unico nel panorama editoriale italiano dove abbondano trattini e virgolette.
Nei libri di narrativa per bambini e ragazzi la punteggiatura è estremamente curata; capita troppo spesso di ricevere testi pieni di punti esclamativi o puntini di sospensione, come se gli autori volessero enfatizzare il tono petulante e spesso troppo alto di alcuni bambini, i loro entusiasmi o i loro dubbi, la voce che spesso si spezza a cercare nella mente una parola. In realtà, questa è una cattiva pratica: i bambini hanno bisogno di leggere testi dove la punteggiatura sia precisa, pulita e non ridondante. Sicuramente per non confonderli nella lettura a volte ancora faticosa, ma soprattutto per insegnare loro il corretto uso a livello grammaticale. La pulizia di un testo è fondamentale nei libri per bambini: quando troviamo un libro con qualche errore ortografico, quanta scarsa considerazione vi sentiamo!
Ecco che la punteggiatura può essere considerata un elemento ulteriore per imparare a riconoscere un libro di qualità. Dove ci sia una redazione accurata del testo, anche dal punto di vista della punteggiatura, possiamo essere sicuri che dietro vi sia attenzione, un pensiero rivolto ai bambini, quel tipo di attenzione che ci parla di amore per il proprio lavoro e per i futuri lettori.
Nei libri per bambini, dunque, è da preferirsi la sobrietà: un testo pieno di punti esclamativi e di puntini di sospensione nel discorso indiretto può far generare il sospetto che forse l’autore non sappia bene come dire quello che vuole comunicare ai suoi lettori e preferisca lasciarli nel dubbio e nell’incertezza, atteggiamento che denota ben poca attenzione verso i suoi giovani lettori, a mio parere.
Un caso assai particolare, su cui vorrei soffermarmi, è l’uso della punteggiatura negli albi illustrati.
Per albi illustrati intendo in questo caso libri in cui le immagini a tutta pagina dialogano in maniera strettissima e coerente con il testo, a volte anticipandolo, a volte sostituendosi a esso.
I testi diventano così parte strutturale del libro al pari delle illustrazioni, con un loro peso all’interno della pagina, singola o doppia che sia. Questi testi, fatti per lo più da poche parole, usano la punteggiatura in maniera assai singolare, come elemento grafico oltre che come elemento grammaticale.
Un perfetto esempio è Shh! Abbiamo un piano, di Chris Haughton (edito in Italia da Lapis). In questo caso l’editore italiano ha scelto di mantenere la stessa punteggiatura del testo inglese, proprio perché questa entra in relazione diretta con le immagini e si fa anch’essa elemento grafico indispensabile, sia per aiutare il lettore ad alta voce, sia come espediente narrativo nella ripetizione delle frasi.
Oltre l’albero… di Mandana Sadat (Artebambini 2004) è un silent book tranne che per due brevissime frasi: il titolo e “c’era una volta…”, la frase che la vecchina dice per iniziare il dialogo con la bambina nascosta dietro l’albero. In questo caso, l’editore italiano sceglie di utilizzare i puntini di sospensione per allungare il titolo italiano che in francese (De l’autre côté de l’arbre) è molto più lungo. Scelte prettamente editoriali, dunque, dove la punteggiatura è usata come esclusivo elemento grafico. Due frasi, inoltre, che escono dalla bocca della vecchina e diventano immagini esse stesse.
Negli albi illustrati i puntini di sospensione possono servire come elementi grafici per aggiustare il peso della scritta all’interno della pagina illustrata e, ancora di più, per guidare il lettore, per indirizzarlo ad aspettarsi la sorpresa che arriverà nella pagina seguente.
Un libro eccezionale e unico è Il libro Senza Figure di B.J. Novak. In questo caso ci troviamo di fronte a un libro, come recita il titolo, assolutamente senza una figura, ma che obbliga il lettore (genitore o adulto che sia) a leggere assolutamente tutto, che sia un versaccio o una parola ridicola. E il patto è dichiarato dal libro stesso. Ci troviamo di fronte a un libro che ha pagine con font diverso, colorato, rovesciato, piccolissimo e grandissimo. Un libro in cui la grafica testuale si fa figura. E la punteggiatura? Qui è precisissima, perché deve aiutare il lettore a voce alta a rispettare esattamente i tempi previsti dal libro: ogni frase è seguita da un bel punto fermo, le pagine finiscono per lo più con i puntini di sospensione e ci sono punti esclamativi e interrogativi spesso e volentieri. Fondamentali, poi, le pagine bianche, che aiutano a rispettare i tempi comici immaginati dall’autore e attore Novak.
Come raccontavo in un mio precedente articolo, la punteggiatura, così come la pagina bianca, fa dunque parte del lavoro muto e silente, ma ancora artigianale, dell’editore. Potremmo dire che è parte della sua firma, così come la copertina, il logo e il colophon.
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